La preghiera di Gesù dopo i pasti

La preghiera di Gesù dopo i pasti

Gesù osservò scrupolosamente la legge ebraica, portandola a compimento

I Cristiani, e noi Cattolici in particolare, sappiamo benissimo che Gesù non ha cancellato l’Antico Testamento, ma lo ha portato a compimento rendendo l’Alleanza con l’uomo eterna. La conferma l’abbiamo dal rispetto che il Cristo dimostrò per le tradizioni vere del mondo ebraico.

Siamo autorizzati dunque a credere che Nostro Signore adempisse a tutti gli aspetti rituali, compreso dunque quello della “Preghiera del nutrimento”.

Gli Ebrei, allora come oggi, non pregano prima dei pasti, ma solo dopo, con il Birkat Hamazòn (ברכת המזון), ovvero una serie di benedizioni prescritte dall’Halakhah (legge ebraica) da recitare dopo aver consumato un pranzo o una cena in cui si è mangiato il pane o il matzah (pane azzimo), contenenti dunque farina o segala o orzo o avena o farro.

Questo tipo di ringraziamento si fa risalire al grande patriarca Abramo, il quale, ospitando nella propria tenda, invitava gli intervenuti, dopo i pasti, a ringraziare Dio. Qualora non avessero voluto farlo, Abramo annunciava di esigere 10 monete d’oro per il pane, 10 per il vino e altre 10 per il resto del cibo. A seguito di ciò, verosimilmente tutti i commensali accettavano di ringraziare il “Dio di Abramo” (dal testo di Rabbi Moshe Weissman, Il Midrash racconta, codice ISBN: 88-86674-52-2).

Nel Birkat Hamazòn sono previste quattro benedizioni: per il cibo, in ricordo di quando il popolo ebraico fu sfamato nel deserto; per la terra, per il ricordo del raggiungimento della Terra Promessa; per Gerusalemme e il Tempio, e infine per la bontà divina di Dio.

Dopo aver scandito le benedizioni, seguono altre preghiere rivolte a Dio, che iniziano invocandolo con il termine di Misericordioso o di Clementissimo.

Questa preghiera è stata certamente recitata dopo l’Ultima Cena di Gesù.

Il rito della cena di Pasqua (o Pesàch) prevede anche altre benedizioni durante lo svolgimento, ed è prescritta anche una sorta di zuppa di erbe amare, nella quale tutti i commensali intingono il pane. Da qui l’allusione di Gesù al traditore Giuda che intinse il boccone con Lui.

Madre Chiesa ci invita a ricordarsi della generosità di Dio, prima ancora di iniziare a consumare il pasto: un’abitudine che ci unisce spiritualmente al Padre.

Lasciare agire il Signore nella nostra vita

Lasciare agire il Signore nella nostra vita

L’affidamento a Gesù dona serenità e ci avvicina alla comprensione della gioia eterna

«Che cosa è più facile: dire “Ti sono perdonati i tuoi peccati”, oppure dire “Àlzati e cammina”? Ora, perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere sulla terra di perdonare i peccati, dico a te – disse al paralitico –: àlzati, prendi il tuo lettuccio e torna a casa tua».
(Dalla liturgia)

Se chiedessimo ad un certo numero di persone quale è il beneficio maggiore ricevuto dal paralitico del brano di Vangelo sopra riportato, possiamo essere sicuri che quasi tutti direbbero che è stata la guarigione fisica. Dalla lettura del brano però Gesù sembra non pensarla così. La prima cosa che fa, quando vede il paralitico, è dire: «ti sono rimessi i tuoi peccati».

Gesù ha operato la guarigione fisica solo dopo, e specifica che l’ha fatto per dimostrare che Egli ha il potere di rimettere i peccati. Non è insomma la guarigione fisica il primo pensiero di Gesù. Egli ritiene la liberazione del peccato la cosa più importante.

La paralisi del corpo impedisce il normale svolgersi della vita, interrompe o indebolisce i rapporti tra gli arti e il cervello, ma il peccato è qualcosa di peggio, che paralizza la vita dello spirito, che interrompe o indebolisce il rapporto con Dio. La paralisi del corpo esclude da una completa fruizione della vita di questo mondo, il peccato può escluderci dalla vita eterna. Il Signore opera raramente una guarigione fisica, succede ma è raro. Dio invece ci guarisce dal peccato ogni volta che, pentiti e disposti a cambiare, glielo chiediamo. Anzi, ha istituito un rimedio semplice, facilmente fruibile per guarirci da quella malattia dell’anima che è il peccato: il sacramento della confessione. E per questo è opportuno farne uso, farne un uso serio e frequente.

