La pedagogia di Cristo come luce viva

La pedagogia di Cristo come luce viva

Il disegno divino ci viene trasmesso affinché possiamo scegliere con libertà

La Rivelazione si è compiuta con l’avvento di Gesù, unico mediatore e sola via di salvezza.

Attraverso i secoli Dio si è sempre adeguato alla comprensione specifica dell’uomo, il quale ha maturato gli strumenti di comprensione in un cammino di apprendimento calibrato in armonia con le sue sue potenzialità.

Non sempre il messaggio è stato interpretato correttamente, ma ha sempre seguito la logica del pensiero umano predominante.

Siamo passati attraverso periodi che ci hanno indotto a comportamenti che oggi riteniamo inadeguati, ma che hanno sempre rispecchiato la capacità dell’uomo di uniformarsi al messaggio che veniva via via percepito.

È stato e sarà un percorso pedagogico che è inseparabile dalla crescita dell’uomo. Il peccato originale ha segnato il punto più basso dell’incomprensione, e ha causato l’interazione di concetti, di modi di pensare e di impedimenti anche psicologici che hanno allontanato l’uomo da quanto Dio ha pensato per l’umanità.

Alcuni di questi sono al momento almeno apparentemente insuperabili, quali la diffidenza verso il divino e la convinzione-tentazione che induce a ritenerci impermeabili dalla volontà creatrice.

Dio, immerso nella sua visione eterna ha dunque previsto la necessità di una proposta da sottoporre alla nostra scelta. E tutto ciò nel rispetto del vincolo che Egli ha voluto porre come dipendente dalla nostra libertà.

Se ci pensiamo bene, anche il volerci creare liberi è segno della Sua immensa bontà, che ci consente, se vogliamo, addirittura di rifiutarlo. Per chi accetta la proposta di Dio, il percorso non può dunque essere che un cammino di apprendimento.

Ne deriva che uniformarsi alla Parola, cercando di comprenderla senza diffidenza o preconcetti, risulta essere fondamentale. E questo perché il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, hanno previsto le nostre difficoltà, e attraverso un’evoluzione pedagogica ci presentano gli strumenti adatti.

In questo ambito si collocano anche le parole di San Giovanni Paolo II, quando all’esordio del suo pontificato ci esortò a spalancare le porte a Cristo.

Trova spazio dunque anche l’umiltà, che fu caratteristica di tutti i santi. Metterci in discussione e non chiudere le porte al messaggio divino, risulta dunque fondamentale.

In fondo Dio, chiedendoci la Fede, non pretende che noi crediamo per certezza, ma solo per scelta. Una scelta che si poggia sulla credibilità del messaggio. Ci basta dunque ritenere l’insegnamento di Cristo come credibile.

Gesù infatti non aveva Fede, ma certezza, perché è Dio. Ma a noi bastano quelle virtù che provengono da Dio stesso, e che si chiamano perciò teologali: Fede, Speranza e Carità.

Gesù disse che per entrare nel Regno dei Cieli occorre essere come bambini. E noi sappiamo che la forza dei bambini è quella di ritenere credibili il papà e la mamma. Al imbo per essere felice basta la figura del padre e della madre, perché sanno che loro risolveranno ogni problema.

Dunque il nostro rapporto con Dio deve essere quello del bimbo con i genitori, ed è per questo che come bambini potremo entrare nella vita eterna. Ricordiamo: “Lasciate che i pargoli vengano a me”.

Joseph Ratzinger confessò candidamente che per lui il Paradiso è essere come bambini, che non hanno alcun tipo di preoccupazione, perché sono un tutt’uno con il padre e la madre. In loro confidano e in loro si abbandonano.

Il messaggio che il peccato di Adamo e Eva ci rende è quello dello strappo di un uomo e una donna diffidenti verso Dio. Hanno pensato che Dio volesse impedirci di essere sapienti e indipendenti. Ma il corso della storia ci ha insegnato il contrario. Gesù istituì l’Eucarestia per farci capire che Dio vuole che noi siamo in Lui, partecipando con noi in ogni molecola di quel Pane di Vita che è il suo corpo. E per questo fa che il pane consacrato nella memoria del sacrificio di Gesù diventi carne: quella carne vera e viva che fu crocifissa e che risorse.

In questo dunque possiamo vedere nell’Eucarestia un anticipo del Paradiso.

La vocazione del diacono Francesco d’Assisi

La vocazione del diacono Francesco d'Assisi

Il Patrono d’Italia e fondatore dell’Ordine che prese il suo nome, divenne la più umile delle creature

Giovanni di Pietro di Bernardone, meglio conosciuto come San Francesco d’Assisi è riconosciuto come uno dei più grandi, se non addirittura il più grande, tra i santi della cristianità. La sua vita è divenuta un modello e la sua umiltà un esempio.

