Non conta la linea di sangue, ma la Fede

Non conta la linea di sangue, ma la Fede

La salvezza è per tutti

«Signore, il mio servo è in casa, a letto, paralizzato e soffre terribilmente». Gli disse: «Verrò e lo guarirò».
Ma il centurione rispose: «Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, ma di’ soltanto una parola e il mio servo sarà guarito
» (Dalla liturgia).

Il miracolo di Gesù beneficia il servo del centurione. Il centurione è un romano, un pagano, probabilmente simpatizza per la religione del Dio di Israele, ma è comunque un estraneo al popolo eletto. Eppure Gesù lo beneficia, gli fa avere quello che vuole.

Con Gesù cade la barriera tra il popolo eletto di Dio e gli altri: la salvezza è per tutti. Ciò che fa la differenza non è la stirpe, neanche il culto: è la fede.

Il discorso del centurione è un discorso fatto da uno che ha fede: come io comando ai miei subalterni, e ottengo ciò che comando perché ho il potere di farlo, così Tu puoi fare tutto quello che vuoi, perché hai il potere di farlo.

Il centurione esprime una fede solida, piena, nella divinità di Gesù, anche se probabilmente non l’ha ancora compreso del tutto. Ma sa che Gesù può, e si fida di Lui. E quando la potenza di Dio incontra la fede dell’uomo – ci dicono i padri della Chiesa – i risultati non tardano a mostrarsi.

Farisei? Lo siamo quando chiudiamo il cuore

Farisei? Lo sLo siamo quando chiudiamo il cuore

Gesù disse : “Fate ciò che dicono, ma non fate ciò che fanno”.

Nel parlare ai farisei della sua epoca, Gesù intendeva rivolgersi a tutti gli uomini.

Sappiamo chi erano i farisei: gente molto osservante, austera scrupolosa, che era certa di fare nulla di male e contro le Scritture.

Purtroppo questo atteggiamento è comune anche ai nostri giorni, con cristiani che dicono: «Io non rubo, non uccido, quindi sono un a brava persona e non ho bisogno della Chiesa».

Questo è un modo di pensare che addirittura è peggiore di quello dei farisei, che almeno osservavano i precetti. Si crea dunque una sorta di moderno fariseismo, che rifiuta anche la forma, oltre che la sostanza, lasciando viva solo l’apparenza.

Ma nelle parole di Gesù ci sono significati ancora più profondi che accusano l’ipocrisia.

I farisei erano duri con i peccatori, non tolleravano alcuna mancanza, ed erano molto propensi (forti della convinzione di essere buoni) che non vedevano neppure «la trave» nei loro stessi occhi.

Siamo così anche noi quando confondiamo la misericordia con la condanna del peccato.

La realtà cristiana prevede che il peccato sia sempre condannato, ma occorre essere misericordiosi col peccatore. Gesù ha infatti detto chiaramente che non spetta a noi separare la zizzania dal grano. Non usando misericordia nei confronti dei peccatori noi compiamo il peccato più grande: metterci al posto di Dio Giudice, ripetendo il peccato originale.

Non spetta a noi giudicare per non essere a nostra volta giudicati. Saremo giudicati col nostro metro: siamo noi stessi a chiederlo a Dio tutte le volte che recitiamo il Padre Nostro («… rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori …»).

Le regole vanno osservate: i Sacramenti si ricevono in stato di grazia. Ma il giudizio sul peccatore spetta solo a Dio.

Ecco perché Gesù avvisa spesso i farisei e noi allo stesso tempo: non siate sepolcri imbiancati e usate misericordia.

Perché il Natale è festeggiato il 25 dicembre?

Perché il Natale è festeggiato il 25 dicembre?

Una data che ha anche una tradizione pagana

Oggi a parlare di «inculturazione» si rischia di non essere compresi, perché ci si scandalizza quando si cerca di far crescere una persona portandola gradualmente ad una scoperta di Fede.

Mi riferisco a tutti quelli che per scarsa conoscenza strumentalizzano le note «preghiere» alla Patchamama.

