L’uomo deve scegliere dentro di sé ciò che è buono

L'uomo deve scegliere dentro di sé ciò che è buono

Un insegnamento antropologico che indica la via di salvezza

«L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male: la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda». (Dalla liturgia)

Nel paragone dei due alberi, l’albero buono che porta frutti buoni e l’albero cattivo che da frutti cattivi, sembra che Gesù stia parlando delle opere: l’albero si giudica dai frutti, quindi, se volete essere credibili come discepoli, cercate di essere coerenti nelle vostre azioni. Sarete giudicati non dal messaggio che date, ma dalla coerenza della vostra vita.

In realtà non è proprio così. Le parole di Gesù ci dicono che le nostre azioni dipendono dal nostro cuore, come i frutti dipendono dalla sostanza dell’albero. È il cuore che determina la bontà del nostro agire. È dall’interno che arrivano le azioni buone e quelle cattive. Ciò che è necessario, per essere buoni, è purificare la sorgente, il nostro cuore. Il cuore, nel linguaggio della Bibbia, non è solo il centro delle emozioni, dei sentimenti, ma è il centro di tutto l’essere umano: la sua intelligenza, la sua volontà.

Gesù ci invita, prima ancora che a seguire ciò che il cuore ci invita a fare, a purificarlo. «Vai dove ti porta il cuore» è un modo di dire che ben conosciamo. Ma se il cuore ci suggerisce qualcosa di sbagliato, seguendolo rischiamo di fare sciocchezze, anche grosse. Per cui è necessario che il cuore, cioè l’intelligenza, la volontà, tutto il nostro essere, sia in grado di comprendere e volere ciò che è giusto. Per fare questo è necessario che il cuore sia purificato continuamente.

Facciamo un semplice esempio: se in un mulino noi mettiamo del buon grano, la farina che otteniamo sarà buona. Se mettiamo del grano scadente la farina sarà cattiva. Se i discorsi che ascoltiamo e facciamo, se le nostre letture, ciò che guardiamo alla televisione e sul computer sono cose buone, il nostro cuore sarà puro e in grado di suggerirci le cose migliori. Se abitualmente invece ci perdiamo in discorsi inutili o grossolani, se ciò che leggiamo o ascoltiamo non sono cose buone, il nostro cuore non sarà in grado di indirizzarci verso il bene, ma ci porterà a fare del male, a noi e agli altri.

Il Signore ci vuole felici, per questo ci da questi suggerimenti: perché noi possiamo essere in grado di riconoscere ciò che è bene e ciò che è male, non basandoci su quello che pensa il mondo, ma basandoci solo sull’insegnamento del Signore, perché solo in esso troviamo ciò che ci serve per avere pace e gioia.

Nel nome di Maria troviamo la necessità del dogma dell’Immacolata

Nel nome di Maria troviamo la necessità del dogma dell'Immacolata

Per gli ebrei nel nome stanno le caratteristiche personali

«In quei giorni, Gesù se ne andò sul monte a pregare e passò tutta la notte pregando Dio. Quando fu giorno, chiamò a sé i suoi discepoli e ne scelse dodici, ai quali diede anche il nome di apostoli».
(Dalla liturgia).

La festa del santo nome di Maria fu concessa da Roma, nel 1513, ad una diocesi della Spagna, Cuenca. Fu soppressa dal papa san Pio V, ripristinata da papa Sisto V e poi estesa nel 1671 al Regno di Napoli e a Milano.

Il 12 settembre 1683, avendo Giovanni III Sobieski con i suoi Polacchi sconfitto i Turchi che assediavano Vienna e minacciavano la Cristianità, il beato papa Innocenzo XI, come ringraziamento, estese la festa a tutta la Chiesa, e fissò la data nella domenica compresa nell’Ottava della Natività di Maria. Il santo papa Pio X riportò la data al 12 settembre.
È una festa particolarmente legata alla Natività di Maria, che si festeggia il giorno 8 settembre.

Cosa significa celebrare il Nome di Maria? Il nome, nella Bibbia, indica le caratteristiche proprie della persona. Maria nella lingua ebraica ha diversi significati. Ma il vero nome di Maria lo ha pronunciato l’arcangelo Gabriele quando le ha portato l’annuncio: «piena di grazia». È questo l’appellativo con cui l’Arcangelo si è rivolto a Maria, e le ha causato l’iniziale turbamento.

