Confraternita di Santa Caterina, Mendatica – La preghiera (2.a parte)

Confraternita di Santa Caterina, Mendatica - La preghiera (2.a parte)

La necessità della preghiera

Nel corso della seconda giornata di formazione per i confratelli, Don Enrico si è concentrato sulla necessità della preghiera.

Purtroppo dimentichiamo spesso che la preghiera non è un optional ma una vera occorrenza indispensabile: una necessità vitale.

Noi nasciamo dall’acqua e dallo Spirito Santo, come ascoltiamo nel rituale del Battesimo. La preghiera è il respiro dello spirito, ritmato e costante. Ci accorgiamo del respiro (che pratichiamo in modo automatico) solo quando diventa affannoso e lo avvertiamo come insufficiente.

Come per il corpo, abbiamo bisogno per lo spirito di tre componenti: respiro, alimentazione e cura. Il respiro è la preghiera, l’alimentazione è l’Eucarestia e la cura è la remissione dei peccati nella Confessione. Nella Santa Messa questi componenti trovano un perfetto complemento. Respiro, alimentazione e cura sono infatti complementari: uno sostiene l’altro.

Se la preghiera è necessaria occorre scoprire COME pregare, un interrogativo che si sono posti anche gli Apostoli. Gesù rispose insegnando il Padre Nostro, che è il modello della preghiera.

Per prima cosa si deve benedire il Padre: Gesù lo benedisse sempre, anche prima delle moltiplicazioni («Sia santificato il tuo nome»). Poi si invoca la venuta del Regno di Dio e si chiede che avvenga tutto secondo la volontà di Dio, prendendo coscienza che ciò che chiediamo potrebbe anche non essere il nostro bene.

Dobbiamo successivamente chiedere a Dio di esaudire le nostre richieste («Dacci oggi il nostro pane quotidiamo»), ma per esserne degni chiediamo la remissione delle nostre colpe. A questo punto è necessaria un atto di giustizia: dobbiamo uniformarci alla giustizia che chiediamo, e dobbiamo essere consci che saremo giudicati col metro che usiamo con i fratelli (« … come noi li rimettiamo [i debiti] ai nostri debitori».

La conclusione è il riconoscerci incapaci di vincere da soli il peccato, domandando l’aiuto di Gesù nelle prove che ci potrebbero portare alla tentazione.

Dobbiamo avere fiducia nella preghiera: essa verrà sicuramente esaudita se è conforme al vero bene ed è forte e sincera. Non veniamo esauditi quando chiediamo una cosa che ci sembra giusta dal punto di vista terreno ma non rientra nella grande bontà di Dio. Ma c’è un altro caso in cui la preghiera non avrà effetto: quando è debole.

A volte facciamo tre errori:

Petimus mali: chiediamo DA CATTIVI, quando vogliamo il perdono ma non perdoniamo;

Petimus mala: chiediamo cose cattive, ovvero domandiamo di essere esaudite in circostanze che ci sembrano buone, ma in realtà non lo sono per Dio e per il vero bene;

Petimus male: chiediamo malamente, quando il nostro pregare è distratto, fatto di formule vuote, e cuore e mente non sono realmente coinvolte, ma emerge solo l’egoismo della richiesta (come bambini capricciosi).

Confraternita di Santa Caterina, Mendatica – La preghiera (1.a parte)

«Ecco, com'è bello e com'è dolce che i fratelli vivano insieme! È come olio prezioso versato sul capo, che scende sulla barba, la barba di Aronne, che scende sull'orlo della veste. È come la rugiada dell'Ermon, che scende sui monti di Sion. Perché là il Signore manda la benedizione, la vita per sempre».

Sunto dell’incontro formativo di Marina Massa, settembre 2024

La sessione di formazione svolta a Marina di Massa, e tenuta dal Vicario Foraneo del Vicariato della Valle Arroscia, Don Enrico Giovannini, ha avuto come tema la preghiera e come spunto il Salmo 132, che riportiamo qui in seguito.