Il Signore vuole risanarci: lasciamolo agire nella nostra vita, permettiamogli di togliere dalla nostra vita il peccato, che è ciò che ci impedisce di vivere in pienezza, che è ciò che ci impedisce, pur tra i dolori e i limiti di questa vita, di essere pienamente felici.

Cos’è la Fede? È seguire colui di cui ci fidiamo

Cos'è la Fede? È seguire colui di cui ci fidiamo

La misura della nostra fede determinerà il nostro futuro

«Avvenga per voi secondo la vostra fede». E si aprirono loro gli occhi.
Quindi Gesù li ammonì dicendo: «Badate che nessuno lo sappia!». Ma essi, appena usciti, ne diffusero la notizia in tutta quella regione.

(Dalla liturgia).

«Avvenga per voi secondo la vostra fede». È la fede che attira la potenza di Dio. Come il magnete attira il ferro, come alcuni corpi si attirano tra loro, allo stesso modo la nostra fede attira la potenza di Dio: così scrivevano i Padri della Chiesa.

Se vogliamo che Dio agisca nella nostra vita, esercitando la sua potenza benefica su di noi, è necessaria la nostra fede. Cioè anzitutto credere che Dio abbia il potere di fare quello che gli chiediamo.

Ma la fede non è solo una questione che riguarda l’intelletto: credere significa amare colui di cui ci fidiamo. Se amiamo Dio e ci fidiamo di Lui, crediamo anche che le parole che ci rivolge siano vere.

Credere significa dunque fidarci di Dio, credere che le sue parole siano vere, e adeguare la nostra vita alla verità che professiamo. Se ciò in cui crediamo non incide nella nostra vita e nelle nostre scelte concrete, la nostra fede è vuota, inutile, non ci porta alcun beneficio in questa vita e non ci giova per la salvezza eterna.

Costruirsi un Dio secondo le proprie idee

Costruirsi un Dio secondo le proprie idee

Il monito di Gesù

«Per te verranno giorni in cui i tuoi nemici ti circonderanno di trincee, ti assedieranno e ti stringeranno da ogni parte; distruggeranno te e i tuoi figli dentro di te e non lasceranno in te pietra su pietra, perché non hai riconosciuto il tempo in cui sei stata visitata».
(Dalla liturgia).

Gesù è triste, piange lacrime vere (il verbo originale greco indica un pianto vero, che si vede e si sente). È triste perché Gerusalemme lo ha rifiutato, ha rifiutato Dio, ha perso la grande occasione, quell’occasione che nella vita occorre saper afferrare. Questa grande occasione è detta «la via della pace». Questa espressione nella Bibbia ha un significato più ampio di quello che intendiamo noi, indica tutto ciò di cui l’uomo ha bisogno per stare bene, per avere nel cuore la pace e la gioia.

Perché gli Ebrei, nella loro maggioranza, hanno rifiutato Gesù? Perché non era quello che si aspettavano: infatti Signore è venuto nell’umiltà, nella normalità di una persona di umili origini. Gli Ebrei invece si aspettavano una venuta sfolgorante. E visto che il Signore non corrispondeva alle loro idee, non lo hanno accolto.

Gesù ha fatto miracoli, ma non può nulla contro coloro che hanno deciso di rifiutarlo. E piange, perché sa che rifiutando Dio, gli abitanti di Gerusalemme stanno accumulando castighi sopra la loro testa.

Questo messaggio vale anche per noi, che spesso rifiutiamo il Signore, rifiutiamo il suo messaggio di salvezza perché le cose non vanno come vorremmo noi. E questo può portarci alla rovina, in questa vita e nell’altra. Accogliamo il Signore mentre si fa trovare, perché non è detto che torni a visitarci.

AVVISO IMPORTANTE

La Santa Messa della XXXIII domenica del Tempo Ordinario, prevista per domani, è

ANTICIPATA A OGGI, sabato 16 novembre, alle ore 17.00, per indisposizione momentanea di Don Luciano, e sarà celebrata dal Vicario Foraneo Don Enrico Giovannini.