Nel breve lasso di tempo di circa 45 anni, visse addirittura due vite: una da ricco erede di una famiglia borghese e importante, e un’altra nella più esemplare e rigida umiltà.

Giovanni nacque ad Assisi nel 1181 da Pietro di Bernardone, ricco mercante di stoffe, il quale aveva grandi ambizioni, e aveva portato la sua famiglia ad essere una tra le notabili di Assisi. La madre era madonna Giovanna Pica, una nobile che discendeva da una famiglia della Provenza.

Attorno alla nascita di Giovanni si verificarono alcuni eventi strani. Poco prima della sua nascita un mendicante presentatosi alla porta di casa di Giovanna Pica le preannunciò: « Fra queste mura spunterà presto un sole… ». Al momento del parto, mentre madonna Giovanna si contorceva per le doglie, un altro pellegrino si presentò alla porta e sentenziò che tutto sarebbe andato per il meglio solo se il parto si fosse concluso in una stalla, cosa che avvenne.

Qualche giorno dopo un terzo viandante si aggirò per le strade di Assisi gridando: “Pace e bene!”, ovvero quello che divenne il motto di San Francesco.

Il ragazzo trascorse un’infanzia molto serena, attorniato dai favori della famiglia e della gente, avviato alla professione del padre. Spesso Giovanni si accompagnava con i suoi coetanei, abbandonandosi ai piaceri disponibili a un rampollo di rango elevato.

Nel 1202 Giovanni partecipò alla guerra che vide di fronte Assisi a Perugia, e fu catturato dai nemici, trascorrendo un periodo in carcere. In quel frangente il futuro San Francesco vide stimolata la propria spiritualità. Iniziò a «ripensare» la propria vita, meditando sulle alterne fortune umane. Fu probabilmente in quel periodo che rispose alla domande su quando avrebbe preso moglie con una frase emblematica: «Sì, sposerò la donna più bella e più amabile del mondo », riferendosi a madonna Povertà.

Un giorno Giovanni si trovò in una chiesetta di campagna in cui era esposto il Crocifisso di San Damiano, e fu colpito da un brano del Vangelo che recita: «Non tenere né oro né argento né altra moneta; non borse, non sacchi, non due vesti, non scarpe, non bastone». Il Crocifisso gli parlò con bontà: «Francesco, non vedi che la mia casa sta crollando? Va’ dunque e restauramela».

Giovanni pensò subito che il Cristo si riferisse a quella specifica chiesetta, mentre invece intendeva la Chiesa Universale.

Tutto quanto avvenne successivamente è cosa nota a tutti. Il santo si spogliò di ogni bene paterno, compresi i vestiti, fondò l’Ordine Francescano (ma per umiltà restò diacono (diakonòs = servo). Compì innumerevoli imprese mirabili e miracolose. Fu premiato con la sofferenza delle stigmate. Scrisse opere meravigliose, quali ad esempio il «Laudato sii, o mi Signore», e il «Cantico delle creature». Di dolcezza eccelsa e di profondo contenuto fu la preghiera per Fra’ Leone.

La morte di San Francesco è altrettanto suggestiva. Chiese ai suoi confratelli di appoggiare il suo corpo su una pietra e di spogliarlo completamente, per andare nudo davanti al Signore.

Oggi San Francesco d’Assisi è venerato da praticamente il mondo intero e la sua umiltà ha convinto tutti i viventi. È inoltre simbolo dell’amore per il creato e della custodia della natura. Morì Il 3 ottobre 1226 ad Assisi, e il 4 ottobre si commemora il suo nome. È Patrono d’Italia.

La Parola di Dio e la nostra relazione con gli altri

La Parola di Dio e la nostra relazione con gli altri

Non siamo noi il centro dell’universo, ma Dio

«Chi accoglierà questo bambino nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato. Chi infatti è il più piccolo fra tutti voi, questi è grande». (Dalla liturgia)

«Chi non è contro di voi, è per voi». È una frase che sembra esprimere il concetto opposto di un’altra frase, tratta dal Vangelo di Matteo; «Chi non è con me, è contro di me» (Mt. 12,30).

In realtà tra le due frasi non c’è contraddizione. La prima è riferita ai discepoli, la seconda a Gesù stesso. Il discepolo non può pensare di essere l’unico depositario della grazia del Signore: Dio può agire anche al di fuori dei confini delle nostre comunità, per cui tutto quello che di buono viene fatto da altri, da persone che non sono partecipi delle nostre comunità, rimane comunque una cosa buona. Mentre invece la scelta per il Signore deve essere decisa e completa.