«Ecco, com’è bello e com’è dolce che i fratelli vivano insieme!

È come olio prezioso versato sul capo, che scende sulla barba, la barba di Aronne, che scende sull’orlo della veste.

È come la rugiada dell’Ermon, che scende sui monti di Sion.

Perché là il Signore manda la benedizione, la vita per sempre».

Perché è importante stare insieme?

Siamo stati creati da un Dio che è comunità trinitaria: la comunità è quindi l’essenza dell’uomo.

Nel salmo 132 è scritto che è bello e dolce che i fratelli vivano insieme: i figli del Dio vivente sono destinati alla vita (vivano insieme).

Per recuperava la rugiada nel deserto, gli Ebrei dovevano essere tutti insieme altrimenti il grande telone che la raccoglieva non riusciva a incanalarla nei recipienti e si sarebbe persa. L’Ermon era la sorgente del fiume Giordano, in cui avvenne il Battesimo di Gesù.

Lo stare insieme richiama il pregare insieme. La preghiera non è un surplus, ma un’esigenza costitutiva di cui neppure Gesù volle fare a meno seppure nel suo caso fosse una comunicazione intra-trinitaria.

Pregare ha una valenza anche pratica: anche la Scienza ne ha riconosciuto gli effetti benefici ai fini della salute e del benessere psichico.

Ma ci sono anche aspetti che vedremo e che sono più importanti, come l’aspetto liturgico o quello vocazionale per ognuno di noi.

Gesù disse agli apostoli di gettare le reti in un momento che appariva poco opportuno, ma in cui aveva visto un’esigenza di essere aiutati: «Ora gettate le reti!». Questa frase in quelle situazioni ricorda «Ora et Labora» e la sua attinenza liturgica. La preghiera infatti porta l’uomo incontro all’amore di Dio.

Nella pesca miracolosa una barca non è sufficiente e ne occorre un’altra per portare il pescato a terra, prefigurazione della necessità di armonia tra l’Antico e il Nuovo Testamento.

Ma come la preghiera può essere vocazionale? Perché cerca la volontà di Dio. Il pregare deve sempre tenere conto che può «smuovere le montagne» ma ci sono delle condizioni. Non non siamo in grado di capire o sapere se ciò che chiediamo è veramente qualcosa che faccia il nostro bene. Questo lo sa solo Dio. Abbiamo visto che anche una cosa che sembrava chiaramente malvagia, mal fatta, ingiusta e assurda, come la Croce, è stata trasformata da Dio in portatrice del sommo bene, che è la Salvezza e la vita eterna.

Nella preghiera va riconosciuta quindi l’alta valenza e la perfezione della volontà di Dio («Sia fatta la tua volontà, come in cielo e così in terra»).

In questo riconosciamo e cerchiamo ciò che la volontà di Dio ha pensato per noi, per le nostre vicende e per la nostra vita.

Il “sabato”: il pericolo che la forma superi la sostanza

Il "sabato": il pericolo che la forma superi la sostanza

Gesù ha insistito in modo particolare sul valore della sostanza, e ciò lo ha portato alla Croce

«Domando a voi: in giorno di sabato, è lecito fare del bene o fare del male, salvare una vita o sopprimerla?». E guardandoli tutti intorno, disse all’uomo: «Tendi la tua mano!». Egli lo fece e la sua mano fu guarita.
Ma essi, fuori di sé dalla collera, si misero a discutere tra loro su quello che avrebbero potuto fare a Gesù.

(Dalla liturgia).

Gesù sa che scribi e farisei lo stanno ad osservare per poi trovare qualcosa di cui accusarlo. Gesù non stava facendo nulla di male, anzi stava facendo del bene a persone bisognose, ma il problema stava nel fatto che Gesù faceva queste cose in giorno di sabato.

Alcune scuole rabbiniche ammettevano che in giorno di sabato fosse possibile fare ciò che la legge non permetteva, ma solo in caso di pericolo di vita: per esempio salvarsi da un pericolo con la fuga, oppure assistere una donna colta dalle doglie del parto, o un uomo in grave pericolo di vita.