Piena di grazia: significa piena dell’amore di Dio. Il verbo greco (la lingua in cui sono scritti i Vangeli) indica una pienezza completa, straboccante, in cui non può proprio entrare nient’altro. E in Maria non è entrato nulla che ha potuto inquinare o anche solo annacquare la Grazia di Dio. In Maria non è mai entrato il peccato, né quello originale né quelli personali. Per questo è piena dell’amore di Dio.

Essendo piena dell’amore di Dio è la creatura umana meglio riuscita: vivere nell’amore di Dio non mortifica la nostra umanità, ma la esalta, la porta a perfezione. Vivere lontano dal peccato non significa condurre un’esistenza un po’ triste, mortificata, ma vivere bene, pienamente, la nostra vita.

Celebrare il nome di Maria significa celebrare Maria, e celebrare Maria significa ricordare che è attraverso di Lei che Dio si è fatto uomo ed è venuto a salvarci, e che è attraverso di Lei che Dio vuole che andiamo a Lui.
Non stanchiamoci di chiedere l’aiuto di Maria, nelle difficoltà materiali ma soprattutto in quelle spirituali. Ricorriamo a Lei e chiediamole di aiutarci a vivere in grazia di Dio, di aiutarci a fare la sua volontà. Perché solo nella sua volontà è la nostra pace.

Gesù si rivela nella carne e nello Spirito

Gesù si rivela nella carne e nello Spirito

Distinguere ciò che è umano da ciò che è eterno

Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui. Allora cominciò a dire loro: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato» (dalla liturgia).

Gesù dice chiaramente ai suoi concittadini che il brano del profeta Isaia che stava leggendo è riferito proprio a Lui. Che è Lui che porterà a compimento le promesse di Dio.

Per dare un senso a queste parole dobbiamo però considerare quale sia stato lo scopo principale della sua incarnazione: Gesù non si è fatto uomo per risolvere i problemi pratici del vivere, per cancellare il male e l’ingiustizia dalla terra. Se così fosse non potremmo che concludere, a duemila anni di distanza, che ha miseramente fallito.

Lo scopo della venuta del Signore è quello di liberarci dalla schiavitù del peccato, e dalla dannazione eterna che del peccato è la conseguenza, e riconquistarci l’amicizia con Dio, e quindi con i fratelli. Se leggiamo il brano in quest’ottica, le parole di Gesù diventano comprensibili, e vere. I veri poveri siamo noi: quando decidiamo di vivere nel peccato.

Il peccato ci rende poveri, ci priva della cosa più importante della vita: la grazia di Dio, cioè la vita interiore che Dio continuamente ci trasmette, e la promessa della vita eterna. Il peccato poi ci rende prigionieri, prigionieri di noi stessi, nel senso che ci ingabbia e ci rende difficile fare a meno di esso. Ci rende oppressi, perché ci toglie la gioia di vivere, e spesso ci priva di un atteggiamento di vera carità verso i nostri fratelli. Ci rende ciechi, non fisicamente, ma nel senso che chi vive nel peccato in maniera abituale perde di vista il senso della vita, non capisce più cosa sia al mondo a fare, vive nella confusione, in un tourbillon di cose inutili, perdendo di vista ciò che per cui vale davvero la pena di vivere.

Proclamare l’anno di grazia. Cos’è questo anno di grazia? È il tempo che stiamo vivendo, dopo che Gesù, con il suo sacrificio, ci ha riconciliati con il Padre e ci ha permesso di uscire dalla schiavitù del demonio, ci ha strappato dalla dannazione riaprendoci la strada per la vita eterna.

In questo tempo di grazia e di misericordia noi siamo chiamati a vivere, amando Dio e il prossimo, osservando i comandamenti del Signore, abbeverandoci a quella fonte di grazia che sono i sacramenti (in particolare la Confessione e l’Eucaristia), cercando con il suo aiuto di non perdere l’appuntamento più importante della nostra vita: la felicità piena ed eterna del paradiso.

L’ipocrisia impedisce di far emergere la sostanza

L'ipocrisia impedisce di far emergere la sostanza

L’accusa ai farisei è straordinariamente attuale

«Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che chiudete il regno dei cieli davanti alla gente; di fatto non entrate voi, e non lasciate entrare nemmeno quelli che vogliono entrare». (Dalla liturgia).