Anticamente l’inculturazione era uno dei mezzi usati più frequentemente, ed era, come oggi, considerato uno strumento intelligente.

Il 25 dicembre era una data che rappresentava per la società romana un giorno importante sia dal punto di vista religioso che da quello civile.

Va ricordato infatti che la «religione» dei Romani, era molto utilitaristica. Non si pretendeva che si credesse negli dei, ma era sufficiente praticare i riti per non farli arrabbiare, allo scopo unico di proteggere Roma.

I Romani, verso la fine di quello che oggi noi chiamiamo dicembre, festeggiavano i Saturnali, ovvero i giorni dedicati al Sol Invictus, il Sole invincibile. Nello specifico, il 25 dicembre, proprio nel cuore delle festività, era detto Dies Natalis Sol Invictus.

Era di fatto l’immagine del Dio che con la sua apparizione e la sua luce sfolgorante vince le tenebre.

Questo significato fu assunto dai Cristiani, i quali comprendevano tra le tenebre anche le divinità pagane. Non vi era quindi alcuna difficoltà nel sostituire la festa pagana e dargli un significato cristiano che spiegasse una delle funzioni del Cristo, ovvero l’illuminazione delle genti.

Questa «sostituzione» avvenne in modo praticamente automatico: si trattava infatti del festeggiamento della nascita del Dio che illumina. Non vi fu quindi alcun documento ad attestarlo, e di preciso non si sa neppure esattamente quando il 25 dicembre divenne una festa «completamente» cristiana.

Benedetto XVI, durante un’udienza disse: «Il primo ad affermare con chiarezza che Gesù nacque il 25 dicembre è stato Ippolito di Roma, nel suo commento al Libro del profeta Daniele, scritto verso il 204».

Prima di allora si è sempre fatto riferimento unicamente al documento «Cronografo del 354» dal quale si desume che la nascita di Cristo fosse festeggiata già prima del 336.

Si è trattato dunque di un’acquisizione graduale che è sempre stata considerata simbolica.

È curioso però constatare che dagli incroci delle risultanze dei documenti antichi, alcuni studiosi non escludano che in effetti gli eventi evangelici della nascita di Gesù di Nazareth possano essere accaduti proprio verso la fine di dicembre.

La collocazione del giorno della nascita di Cristo non è però oggetto di fede e resta una magnifica attestazione di significato. Non a caso la data del Natale è considerato una giornata di felicità e augurio di pace per ogni cultura.

Gesù richiama la fermezza

Gesù richiama la fermezza

La misericordia non esclude la giustizia e la coerenza

«Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso!» (Dalla liturgia).

Oggi, molto spesso, siamo tentati di proporre un cristianesimo riveduto, addolcito, politicamente corretto, che non è nemmeno una brutta copia di quello vero.

Una caratteristica di questo pseudo-cristianesimo, di questa religione così diversa da quella del Vangelo, è immaginare che il cristiano – sul piano dei principi – possa e debba andare d’accordo con tutti. Anche con coloro che esplicitamente rifiutano il messaggio di Gesù e hanno una concezione della vita assolutamente diversa.

L’importante, si sente talvolta dire, è evitare le polemiche, le discussioni, i disaccordi, le lotte. L’importante è non passare per intolleranti, per fanatici, per retrogradi. L’importante, si dice, è cercare ciò che ci unisce, non sottolineare ciò che ci divide. L’importante è la pace, a qualunque costo, anche a costo di rinunciare alle nostre convinzioni o di nasconderle.

Gesù, dal Vangelo di oggi, sembra pensarla in maniera diversa. Ci dice infatti: «pensate che io sia venuto a portare la pace sulla terra? No vi dico. Sono venuto a portare la divisione». Il destino della verità è questo: da qualcuno è abbracciata e difesa, da qualcun altro è respinta e combattuta.

Il cristiano che in tutte le questioni che contano, in tutti i problemi etici e sociali, la pensa come con chi cristiano non è, che si trova molto spesso d’accordo anche con chi combatte la nostra religione, deve chiedersi seriamente se sia davvero un discepolo del Signore.