Una via di mezzo non è concepibile: il Signore vuole tutto, come dice il Comandamento: «amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuor, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente».

Oggi noi spesso facciamo il contrario: siamo molto decisi nel criticare chi non partecipa alle attività delle nostre comunità, chi non condivide il nostro stile, o il nostro modo di ragionare o di vedere le cose, e invece siamo molto tolleranti con chi, anche pubblicamente, fa scelte contrarie all’insegnamento del Vangelo.

Il Signore ci mette in guardia da questi atteggiamenti, che tolgono centralità al Signore e al suo insegnamento e mettono noi stessi al posto di Dio.

Domani solenne ingresso di Don Enrico a San Giovanni di Pieve

Domani solenne ingresso di Don Enrico a San Giovanni di Pieve

Il nuovo Canonico resterà ancora Parroco di Cosio, Mendatica, Montegrosso e Rezzo

Domani, domenica 25 settembre, Don Enrico Giovannini farà il suo solenne ingresso a Pieve di Teco, quale nuovo Canonico della Collegiata di San Giovanni Battista.

Dopo essere stato nominato Vicario della Valle Arroscia, Don Enrico assumerà questo nuovo incarico, a testimonianza della stima che S.E. Mons. Vescovo Guglielmo Borghetti nutre per lui.

La cerimonia di ingresso è fissata per le ore 17.00 alla presenza di Mons. Borghetti e del Cancelliere Diocesano Don Pablo Aloy.

Il nuovo Canonico manterrà ancora, almeno per qualche mese, la titolarità delle Parrocchie di Cosio, Mendatica, Montegrosso Pian Latte e Rezzo.

La nostra Parrocchia vuole esprimere al suo Parroco i migliori auguri per la nuova missione pastorale, e si unisce a lui nella preghiera.

Un pensiero grato va rivolto a Don Sandro De Canis, Canonico uscente, che non ha mai fatto mancare il suo apporto pastorale alle comunità dell’intera valle.

La vera conoscenza di Dio

La vera conoscenza di Dio

Conoscere Dio VERAMENTE porta frutti di bene

«Io sono la via, la verità e la vita, dice il Signore. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me». Alleluia. (Dalla liturgia)

Erode sente parlare di Gesù, e si interroga su di Lui. Anche perché la gente ne parla tanto, facendo le ipotesi più varie.

Erode cercava di incontrare Gesù, quantomeno di vederlo. Questa è una cosa buona. Quello che non è buono è che lo fa solo per curiosità. E questo non gli permette di capire nulla di Gesù. Quando qualche anno dopo (il venerdì santo) Erode incontrerà Gesù mandatogli da Pilato, non capirà nulla di Lui. Infatti Erode rimanderà Gesù a Pilato dopo averlo sbeffeggiato.

Avvicinarsi a Gesù, alla Chiesa, alle cose di Dio solo per curiosità, non porta alcun frutto. Il desiderio autentico di conoscere le Dio, di conoscere Gesù, di conoscere le cose di Dio invece porta frutto. Perché porta alla vera conoscenza di Dio, che ci conduce a capire che ascoltare la sua parola senza tentare di metterla in pratica non serve a nulla. Solo avere la vera conoscenza di Dio genera l’amore per Lui e per il prossimo, e piano piano porta frutti di bene nella nostra vita.

Il Magistero della Chiesa, voluto da Gesù

Il Magistero della Chiesa, voluto da Gesù

Alla Chiesa, da Lui costituita, Gesù diede di conoscerei misteri del Regno

«Quello sul terreno buono sono coloro che, dopo aver ascoltato la Parola con cuore integro e buono, la custodiscono e producono frutto con perseveranza». (Dalla liturgia).

«A voi è dato conoscere i misteri del regno di Dio, ma agli altri solo con parabole, affinché vedendo non vedano e ascoltando non comprendano». C’è un modo di accostarsi alla parola di Dio, alla religione, che non serve a nulla. Che non ci apre gli occhi e la mente alla comprensione dei misteri della vita.

Agli apostoli invece è stato dato di conoscere i misteri del regno di Dio. Agli apostoli, cioè alla Chiesa, alla Chiesa cattolica e apostolica che, nel suo magistero autentico, è in grado di interpretare secondo verità la parola di Dio.

A noi è stato dato un grande dono, che è anche una grande responsabilità: quello di essere membri della Chiesa di Cristo. La Chiesa di Cristo è in grado di farci comprendere i misteri del regno di Dio, di dare una risposta alle domande fondamentali che portiamo nel nostro cuore: da dove veniamo, quale è il senso della nostra esistenza, è possibile essere felici, c’è vita oltre la morte.