Gesù non aiuta un uomo in pericolo di vita. Con la sua azione non stabilisce un’eccezione, ma cambia il concetto teologico della norma: la norma è fatta per l’uomo, e non viceversa. È questo che scribi e farisei non sopportano, ed Egli li sfida.

Gesù non si nasconde nel compiere il miracolo, anzi da pubblicità al suo gesto, invitando l’uomo dalla mano inaridita a mettersi nel mezzo. E lo guarisce, scatenando la loro reazione.

Scribi e farisei non si curano che Gesù abbia potuto guarire un uomo con la sola parola. Si intestardiscono sul loro modo di pensare. Non rispondono alla domanda di Gesù.

Tante volte anche noi facciamo così: pensiamo che il nostro modo di vivere e di vedere le cose sia quello giusto, e non ci lasciamo interrogare né dal Vangelo né dalle cose che ci capitano nella vita. Tante volte Dio ci parla attraverso di esse, ma quando non riusciamo a liberarci dalle nostre idee preconcette e dalle nostre false sicurezze non riusciamo a cogliere ciò che la grazia di Dio ci fa capire per correggerci e vivere meglio.

Per non sfociare in menzogna, la Verità non può essere parziale

Per non sfociare in menzogna, la Verità non può essere parziale

Anche demonio e eretici si servono delle “mezze verità”

Da molti uscivano anche demòni, gridando: «Tu sei il Figlio di Dio!». Ma egli li minacciava e non li lasciava parlare, perché sapevano che era lui il Cristo.
(Dalla liturgia).

Perché il Signore non permette ai demòni di parlare? In fondo, pur essendo degli esseri malvagi in questo caso stanno dicendo la verità: «Tu sei il Figlio di Dio!». Ma Gesù li minacciava e impediva loro di parlare. Perché, visto che dicono la verità?

Perché essi quella verità la avrebbero distorta, avrebbero magari tolto o aggiunto magari un particolare, anche piccolo e apparentemente insignificante, ma tale da snaturare il messaggio di Gesù, e di privarlo della sua capacità salvifica. I demòni avrebbero fatto quello che da duemila anni fanno gli eretici: non negare del tutto la verità del vangelo, ma negare qualche aspetto, magari uno solo, magari apparentemente insignificante.

La verità che Cristo, attraverso la Chiesa, ci annuncia, per aiutarci in questa vita e permettere di salvarci, deve essere accolta, custodita ed annunciata tutta intera. La fede per essere efficace, deve essere omologa in ogni suo aspetto a quella professata dagli apostoli.

A tal proposito dice sant’Agostino: «in molti punti gli eretici sono con me, in qualche altro no, ma a causa di questi pochi punti in cui separano da me non serve loro a nulla di essere con me in tutto il resto».

Chiediamo al Signore di mantenerci saldi nella fede che Cristo ci ha rivelato, la sola che può darci la salvezza ed aprirci le porte della vita eterna.

Il «si è fatto sempre così …» è farisaico

Il «si è fatto sempre così ...» è farisaico

La confusione tra Sacra Traditio e tradizione umana

Il titolo dell’articolo è provocatorio ma fino a un certo punto, e nasce dal dato di fatto che il conflitto tra Gesù da una parte e la maggioranza degli Scribi e dei Farisei è sempre stato molto acuto.

Tra le cose che Gesù è venuto a compiere c’è anche la corretta indicazione nell’osservanza delle Leggi, le quali sono uno strumento di efficacia per l’applicazione della volontà di Dio.

Il Cristo chiama “ipocriti” (υποκριτικός, ypoktitikós)

coloro che applicano al dettaglio le Leggi senza avere il cuore circonciso e quindi in grado di accogliere un seme nel terreno fertile. Il termine, in clima ellenistico, la cui influenza era incisiva ai tempi di Gesù, indica l’attore, il teatrante. Il Signore non ha dunque detto esplicitamente ai Farisei che sarebbero “cattivi”, perché in realtà osservavano le Leggi, ma li ha definiti “teatranti”, ovvero coloro che portavano una maschera.