Se il denaro è il centro di interesse si perde di vista l’essenziale

Se il denaro è il centro di interesse si perde di vista l'essenziale

L’obiettivo è il Regno di Dio

Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà? Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio (Dalla liturgia).


Il brano del Vangelo di oggi ci parla di una vicenda di una lite per un’eredità. È una cosa purtroppo molto comune, spesso gli eredi litigano per le questioni legate alla successione di un defunto. Per questo la legge di Mosè, al pari delle moderne legislazioni, regolamentava nel dettaglio le questioni ereditarie, ed era normale che le persone si rivolgessero agli esperti della legge, ai rabbì, per avere luce su questi affari.

Dunque un uomo si avvicina a Gesù e gli dice che il fratello non vuole dividere con lui l’eredità. E Gesù gli risponde: «Cosa vuoi da me? Non mi interessa». Come? A Gesù non interessa la giustizia? Non gli interessa aiutare una persona che ha subito un sopruso? Non gli sta a cuore la sorte di chi è stato derubato dall’egoismo degli altri? No, certo che no. Ma senz’altro a Gesù sta più a cuore che non si facciano confusioni, gli sta a cuore che si capisca che il suo messaggio è innanzitutto l’annuncio del Regno di Dio, e non la sistemazione delle cose di questo mondo.

Pesca miracolosa: perché Giovanni specifica che i pesci furono 153?

Pesca miracolosa: perché Giovanni specifica che i pesci furono 153?

153 era il numero dei popoli conosciuti, un’indicazione derivante dalla numerologia ebraica, o altro?

Nel Vangelo di Giovanni, Gesù risorto esorta Pietro a gettare le reti, e ne scaturisce una pesca miracolosa. La narrazione di questo evento, però, specifica addirittura che il numero di pesci che gli apostoli portarono sulla barca fu 153.

Perché Giovanni ci tiene tanto a far sapere questo dettaglio che potrebbe essere interpretato come banale?

Sappiamo che nelle Scrittura nulla è banale, tanto è vero che da millenni ogni parola viene analizzata e produce fonti inesauribili di interpretazioni calzanti.

Alcuni esegeti spiegano semplicemente che Giovanni volesse in questo modo attestare la propria presenza all’evento, tanto da essere in grado di riferire un dettaglio così particolare. Ma incuriosisce la particolarità che questo numero assume.

Altri studiosi sostengono che 153 fosse il numero delle popolazioni allora conosciute (opinione accademica molto accreditata). In questo caso il significato oltrepasserebbe l’aspetto informativo. Il riferimento passerebbe chiaramente ad essere l’evangelizzazione in tutto il mondo, superando le barriere costituite dalla convinzione giudaica circa il “popolo eletto”.

Abbiamo diverse testimonianze circa gli studi effettuati su questo argomento, alcune delle quali coinvolgono dei giganti del pensiero cristiano.

San Girolamo, per esempio, era convinto che le specie ittiche esistenti fossero proprio 153. Ma ad onor del vero occorre dire che il numero delle specie marine, secondo altri autori, potesse essere anche differente.

La riflessione di Sant’Agostino ricorse alla matematica. Il numero 153 è una cifra “triangolare” con la base costituita dal 17 (non a caso corrispondenti a 10 + 7, per gli ebrei rispettivamente moltitudine e totalità. Di conseguenza il messaggio sarebbe quello di presentazione della pienezza della Chiesa.

Cirillo di Alessandria individua invece il significato nella somma tra: 100 (i Gentili), 50 (gli ebrei) e 3 (la Trinità).

I tentativi di interpretazione non si fermano però qui.

Il biblista tedesco Heinz Kruse fece ricorso al valore numerico delle parole ebraiche e scoprì che 153 è la somma delle lettere che formano la frase “Chiesa dell’amore” (כנסיית האהבה). Le lettere ebraiche corrispondono a: “qhl h’hbh“.