Non accostiamoci in modo sterile alla parola di Dio, al magistero autentico della Chiesa, considerandoli una parola fra le tante, un’opinione magari rispettabile, ma non vincolante per la nostra vita. Se facciamo così di fronte a ciò che capita, agli avvenimenti della nostra vita, alle vicende del mondo, faremmo la fine di quelli che vedendo non vedono e ascoltando non capiscono, e ci limiteremmo a sopravvivere, non capendo il senso della nostra esistenza.

Gesù ci ha affidato a Maria

Gesù ci ha affidato a Maria

L’affidamento reciproco di Giovanni e Maria Santissima è anche un’esortazione

«In quel tempo, stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria madre di Clèopa e Maria di Màgdala.
Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: “Donna, ecco tuo figlio!”. Poi disse al discepolo: «Ecco tua madre!”. E da quell’ora il discepolo l’accolse con sé
». (Dalla Liturgia).

La festa di oggi ci fa capire quanto Maria abbia condiviso, più di ogni altro essere umano, la missione redentrice di Cristo. Gesù muore sulla croce, e Maria assiste impotente allo strazio delle carni del suo divin Figlio.

Non ci può essere dolore più grave, per una madre, che assistere alla morte di un figlio. Maria è rimasta ai piedi della croce, straziata dal dolore, ma la sua fede non ha vacillato. Sapeva che Dio le promesse le mantiene. Ed è stata ripagata quando ha incontrato il suo Figlio risorto a vita nuova.

Ma c’è un altro aspetto che questo Vangelo ci suggerisce: Gesù ha voluto affidare al discepolo amato, alla Chiesa, a ciascuno di noi, la sua santissima madre, e a Maria ha affidato il discepolo amato, ha affidato ciascuno di noi. E non lo ha fatto in un momento qualunque, ma pochi istanti prima di morire. Se non fosse stato necessario per la nostra salvezza Gesù non avrebbe usato le ultime parole pronunciate prima di morire per consegnarci alla protezione amorevole di Maria.
Affidiamoci a lei nelle difficoltà, materiali e ancor più spirituali. Maria non ci abbandona, si prende cura di noi. Ella non ha mai disobbedito a Dio, non lo farà neanche questa volta.

Il riferimento è il Signore e non noi stessi

Può forse un cieco guidare un altro cieco?

Il rischio di essere ciechi o di avere una visione distorta

«Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso? Un discepolo non è più del maestro; ma ognuno, che sia ben preparato, sarà come il suo maestro». (Dalla liturgia)

Il primo paragone è quello della guida, che rischia di far cadere nel fosso chi si affida a lei. Il riferimento non è solo ai farisei del tempo di Gesù, ma è ai discepoli di tutti i tempi.

Il cieco non sa dove va. E il discepolo rischia di non sapere più dove va quando perde il punto di riferimento, quando perde di vista l’unica vera Guida: Gesù. Quando il discepolo non fa più riferimento agli insegnamenti di Gesù, al magistero della Chiesa, diventa cieco e smette di essere una guida affidabile.

La parola del discepolo non può separarsi da quella del Maestro. Il discepolo può solo cercare di spiegare quello che Gesù ha già detto, non può fare di testa sua, pena il rischio di cadere nel fosso, di rovinare cioè la propria vita e quella degli altri.

Il secondo paragone è quello della pagliuzza e della trave. Talvolta, per essere fedeli alle parole di Gesù, è necessaria la correzione fraterna, cioè dire al fratello che sta sbagliando qualcosa.

Il rischio, in questi casi, è quello di usare due pesi e due misure, di essere molto indulgenti con se stessi e puntigliosi con gli altri; di essere, nei confronti degli altri, più rigorosi di quanto lo sia Gesù stesso, e usare invece un metro eccessivamente morbido con noi stessi. È un atteggiamento ipocrita.

Il brano ci avvisa che è meglio cominciare la critica da noi stessi, perché è proprio verificando le nostre mancanze che noi riusciamo ad avere un giusto metro per valutare il comportamento degli altri. Cominciare la critica da noi stessi non è solo un modo di evitare l’ipocrisia, ma ci aiuta a capire quali siano i tempi, i modi, la gravità della correzione per gli altri. Solo chi mette in discussione se stesso ha la lucidità per vedere e per capire gli altri.

Il Signore ci vuole felici, per questo ci da questi suggerimenti: perché noi possiamo essere in grado di riconoscere ciò che è bene e ciò che è male, non basandoci su quello che pensa il mondo, ma basandoci solo sull’insegnamento del Signore, perché solo in esso troviamo ciò che ci serve per avere pace e gioia.