La discussione verte sulla sostanza delle cose e investe anche l’ambito biblico sia nella parte dell’Antico che del Nuovo Testamento, coinvolgendo dunque anche noi Cristiani.

Nel loro fervore fatto di apparenza, i Farisei avevano decretato che certi riti e determinate usanze consigliate per i Sacerdoti, divenissero obbligatorie anche per il popolo. Abluzioni ovunque, segni rituali a profusione e altri corollari minori divennero quasi maniacali fino a far crescere il numero degli obblighi fino a 613 questo è il numero delle mitzvot (taryag mitzvot = תרי”ג מצוות).

Si arrivò ad uno scontro quando i rabbini chiesero a Gesù perché gli Apostoli non eseguivano le abluzioni previste prima di mangiare. Il problema sfocia dunque in ciò che si deve intendere come “tradizione”.

Per chi si dice Cattolico la tradizione non è recitare la Santa Messa in Latino o pregare in un determinato modo prescritto nei secoli. La realtà è che Sacra Tradizione, il secondo pilastro della Dottrina Cattolica dopo la Bibbia e prima del Magistero, indica ciò che è stato riferito all’interno della Rivelazione, tenendo conto che essa si è chiusa con la morte di Giovanni apostolo.

Il Magistero DEVE cambiare alcune cose che sono fra le sue competenze, per aiutare la custodia e la diffusione del messaggio, ma non DEVE toccare ciò che è stato sancito dalla Rivelazione.

Sono sterili le polemiche o gli scrupoli sulle decisioni del Magistero, perché opponendosi ad esso, che è il custode della Sacra Traditio, significa tradire la Rivelazione. Anche se avessimo opinioni contrarie, sarebbe un atto di superbia pensare che il Magistero non abbia pensato all’attinenza delle sue decisioni alla tradizione apostolica.

Smettiamola dunque di chiamare “tradizionalista” (ad eswempio) chi vuole la Santa Messa in Latino (che fra l’altro NON è proibita se non negli ambienti in cui si tende a strumentalizzarla).

Semmai il vero tradizionalista, a giusta dimensione, è proprio il Magistero, rigido custode della Rivelazione, che corregge gli errori umani introdotti attraverso i secoli e aiuta a comprendere meglio il significato profondo della Parola di Dio.

Siamo portati in modo naturale a semplificare e banalizzare alcune cose per renderle più vicine alla nostra comprensione: dobbiamo invece fare lo sforzo di accettare che non tutto ciò che non comprendiamo debba per forza essere sbagliato. Sostenere che «si è sempre fatto così …» indichi perennemente una cosa giusta, è dunque un’ipocrisia perché dimostra la poca volontà di approfondire i contenuti.

L’importanza della purezza del cuore

L'importanza della purezza del cuore

Senza di essa nessun segno o miracolo può convincerci

Gesù intanto, visto Natanaèle che gli veniva incontro, disse di lui: «Ecco davvero un Israelita in cui non c’è falsità». Natanaèle gli domandò: «Come mi conosci?». Gli rispose Gesù: «Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto quando eri sotto l’albero di fichi». Gli replicò Natanaèle: «Rabbì, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d’Israele!». Gli rispose Gesù: «Perché ti ho detto che ti avevo visto sotto l’albero di fichi, tu credi? Vedrai cose più grandi di queste!».
(Dalla liturgia)

Leggendo questo brano, Natanaele (chiamato anche Bartolomeo) non dà l’idea di essere una persona particolarmente brillante. Sembra, per quel poco che si può capire da una breve frase, un uomo ben radicato nei suoi sciocchi pregiudizi («Da Nàzaret può venire qualcosa di buono?»).

