Prendere la propria croce non implica solo sofferenza

Prendere la propria croce non implica solo sofferenza

Seguire Gesù vuol dire dare gioia e pienezza alla nostra vita

«Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà. Infatti, quale vantaggio ha un uomo che guadagna il mondo intero, ma perde o rovina se stesso?» (Dalla liturgia).

«Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua».

Prendere la propria croce non significa cercare la sofferenza. Il Signore non ce lo chiede.

Prendere la propria croce significa accettare di fare nella nostra vita la volontà di Dio, anche quando significa accettare sacrifici e rinunce.

Accettare di fare la volontà di Dio spesso ci da fastidio perché noi siamo portati a voler essere autosufficienti, a non dipendere da nessuno, neanche da Dio. Non ci piace che la nostra vita sia nelle mani di un altro, fosse anche Dio.

Ma è invece accettando la volontà di Dio che la nostra vita verrà salvata, cioè potremo vivere pienamente la nostra esistenza terrena, nella pace e nella gioia, pur con tutte le limitazioni e le sofferenze che questa nostra vita talvolta ci riserva, e soprattutto potremo essere accolti nella gioia piena ed eterna del Paradiso.

Il pane dato da Gesù è eterno

Il pane dato da Gesù è eterno

Dio trasforma in bene ogni male

«Perché discutete che non avete pane? Non capite ancora e non comprendete? Avete il cuore indurito? Avete occhi e non vedete, avete orecchi e non udite? E non vi ricordate, quando ho spezzato i cinque pani per i cinquemila, quante ceste colme di pezzi avete portato via?». Gli dissero: «Dodici». «E quando ho spezzato i sette pani per i quattromila, quante sporte piene di pezzi avete portato via?». Gli dissero: «Sette». E disse loro: «Non comprendete ancora?» (Dalla liturgia).

«Non comprendete ancora?». Il Signore rimane amareggiato dall’ottusità dei discepoli, che non riescono a vedere la mano della Provvidenza in ciò che accade nella loro vita. Sono piegati sul loro problema contingente (c’è poco pane), non riescono a vedere più in là, ad un palmo del loro naso. Gesù da una parte e i discepoli dall’altra sembra che parlino con due vocabolari diversi, che non riescano proprio ad intendersi.

Anche noi tante, troppe volte, facciamo così. Siamo talmente presi dai nostri problemi quotidiani che non vediamo negli avvenimenti della nostra vita l’agire di Dio, quando sarebbe agevole accorgercene, se solo riuscissimo ad usare bene la nostra ragione! Pensiamo spesso che Dio sia lontano, che non si curi di noi. E non ci accorgiamo invece di quanto ci sia vicino, di quanto si prenda cura della nostra vita.

Anche quando viviamo situazioni difficili, magari situazioni di grande dolore, Dio ci è vicino. Può essere che non faccia quello che gli chiediamo, ma possiamo essere certi che Egli si prende cura di noi. Perché ci ama e ci vuole felici, non necessariamente in questa nostra esistenza terrena, ma certamente e per sempre nella vita eterna.

La salvezza non si ottiene per magia ma per volontà

La salvezza non si ottiene per magia ma per volontà

Gesù ci ha insegnato che per salvarci occorre entrare in contatto con Lui

«E là dove giungeva, in villaggi o città o campagne, deponevano i malati nelle piazze e lo supplicavano di poter toccare almeno il lembo del suo mantello; e quanti lo toccavano venivano salvati». (Dalla liturgia)

«Quanti lo toccavano venivano salvati». Non c’è nulla di automatico nell’agire di Gesù. Né tantomeno di magico.

Le persone che riuscivano a toccarlo, magari anche solo un lembo del mantello, venivano salvate. Ma non venivano salvate per qualche energia particolare o per qualche potenza magica che veniva sprigionata da Gesù o dal mantello, ma per la fede con la quale si erano decisi ad entrare in contatto con Lui.

Queste persone credevano che Gesù aveva veramente la possibilità di aiutarle, e la loro fede è stata ripagata. Nulla come la fede muove la potenza di Dio.

Dio non vuole agire senza il nostro desiderio, aspetta che noi davvero vogliamo ciò che gli chiediamo, e crediamo che davvero Egli ce lo possa dare.