La ragione principale di queste pesanti critiche di Gesù ai farisei è l’ipocrisia. Nel mondo antico ipocrita era la parola che definiva gli attori, che nel teatro recitavano con il volto coperto da pesanti maschere di cartapesta. L’ipocrita in sostanza è uno che finge.

Farisei e dottori della legge fingevano, attraverso abili stratagemmi, di osservare fedelmente la legge di Dio. In realtà ne osservavano con scrupolo i minimi dettagli riuscendo abilmente a trasgredire i precetti fondamentali: la giustizia e la carità. Una religiosità simile non avvicina a Dio, non cambia il cuore.

Anche noi cristiani spesso ci comportiamo così: siamo attenti alle forme ma trascuriamo del tutto la sostanza.

Un simile modo di accostarsi alle cose di Dio offende gravemente il Signore, perché alla fin fine si concretizza in una presa in giro nei suoi confronti.

Chiediamo a Dio di darci un cuore semplice, pulito, che sappia amarlo e obbedirlo in modo puro e onesto, così da permettergli di riversare nella nostra vita i suoi doni di amore e di misericordia.

Essere lontani da Dio è tristezza

Essere lontani da Dio è tristezza

Il brano sul giovane ricco non si fonda sui beni materiali, ma sulla vera gioia

«Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; e vieni! Seguimi!».
(Dalla liturgia).

Molti di noi pensano che il centro di questa pagina evangelica sia: «vendi quello che possiedi, dallo ai poveri». Invece, probabilmente, al centro di questo brano sta la parola «triste».

Gesù non chiede a tutti di disfarsi dei propri beni per seguirlo. Lo chiede a qualcuno, per esempio ai religiosi, ma alla maggior parte dei cristiani non lo chiede.

Per piacere al Signore non è obbligatorio disfarsi dei propri beni e vivere una vita di speciale consacrazione. Al giovane ricco il Signore però lo ha chiesto come condizione per seguirlo. E il giovane ricco ha rifiutato. Ma questo lo ha reso triste.

Perché se ne è andato triste? Era giovane, era ricco: due ottimi motivi per non essere triste! Era anche una brava persona; osservava i comandamenti. E allora? Eppure se ne va via triste.

Quando si perde il Signore si perde la gioia. Questo brano ci mette in guardia dalla tentazione di credere che la ricchezza, le cose di questo mondo, ci possano rendere felici, o almeno soddisfatti. Noi ci illudiamo che i beni materiali possano riempire il nostro cuore. Per questo a un ricco è particolarmente difficile entrare nel regno di Dio: perché crede di avere già quello che gli serve per poter vivere bene, di bastare a se stesso, di non aver bisogno di Dio.

Ma è solo un’illusione: il nostro cuore, come dice Sant’Agostino, è inquieto finché non riposa in Dio, e niente meno di Dio può dargli pace e gioia.

Dogma, un termine che spesso spaventa

Dogma, un termine che spesso spaventa

È un principio fondamentale con basi filosofiche e dottrinali inoppugnabili

Nella prossimità della solennità dell’Assunzione di Maria Santissima al cielo, che celebra l’ascesa in paradiso della Madre di Dio in corpo e anima, dogma della Chiesa Cattolica, soffermiamoci sul significato di questo termine che continua in molti a generare perplessità dovute anche alla scarsa conoscenza del termine.

Stando alla definizione del Vocabolario Treccani, il dogma ( = domma) è: «[dal lat. dogma -ătis, gr. δόγμα -ατος «decreto, decisione», der. di δοκέω «mi sembra»] (pl. -i). – Principio fondamentale, verità universale e indiscutibile o affermata come tale: d. filosofici, politici; i d. della scienza; d. giuridico, principio teorico di un istituto giuridico, del quale costituisce il sostrato fondamentale».

Analizziamo dunque da vicino. È dogma un principio fondamentale (quindi senza il quale si perderebbe fondamento), verità decretata in modo ampio da ritenersi indiscutibile all’interno di una dottrina, che viene affermata (e di conseguenza riconosciuta) da un’analisi filosofica, teologica (in ambito religioso), ma anche politico, scientifico e giuridico in altri campi.

Un dogma non è perciò un qualcosa che dobbiamo capire a tutti i costi, ma accettare per fede dopo che è stato vagliato attentamente e soppesato in ogni suo aspetto, e senza il quale non potrebbero essere tutti gli altri aspetti delle fede che invece hanno un riscontro evidente.