Ma Natanaele (Bartolomeo) era una persona onesta. Lo dice Gesù stesso: «ecco davvero un israelita in cui non c’è falsità». La sua naturale sincerità, la sua rettitudine di vita lo rendeva naturalmente aperto alla rivelazione del Signore. È bastato poco («ti ho visto quando eri sotto l’albero di fichi», gli aveva detto il Signore) per riconoscere in Gesù il Figlio di Dio e il Re di Israele.

Se pensiamo che i capi dei Giudei hanno deciso di uccidere Gesù dopo che Egli aveva manifestato ben altrimenti la propria divinità, facendo risorgere Lazzaro già da quattro giorni cadavere, capiamo che nessun segno del cielo può illuminare la nostra mente né riscaldare il nostro cuore se non abbiamo un animo ben disposto ad accoglierlo.

Chiediamo a Dio di mantenere puro il nostro cuore, così da essere pronti a scorgere quei segni che il Signore continuamente ci mostra, e non rischiamo di lasciare passare invano la grazia di Dio dalla nostra vita.

Conoscere il Signore e convertirsi alla sua Parola

Conoscere il Signore e convertirsi alla sua Parola

La conoscenza delle Scritture e la coerenza di vita portano ad una fede matura e viva

«In verità io vi dico ancora: se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro».
(Dalla liturgia).

«Dove due o tre sono riuniti nel mio nome io sono in mezzo a loro», ci ricorda Gesù. Il cristianesimo non è individualismo, ma comunità. La comunità cristiana può essere composta anche da due o tre persone.  L’importante è riunirsi nel nome del Signore, il Risorto.

Nella Chiesa primitiva le comunità erano piccole. Essendo piccole, i membri delle comunità si conoscevano tra di loro, si chiamavano per nome e si amavano tra di loro con amore autentico. Perciò, i pagani, vedendoli, esclamavano: «Vedete come si amano!».

Con l’Editto di Costantino, popoli entrarono a far parte della Chiesa. Il Battesimo veniva dato come oggi vengono date le lauree ai giovani. Molti entravano a far parte della Chiesa senza essere istruiti e senza una vera conversione a Cristo Gesù. Così si cominciò a perdere il senso della Chiesa, del Battesimo, della Parola di Dio, dell’Eucarestia della unione fraterna. L’appartenenza alla Chiesa diventò più giuridica che spirituale. Se oggi in Italia abbiamo ancora un po’ di fede è grazie ai movimenti ecclesiali e i gruppi di preghiera che lo Spirito Santo ha suscitato dopo il Concilio Vaticano II.

In questi movimenti ecclesiali si studia e si conosce di più la Bibbia, si ascoltano di più gli insegnamenti del clero e si pratica di più la comunità cristiana. Tra i fedeli che frequentano il tempio ogni domenica c’è fede autentica o è solo religiosità naturale? Molta gente va in chiesa per tradizione o per dovere. Nonostante l’assidua frequenza domenicale, molti fedeli vivono nel mondo come se Dio non esistesse e conoscono poco la dottrina cristiana. Quante persone hanno la consapevolezza di riunirsi nel nome del Signore e di fare Chiesa?

Lampade e olio, fede e opere, elementi indissolubili

Lampade e olio, fede e opere, elementi indissolubili

In entrambe le coppie di elementi, uno è mutilato dall’assenza dell’altro

«Ora, mentre quelle andavano a comprare l’olio, arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa. Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: “Signore, signore, aprici!”. Ma egli rispose: “In verità io vi dico: non vi conosco”.
Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora»
.
(Dalla liturgia)

Per salvarci non basta credere, nel senso di ritenere con l’intelletto che Dio esiste, che è una sostanza in tre persone, che Gesù è la seconda persona della Santissima Trinità che ha assunto la nostra natura nel grembo della Vergine Maria e che è morto per noi, è risorto e ora vive per sempre, in anima e corpo, nella gloria del Paradiso.

Questo è necessario, è come avere le lampade. Ma non è sufficiente. Dobbiamo avere anche l’olio, cioè le buone opere, Infatti avere fede significa anche credere che le parole che il Signore ci ha lasciato sono vere, affidabili. Sono comandi che devono essere messi in pratica perché noi possiamo avere una vita piena e realizzata in questa esistenza terrena, con tutti i limiti e le difficoltà che ben conosciamo, e una esistenza eternamente felice nel paradiso.