L’insistenza dei figli e la pazienza del Padre

L'insistenza dei figli e la pazienza del Padre

Dio gradisce anche l’insistenza nel chiedere, perché è testimonianza d’amore

«In una città viveva un giudice, che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno. In quella città c’era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: “Fammi giustizia contro il mio avversario”. Per un po’ di tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: «Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno, dato che questa vedova mi dà tanto fastidio, le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi».
(Dalla liturgia)

Questo brano di vangelo ci mette davanti ad una realtà che viviamo ogni giorno, e che sembra contraddire l’esistenza stessa di Dio. Se Dio è giusto, perché permette che i buoni (la vedova) subiscano ingiustizie da parte di persone disoneste (il giudice)? Se Dio è buono, perché permette che il male turbi la vita degli innocenti? Perché permette il male, l’ingiustizia, la malattia, la sofferenza, la morte? Perché sembra tardare a fare giustizia?

Il brano ci esorta a non perdere la speranza, a continuare a chiedere, fiduciosi di essere ascoltati («farà loro giustizia prontamente»). La conclusione del brano sposta l’attenzione su un altro fatto: la fede. «Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?».

Non scoraggiatevi – sembra dire il brano di oggi – se nel mondo c’è il male e c’è l’ingiustizia: Dio porrà rimedio a tutto questo, in questo mondo o nell’altro. Preoccupatevi invece di custodire e rafforzare la vostra fede. È la fede retta e operosa infatti che ci permette di vivere bene in questa vita, anche facendo i conti con il male e con l’ingiustizia, e ci permetterà di essere accolti nella vita eterna, dove il male e l’ingiustizia non troveranno posto.

Fiducia e riconoscenza: le fasi dell’amore per Dio

Fiducia e riconoscenza: le fasi dell'amore per Dio

A ringraziare fu il solo Samaritano

E mentre essi andavano, furono purificati. Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano. Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono?»
(Dalla liturgia).

I lebbrosi iniziano a guarire mentre camminano. Gesù ha comandato loro di andare dai sacerdoti quando ancora i segni della lebbra erano sul loro corpo. I lebbrosi hanno obbedito alla parola di Gesù senza avere prove.

È questa fede che li ha guariti. La fiducia che quello che il Signore dice è buono per la nostra vita ci spinge ad agire anche quando sembra che le parole del Signore non abbiano riscontro nei fatti.

È questa fiducia però che permette a Dio di agire e di portare frutti di bene nella nostra vita. Il Signore vuole la nostra fede per agire nella nostra vita, non perché ne abbia bisogno (è onnipotente!) ma perché ci ama, ci stima più di quanto spesso noi stimiamo noi stessi, e non vuole agire senza il nostro consenso e senza la nostra collaborazione.

Il «culto del Tempio» e il «culto dell’Amore di Dio»

Il «culto del Tempio» e il «culto dell'Amore di Dio»

Ciò che il Signore ci chiede …

Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori del tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: «Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!».
(Dalla liturgia).

Celebriamo oggi la festa che ricorda la dedicazione della Basilica di San Giovanni in Laterano, la chiesa cattedrale di Roma, considerata madre e capo delle chiese di tutto il mondo.

Il brano di vangelo ci riporta l’episodio della cacciata dei mercanti del tempio. Che senso ha questo episodio? Cosa facevano di male queste persone? Vendevano ai pellegrini gli animali necessari per i sacrifici e cambiavano le monete romane (considerate impure, perché portavano l’effige dell’Imperatore) con le monete degli Ebrei. Cose tutte prescritte dalla legge di Mosè. E allora? Dove sta il male? Che senso ha il gesto di Gesù?

Certo, come sempre quando ci sono di mezzo i soldi si verificavano ingiustizie, i cambiavalute e i venditori di animali se ne approfittavano (ricordiamo che il tempio di Gerusalemme, ai tempi di Gesù, era la maggiore banca del Medio Oriente), c’era un cospicuo giro di soldi attorno ad esso, a tutto vantaggio della famiglia dei sommi sacerdoti. Ma non è certo l’unica volta che Gesù si è trovato di fronte a un’ingiustizia, e non lo abbiamo mai visto passare alle vie di fatto! E allora? Cosa significa tutto questo?

Con la cacciata dei mercanti Gesù non si limita a deplorare le ingiustizie commesse da queste persone, ma mostra che il culto del tempio è oramai finito per sempre. Con questo gesto Gesù inaugura un nuovo modo di rapportarsi con Dio. Al Signore non interessano i sacrifici di animali, Egli vuole il nostro amore, il nostro cuore.

Se facciamo un’offerta, se facciamo un sacrificio, non lo facciamo per comprare la benevolenza di Dio, quasi a metterlo tranquillo per continuare a vivere come vogliamo, ma lo facciamo per esprimere amore e riconoscenza. E come possiamo allora rendere concreto il nostro amore verso di Lui? Ce lo dice il vangelo di Giovanni: «chi mi ama osserva i miei comandamenti» (Gv 14,24).