In altre parole, il Papa, decretando ad esempio il dogma dell’Assunzione di Maria Santissima, non l’ha fatto per devozione, ma perché senza riconoscere la sua ascesa in questo modo, non potremmo neanche credere che essa sia la Madre del Figlio di Dio.

Ne deriva che se crediamo nella Madonna, la conseguenza è quella di non mettere in dubbio la sua Assunzione.

Credere e dare credibilità a un dogma non è altro che essere Cristiani. Se non riconoscessimo Maria come Madre di Gesù non riconosceremmo neppure che Egli è il Figlio di Dio, e dunque non saremmo Cristiani.

Il dogma è allora facile da definire: esso è «verità soprannaturale contenuta, in modo implicito e esplicito, nella Rivelazione, e proposta dalla Chiesa come verità di fede, oggettiva e immutabile» (Vocabolario Treccani).

Un dogma è anche quello della Trinità, o anche della Immacolata Concezione, tutti concetti profondi e inesplorabili dalle capacità umane, ma che si raggiungono nella percezione attraverso una logica stringente e di apertura alla fede.

È curioso infatti vedere come molti fedeli o semplici praticanti non si pongano il problema della Trinità, molto più complesso, e si fissino invece sulla figura di Maria, dimenticando un tratto fondamentale per ogni credente in qualsiasi dottrina: «nulla è impossibile a Dio».

Pietro cammina sulle acque per fede e affonda per paura

Pietro cammina sulle acque per fede e affonda per paura

I limiti che poniamo a noi stessi

Pietro scese dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù. Ma, vedendo che il vento era forte, s’impaurì e, cominciando ad affondare, gridò: «Signore, salvami!». E subito Gesù tese la mano, lo afferrò e gli disse: «Uomo di poca fede, perché hai dubitato?».
(Dalla liturgia).

Pietro, scendendo dalla barca e mettendosi a camminare sul mare, passa dall’entusiasmo spavaldo alla paura insensata. Il suo desiderio di essere vicino al Signore lo porta a fare un atto superiore non solo alle proprie forze, ma anche alla propria fede.

E il Signore lo lascia fare, non pone limiti alle sue aspirazioni. Lo aiuta a rendersi conto della sua debolezza e di basarsi con umiltà non sulle proprie capacità ma sull’aiuto del Signore.

Ci riconosciamo un po’ tutti in Pietro. La nostra vita e la nostra fede conoscono l’alternarsi della sicurezza e dell’inquietudine e della paura, specialmente quando le cose non vanno bene, specialmente quando ci troviamo, come i discepoli, in mezzo a qualche tempesta. Ma non dobbiamo temere: la mano del Signore c’è anche per noi. Non dubitiamo del suo aiuto e della sua attenzione per noi.

Egli non ci abbandona mai, anche quando tutto sembra perduto. Ricordiamoci delle parole che Gesù ha rivolto a Pietro: «Uomo di poca fede, perché hai dubitato?».

Non ci spaventiamo se la nostra fede è fragile e inconsistente. Il Signore è pronto, se lo vogliamo, a tendere la sua mano perché possiamo rialzarci.

Gesù spiega la parabola del seminatore

Gesù spiega la parabola del seminatore

Il bene e il male sono nel mondo, ma anche in noi

«Colui che semina il buon seme è il Figlio dell’uomo. Il campo è il mondo e il seme buono sono i figli del Regno. La zizzania sono i figli del Maligno e il nemico che l’ha seminata è il diavolo. La mietitura è la fine del mondo e i mietitori sono gli angeli» (Dalla liturgia).

La spiegazione della parabola della zizzania è chiarissima: non servono commenti per interpretarla.

È necessario ed urgente invece prendere sul serio questa parola di Gesù: nella realtà di questo mondo, così come lo conosciamo, il bene e il male coesistono. E, se vogliamo essere sinceri, nel cuore di ciascuno di noi trovano posto sia il bene che il male.

Nel mondo di là non sarà così: male e bene saranno divisi per sempre, in Paradiso non c’è posto per il dolore, la tristezza, la cattiveria, nell’Inferno non si trova alcuna forma di bene, ma solo rabbia, malvagità, disperazione.

La scelta spetta solo a noi.