Una fede che non cambiasse il nostro modo di pensare e di agire, che ci lasciasse vivere e pensare come chi cristiano non è, non è vera fede: non ci può essere di giovamento in questa esistenza terrena e non ci può aprire le porte della vita eterna.

«Figlio dell’uomo», un titolo significativo

«Figlio dell'uomo», un titolo significativo

Gesù si definisce così, parlando in terza persona

L’appellativo «Figlio dell’uomo» viene assunto da Gesù, e lo troviamo solo nei Vangeli, anche se in quello di Giovanni si colora di sfumature diverse.

Ma cosa significa «Figlio dell’uomo»? Si tratta di un modo di esprimere la natura umana del Cristo? Anche! Ma la risposta non è così semplicistica.

In diverse apocalissi ebraiche, anche nel Libro di Daniele, e nella letteratura enochiana, si riferisce a un personaggio ancora misterioso che sarà inviato da Dio nell’ultimo giorno con una funzione di giudice.

I Vangeli ci indicano però che Gesù svolga questa funzione già in questo mondo (Mc 2,10).

La funzione del giudice eterno risulta dunque in una prospettiva di sofferenza superata.

L’indicazione data da Gesù è comunque chiara in riferimento a sé stesso: risulta infatti una perifrasi che sostituisce il pronome “IO” (Mt 5,11: «… per causa mia …», Lc 6,22: «… a causa del Figlio dell’uomo».

Vediamo ora di mettere a confronto l’interpretazione ebraica e quella cattolica:

Secondo l’esegesi ebraico messianica, si riprende Isaia (Is 53,10) da cui si dedurrebbe che «Figlio dell’uomo» è uno dei nomi col quale il Messia stesso si chiama, per far comprendere a tutti la sua incarnazione in un corpo umano ed espiare così i peccati dell’uomo. In questo caso l’appellativo viene inteso come “stirpe dell’uomo” (Adam), per definire il genere umano: con la resurrezione dai morti si vince definitivamente la morte (Sal 16,8-10).

Per noi cattolici il titolo in questione ci chiama ad andare un po’ più in profondità. Nel definirsi «Figlio dell’uomo», Gesù si pone come giudice aggiungendo al parametro distributivo e compensativo, anche il dono gratuito della propria vita. Solo questo può rendere possibile la vita eterna in paradiso. Dio ha scelto di riparare i danni del peccato originale, offesa a Dio, una compensazione gratuita del sacrificio di un uomo che è anche Dio. Il Cristo, come Dio non può soffrire né morire, ma come uomo si!

È la sublimazione della kenosis (discesa), in cui Dio si spoglia. Ma siccome ogni kenosis di Gesù precede un’elevazione, abbiamo l’ascesa al Cielo del Cristo risorto.

Zizzania e grano crescono insieme, come il bene e il male dentro di noi

Zizzania e grano crescono insieme, come il bene e il male dentro di noi

«Come dunque si raccoglie la zizzania e la si brucia nel fuoco, così avverrà alla fine del mondo. Il Figlio dell’uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e tutti quelli che commettono iniquità e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti. Allora i giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre loro. Chi ha orecchi, ascolti».
(Dalla liturgia).

La spiegazione della parabola della zizzania è chiarissima: non servono commenti per interpretarla.

È necessario ed urgente invece prendere sul serio questa parola di Gesù: nella realtà di questo mondo, così come lo conosciamo, il bene e il male coesistono. E, se vogliamo essere sinceri, nel cuore di ciascuno di noi trovano posto sia il bene che il male.

Nel mondo di là non sarà così: male e bene saranno divisi per sempre, in paradiso non c’è posto per il dolore, la tristezza, la cattiveria, nell’inferno non si trova alcuna forma di bene, ma solo rabbia, malvagità, disperazione.

La scelta spetta solo a noi.