Quante volte siamo anche noi «farisei»?

Quante volte siamo anche noi «farisei»?

Analizziamo gli insegnamenti di Gesù su sabato.

Poi Gesù disse loro: «Domando a voi: in giorno di sabato, è lecito fare del bene o fare del male, salvare una vita o sopprimerla?». E guardandoli tutti intorno, disse all’uomo: «Tendi la tua mano!». Egli lo fece e la sua mano fu guarita.
Ma essi, fuori di sé dalla collera, si misero a discutere tra loro su quello che avrebbero potuto fare a Gesù
. (Dalla liturgia).

Gesù sa che scribi e farisei lo stanno ad osservare per poi accusarlo. Il problema stava nel fatto che Gesù faceva del bene in giorno di sabato.

Alcune scuole rabbiniche ammettevano che in giorno di sabato fosse possibile fare ciò che la legge non permetteva, ma solo in caso di pericolo di vita: per esempio salvarsi da un pericolo con la fuga, oppure assistere una donna colta dalle doglie del parto, o un uomo in grave pericolo di vita.

Gesù non aiuta un uomo in pericolo di vita. Con la sua azione non stabilisce un’eccezione, ma cambia il concetto teologico della norma: la norma è fatta per l’uomo, e non viceversa.

È questo che scribi e farisei non sopportano, ed Egli li sfida. Gesù non si nasconde nel compiere il miracolo, anzi da pubblicità al suo gesto, invitando l’uomo dalla mano inaridita a mettersi nel mezzo. E lo guarisce, scatenando la loro reazione.

Scribi e farisei non si curano che Gesù abbia potuto guarire un uomo con la sola parola. Si intestardiscono sul loro modo di pensare. Non rispondono alla domanda di Gesù.

Tante volte anche noi facciamo così: pensiamo che il nostro modo di vivere e di vedere le cose sia quello giusto, e non ci lasciamo interrogare né dal Vangelo né dalle cose che ci capitano nella vita. Tante volte Dio ci parla attraverso di esse, ma quando non riusciamo a liberarci dalle nostre idee preconcette e dalle nostre false sicurezze non riusciamo a cogliere ciò che la grazia di Dio ci fa capire per correggerci e vivere meglio.

Il richiamo alla coerenza

Il richiamo alla coerenza

Partendo dal rispetto del digiuno, Gesù insegna a essere conformi a ciò che conta

In quel tempo i farisei e i loro scribi dissero a Gesù: «I discepoli di Giovanni digiunano spesso e fanno preghiere, così pure i discepoli dei farisei; i tuoi invece mangiano e bevono!». Gesù rispose loro: «Potete forse far digiunare gli invitati a nozze quando lo sposo è con loro? Ma verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto: allora in quei giorni digiuneranno».
Diceva loro anche una parabola: «Nessuno strappa un pezzo da un vestito nuovo per metterlo su un vestito vecchio; altrimenti il nuovo lo strappa e al vecchio non si adatta il pezzo preso dal nuovo. E nessuno versa vino nuovo in otri vecchi; altrimenti il vino nuovo spaccherà gli otri, si spanderà e gli otri andranno perduti. Il vino nuovo bisogna versarlo in otri nuovi. Nessuno poi che beve il vino vecchio desidera il nuovo, perché dice: «Il vecchio è gradevole!».
(Dal Vangelo secondo Luca)

La pagina del Vangelo di oggi ci invita a non cercare di tenere il piede in due scarpe, di non pretendere cioè di scegliere Dio e di rimanere nel male.

Non è possibile amare Dio e voler rimanere nel peccato. Il vestito vecchio non sopporta il pezzo di stoffa nuovo, i vecchi otri non sono in grado di trattenere la vitalità del vino nuovo.

Se si sceglie di servire Dio, di vivere in amicizia con Dio non si può voler rimanere in situazioni di peccato. I risultati sarebbero drammatici per la nostra anima: ci illudiamo di vivere in grazia di Dio e viviamo invece abitualmente in stato di peccato mortale, pensiamo di fare cosa gradita a Dio e invece ci stiamo dannando l’anima. Ci si illude di amare Dio se si vive abitualmente nel peccato: «Chi mi ama osserva i miei comandamenti» (Gv 14,21).

Chiediamo al Signore la forza di saperlo amare veramente, rinunciando al peccato e cercando, con il suo aiuto, di fare la sua volontà. Solo così potremo avere pace e gioia. Solo così si apriranno per noi le porte del Paradiso.