Vi fu poi il teologo anglicano John A. Emerton, il quale vide un nesso con Ezechiele 47,10, verso che descrive i pescatori compresi tra le località sulle rive del Mar Morto, Enghedi ed EnEglaim. L’analogia viene colta perché stranamente anche i valori numerici dei nomi di queste località offre come risultato il numero 153.

È un profilo molto particolare della storicità dei Vangeli. Certo, essi non ignorano che gli eventi riguardanti Gesù hanno una dimensione profonda e trascendente che va oltre la realtà immediata delle cose. Tuttavia, sono anche convinti che il loro messaggio nasce da una vicenda storica, verificabile e documentabile attraverso la testimonianza diretta. Così ha fatto Giovanni a proposito del sangue e dell’acqua usciti dal costato del Cristo crocifisso (19,35) e delle vesti funebri lasciate nel sepolcro dal Cristo risorto (20,7). Il numero elevato si presterà poi a celebrare simbolicamente l’abbondanza dei frutti della missione dei discepoli, “pescatori di uomini”.

Nel 2014 Famigliacristiana.it pubblicò un interessante articolo a questo riguardo, dal quale è stato attinto molto per questo post.

La potenza del Santo Rosario

La potenza del Santo Rosario

Una preghiera che porta vantaggi immensi

Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l’angelo si allontanò da lei.
(Dalla liturgia).

Celebriamo oggi la festa della Madonna del Rosario. La liturgia della Chiesa ci fa meditare la pagina dell’Annunciazione dell’Angelo a Maria Vergine. Questo episodio (che è poi il primo dei misteri del Rosario) segna l’inizio della nostra redenzione.

Il Rosario è questo: contemplare, con gli occhi della Vergine Maria, i misteri della redenzione. La continua ripetizione della preghiera aiuta ad entrare nel mistero che si contempla.

L’Ave Maria si compone di tre parti: una prima parte riprende proprio le parole dell’Angelo alla Vergine, che abbiamo appena ascoltato, la seconda parte si compone delle parole che S. Elisabetta ha rivolto a Maria nell’episodio della Visitazione, e l’ultima parte inizia ricordando il primo dei dogmi mariani, quando invochiamo Maria come «Madre di Dio», e termina chiedendole di pregare per noi, nella nostra triste condizione di peccatori, adesso e in quel momento fondamentale per la vita di ciascuno che è quello della morte.

Tutti i misteri cominciano con la preghiera del Signore, il Padre Nostro, e terminano con l’invocazione alla Trinità eterna nel Gloria.

Il Rosario è sì una preghiera rivolta a Maria, ma è anzitutto una preghiera rivolta a Cristo, contemplando gli eventi della sua vita, morte e resurrezione. L’importanza e l’efficacia straordinaria di questa preghiera sono state ricordate da molti santi, che anche dalla preghiera del Rosario hanno tratto la forza di camminare con decisione sulla via indicata dal Signore, e dalla stessa Vergine Maria, a Fatima.

È una preghiera pensata per le persone normalmente impegnate nel lavoro e nella famiglia, una preghiera che si può recitare a pezzi, oppure anche mentre si svolge qualche altra attività. Se abbiamo la buona abitudine di recitare il Santo Rosario nella giornata, manteniamola. Se invece non l’abbiamo cominciamo a farlo, magari con una decina. Non è un impegno tanto gravoso, e i suoi vantaggi possono essere immensi.

La 100.a Santa Messa di Don Luciano in parrocchia

La 100.a Santa Messa di Don Luciano in parrocchia

Il nostro vicario parrocchiale taglia un traguardo simbolico importante

Con la Santa Messa celebrata questa mattina presso la Parrocchia dei Santi Nazario e Celso, a Mendatica, Don Luciano supera il traguardo delle 100 Messe in parrocchia.

Tutta la comunità gli si stringe attorno nella speranza di collaborare con lui per la vita religiosa (e non solo) del nostro paese.

Tanti auguri e grazie di cuore, Don Luciano. Ad maiora.