Venerdì 28 luglio la nostra comunità in festa

Venerdì 28 luglio la nostra comunità in festa

Festa patronale e Sante Cresime impartite da Mons. Vescovo Borghetti

Quest’anno la nostra festa patronale, che ricorda i potenti patroni di Mendatica, Santi Nazario e Celso, sarà celebrata con una coincidenza di eventi significativi.

Per Camilla Bianchi, Aurora Gelso e Francesco Bianchi, sarà il giorno della Sacra Confermazione, in cui dalle mani di S. E. Monsignor Guglielmo Borghetti riceveranno il Sacramento della Cresima.

La funzione sarà integrata nella Santa Messa solenne che avrà inizio alle ore 10.30 celebrata appunto dal Vescovo, e concelebrata dal Parroco Don Enrico Giovannini, dal Vice Parroco Don Luciano Massaferro e dal Parroco di Santo Stefano di Villanova d’Albenga, Don Giancarlo Aprosio.

Alle ore 17.30 la recita del Vespro presso la Parrocchia dei Santi Nazario e Celso, cui seguirà la processione alla quale parteciperà la Confraternita di Santa Caterina Vergine e Martire di Mendatica. È prevista la partecipazione di almeno 11 altre confraternite della zona e l’animazione da parte della banda.

Al termine ci si ritroverà tutti in piazza per un momento di gioia e convivialità.

La nostra comunità si stringe quindi attorno al suo Vescovo, ai suoi pastori e in questo giorno di felicità soprattutto ai cari Aurora, Camilla e Francesco.

Anna e Gioacchino, i Santi del quotidiano

Anna e Gioacchino, i Santi del quotidiano

I nonni di Gesù danno all’Incarnazione il connotato storico e pratico: Cristo è uomo

«Un’altra parte cadde sul terreno buono e diede frutto: il cento, il sessanta, il trenta per uno. Chi ha orecchi, ascolti».
(Dalla liturgia).

I nomi dei genitori di Maria non sono ricordati nei vangeli canonici, in quelli che la Chiesa ci insegna essere stati scritti sotto l’ispirazione dello Spirito Santo, ma da un vangelo apocrifo.

Diversamente dai quattro vangeli canonici, i vangeli apocrifi sono opere scritte più tardi, più lontane quindi dagli avvenimenti della vita di Gesù, e spesso raccontano vicende storicamente non attendibili, e comunque di essi la Chiesa non ci garantisce l’attendibilità. La tradizione dei nomi dei genitori di Maria è comunque molto antica, risale ad un’opera di circa diciannove secoli fa.

In ogni caso, più che sulla certezza sul nome dei genitori della Vergine Maria e sui racconti legati ai loro nomi, possiamo chiederci perché la Chiesa ci fa celebrare la festa dei genitori di Maria, e quindi dei nonni di Gesù.

Celebrare la festa dei nonni di Gesù significa inserire la storia di Gesù, l’incarnazione di Dio, nella storia concreta di una famiglia umana, di una genealogia. L’incarnazione di Dio che si fa uomo passa attraverso la storia degli uomini.

L’incarnazione non è un qualcosa di astratto, ma si è realizzata sul serio, per mezzo di persone che, come noi, hanno un nome e un cognome. È una storia di uomini, ma è anche una storia di Dio.

Attraverso le normali vicende di un’ordinaria famiglia arriva il dono di Dio che supera ogni pensiero e ogni aspettativa. Maria è stata concepita dai suoi genitori come è stato concepito ogni essere umano, ma Dio, sin da quell’istante, la ha preservata da ogni macchia di peccato, in previsione dei futuri meriti di Cristo.

I genitori di Maria, si chiamassero Anna o Gioachino o meno, sono considerati santi tanto dalla Chiesa d’Occidente che da quella d’Oriente. Essi vissero santamente la loro normale esistenza, ma sicuramente non pensavano di concepire una figlia preservata dal peccato originale, e di diventare poi i nonni di Gesù, vero uomo e vero Dio. Hanno vissuto nella santità quotidiana la loro esistenza, non cercando cose eccezionali, ma cercando di fare la volontà di Dio nelle vicende di ogni giorno.

Cosa ci insegna questa vicenda? Cerchiamo di vivere nelle nostre giornate in grazia di Dio, evitando il peccato e cercando di fare la sua volontà. Il resto lo fa Lui, e spesso sono cose tanto belle e tanto grandi che neppure riusciamo ad immaginarle, perché l’agire e il pensare di Dio è molto più grande di ciò che possiamo aspettarci ed immaginare.