Il modo di amare Dio, di essergli graditi, è riconoscerlo Signore della nostra vita, è essere docili alla sua volontà. Dio vuole il nostro cuore, non le nostre cose. Queste sono già sue.

Shémà Israel: la domenica dell’Ascolto

Shémà Israel: la domenica dell'Ascolto

Ascoltare mette il cuore in condizione di aprirsi al bene che sconfigge anche la morte

Lo scriba che interpella Gesù aveva percepito che le pratiche rituali non sono sufficienti da sole a portare l’uomo verso Dio nel modo in cui il Padre vuole. Si fa dunque scrupolo di chiedere a Gesù, che riconosce come Maestro, quale sia la cosa più importante, ovvero il Comandamento più rilevante.

La risposta di Gesù è chiara e indica la stretta attinenza tra amare Dio e amare il prossimo.

Ma sono altrettanto significative del brano del Vangelo le due letture che lo precedono nella liturgia di oggi, 3 novembre 2024, tratte rispettivamente dal Deuteronomio e dalla Lettera agli Ebrei.

La prima ci recita la parte iniziale dello Shémà Israel contenuto in uno dei discorsi di Mosè nel Deuteronomio, ovvero quella preghiera che ogni Ebreo osservante recita almeno due volte al giorno e che costituisce le ultime parole della giornata.

Amare Dio con tutte le forze fa emergere l’urgenza dell’amore e ascoltare la Sua Parola vuol dire essere coerenti nell’amore.

Come sappiamo, secondo le risultanze storico-critiche testuali, la Lettera di San Paolo Apostolo agli Ebrei non è una lettera, non è di Paolo e non fu diretta agli Ebrei. In realtà è un sermone, in quanto non ha le classiche caratteristiche epistolari, fu scritta in pseudo-epigrafia (che allora era di uso comune e accettato) dai discepoli di Paolo, e infine era diretta ai primi cristiani provenienti dall’ebraismo.

Aggiunge però al discorso sull’amore la gratuità sacerdotale unica e piena di Gesù.

L’ascolto è dunque il protagonista di oggi nell’insegnamento del Cristo. Quell’ascolto che è preghiera e fa parte di essa quando diviene matura. L’amore è ciò che vince tutto: Gesù ci ha dimostrato che sconfigge anche la morte. Se il male non ha un valore costitutivo di sé stesso in senso ontologico, perché come diceva Sant’Agostino, è assenza di bene, e non può costituirsi ontologicamente un qualcosa che è assenza di qualcos’altro, si deduce che il male si può sconfiggere solo col bene, anzi col Bene, che è solo Dio. Il Bene, nel senso assoluto non comprende guerre, battaglie o violenza, ma l’amore. Ecco perché amare Dio è vincere il Male, e dunque risulta il bene per noi e per il nostro prossimo.

Il Regno di Dio: l’apparentemente piccolo che diventa il «tutto»

Il Regno di Dio: l'apparentemente piccolo che diventa il «tutto»

Nella spiegazione di Gesù c’è la potenza di Dio

«A che cosa è simile il regno di Dio, e a che cosa lo posso paragonare? È simile a un granello di senape, che un uomo prese e gettò nel suo giardino; crebbe, divenne un albero e gli uccelli del cielo vennero a fare il nido fra i suoi rami».
E disse ancora: «A che cosa posso paragonare il regno di Dio? È simile al lievito, che una donna prese e mescolò in tre misure di farina, finché non fu tutta lievitata».

(Dalla liturgia)

Le due brevi parabole (quella del granello di senape e quella del lievito e della pasta) hanno in comune la piccolezza degli inizi e l’inaspettata grandezza della conclusione. È la dinamica del regno di Dio: ciò che riguarda Dio ha una vita nascosta in sé.

Tante volte quando si fa qualcosa per il Signore, per la Chiesa, sembra di fare qualcosa di inutile, qualcosa di veramente insignificante. Il Signore ci raccomanda di non scoraggiarci. Il regno di Dio ha una vitalità propria, è la forza di Dio che fa crescere.

Queste parabole ci invitano a non scoraggiarci, a non demordere quando vediamo risultati non all’altezza del nostro impegno e delle nostre aspettative, e a considerare quanto sia importante ogni occasione, ogni incontro.

Una situazione apparentemente insignificante non deve diventare occasione di disimpegno o di rifiuto, perché non sappiamo quali frutti di grazia il Signore saprà trarre da essa.