Si evangelizza solo attraverso la Parola di Dio

Si evangelizza solo attraverso la Parola di Dio

Un discepolo di Gesù non è tale se usa la logica degli uomini o le proprie interpretazioni personali

«Non prendete nulla per il viaggio, né bastone, né sacca, né pane, né denaro, e non portatevi due tuniche. In qualunque casa entriate, rimanete là, e di là poi ripartite. Quanto a coloro che non vi accolgono, uscite dalla loro città e scuotete la polvere dai vostri piedi come testimonianza contro di loro».
(Dalla liturgia).

Gesù da tre compiti ai suoi apostoli: liberare dal demonio, guarire dalle malattie e annunciare il regno di Dio. I compiti che Gesù ha dato ai suoi inviati sono i medesimi che Egli stesso ha realizzato.

L’apostolo ha Gesù come modello, la missione non è qualcosa che ha assunto di sua iniziativa, è obbedienza a un comando (è Gesù che manda), e anche il contenuto della missione è vincolato dalla parola del Signore.

L’apostolo non è mai un libero professionista: è legato ad un comando e ad una parola. Il cristiano che pensa di agire di testa propria, di annunciare un vangelo diverso, magari adattato alle proprie idee o a quelle del mondo, cessa di essere apostolo, non annuncia più Gesù ma annuncia solo se stesso. E la parola che annuncia non potrà avere efficacia, non potrà liberare dal demonio e guarire dal male, perché non è parola di Dio ma solo parola di uomini. E come tale non ha alcun potere.

L’uomo deve scegliere dentro di sé ciò che è buono

L'uomo deve scegliere dentro di sé ciò che è buono

Un insegnamento antropologico che indica la via di salvezza

«L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male: la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda». (Dalla liturgia)

Nel paragone dei due alberi, l’albero buono che porta frutti buoni e l’albero cattivo che da frutti cattivi, sembra che Gesù stia parlando delle opere: l’albero si giudica dai frutti, quindi, se volete essere credibili come discepoli, cercate di essere coerenti nelle vostre azioni. Sarete giudicati non dal messaggio che date, ma dalla coerenza della vostra vita.

In realtà non è proprio così. Le parole di Gesù ci dicono che le nostre azioni dipendono dal nostro cuore, come i frutti dipendono dalla sostanza dell’albero. È il cuore che determina la bontà del nostro agire. È dall’interno che arrivano le azioni buone e quelle cattive. Ciò che è necessario, per essere buoni, è purificare la sorgente, il nostro cuore. Il cuore, nel linguaggio della Bibbia, non è solo il centro delle emozioni, dei sentimenti, ma è il centro di tutto l’essere umano: la sua intelligenza, la sua volontà.

Gesù ci invita, prima ancora che a seguire ciò che il cuore ci invita a fare, a purificarlo. «Vai dove ti porta il cuore» è un modo di dire che ben conosciamo. Ma se il cuore ci suggerisce qualcosa di sbagliato, seguendolo rischiamo di fare sciocchezze, anche grosse. Per cui è necessario che il cuore, cioè l’intelligenza, la volontà, tutto il nostro essere, sia in grado di comprendere e volere ciò che è giusto. Per fare questo è necessario che il cuore sia purificato continuamente.

Facciamo un semplice esempio: se in un mulino noi mettiamo del buon grano, la farina che otteniamo sarà buona. Se mettiamo del grano scadente la farina sarà cattiva. Se i discorsi che ascoltiamo e facciamo, se le nostre letture, ciò che guardiamo alla televisione e sul computer sono cose buone, il nostro cuore sarà puro e in grado di suggerirci le cose migliori. Se abitualmente invece ci perdiamo in discorsi inutili o grossolani, se ciò che leggiamo o ascoltiamo non sono cose buone, il nostro cuore non sarà in grado di indirizzarci verso il bene, ma ci porterà a fare del male, a noi e agli altri.

Il Signore ci vuole felici, per questo ci da questi suggerimenti: perché noi possiamo essere in grado di riconoscere ciò che è bene e ciò che è male, non basandoci su quello che pensa il mondo, ma basandoci solo sull’insegnamento del Signore, perché solo in esso troviamo ciò che ci serve per avere pace e gioia.