Il nostro interesse ci chiude gli occhi dinnanzi al male

Il nostro interesse ci chiude gli occhi dinnanzi al male

La cruda verità emerge da un esorcismo di Gesù

Visto Gesù da lontano, accorse, gli si gettò ai piedi e, urlando a gran voce, disse: «Che vuoi da me, Gesù, Figlio del Dio altissimo? Ti scongiuro, in nome di Dio, non tormentarmi!». Gli diceva infatti: «Esci, spirito impuro, da quest’uomo!» (Dalla liturgia).
«I mandriani si misero a pregarlo che lasciasse il loro territorio». C’è da restare stupiti del comportamento di queste persone. Gesù ha liberato un uomo gravemente vessato dal demonio, e i mandriani (che senz’altro non potevano non conoscere la situazione di questa persona) lo pregano di andarsene.

Il fatto è che Gesù ha permesso ai demoni di entrare in una grande mandria di porci, e questo ha fatto sì che i maiali annegassero, causando, evidentemente, un danno economico.

Noi spesso chiediamo l’aiuto di Dio per le vicende della nostra vita, ma quando si tratta di rinunciare a qualcosa di nostro, oppure di cambiare qualcosa nel modo di vivere, nelle nostre abitudini, ecco che dell’aiuto di Dio facciamo volentieri a meno.

Chiediamo al Signore di darci la grazia di comprendere quale sia la bellezza della sua proposta d’amore per noi, e allora non avremo paura di dover affrontare qualche sacrificio o qualche rinuncia pur di ottenere quello che Egli ci vuole donare.

«Non chi dice Signore, Signore …»

«Non chi dice Signore, Signore ...»

Per comprendere la Parola occorre viverla

«A voi è stato dato il mistero del regno di Dio; per quelli che sono fuori invece tutto avviene in parabole, affinché guardino, sì, ma non vedano, ascoltino, sì, ma non comprendano, perché non si convertano e venga loro perdonato» (Dalla liturgia).

Perché questo brano ci dice che se non capiamo questa parabola non capiremo neppure le altre? Perché questa parabola ci insegna a rapportarci in modo corretto, e quindi fruttuoso, alla parola di Dio, e all’insegnamento autentico della Chiesa che la interpreta in modo autorevole.

Se noi non sappiamo trarre frutto da quello che Dio ci insegna, cioè se non mettiamo in pratica la sua parola, tutto l’insegnamento del Vangelo, tutte le pratiche religiose diventano una cosa inutile, un inutile parlare e un vuoto ritualismo che non aiuta la nostra vita e non ci giova a salvezza.

Dio ci ha dato la sua parola perché noi la prendiamo sul serio per quello che è: parola di Dio, che genera in noi la vita, che porta frutti di bene per noi e per gli altri se cerchiamo, con il suo aiuto, di metterla in pratica.

San Sebastiano, militare, tribuno e martire

San Sebastiano, militare, tribuno e martire

La storia di uno dei Santi protettori della Valle Arroscia

Nella Valle Arroscia è fervida la devozione a San Sebastiano, illustre martire. Vediamo quindi la sua storia che è ricca di fatti che non tutti conoscono.

Sebastiano nacque a Narbona nel 256, e fu cresciuto a Milano e avviato alla fede cristiana. Si trasferì poi a Roma e si arruolò nell’esercito romano.

Per le sue capacità divenne ufficiale e fu poi posto al servizio diretto dell’imperatore, entrando nell’ambito delle guardie predisposte alla sicurezza del monarca. Arrivò ad essere tribuno della prima corte pretoria, a stretto contatto con Diocleziano, il quale era molto ostile ai cristiani perché non volevano eseguire i sacrifici rituali a beneficio dell’imperatore.

In questa qualità proseguì a seguire coraggiosamente la sua fede in modo operoso, dando sepoltura ai martiri cristiani, sostenendo quelli incarcerati e diffondento il messaggio cristiano a corte.

Avvenne che furono arrestati due fratelli cristiani, Marco e Marcelliano, figli di tale Tranquillino. Il padre ottenne un rinvio dell’esecuzione della condanna a morte per poter convincere i figli a effettuare il rito sacrificale. Quando i due stavano per cedere, intervenne Sebastiano il quale li indusse a perseverare nella fede con un discorso così accorato e ispirato che rese radioso il suo volto. Sta di fatto che le persone presenti al suo sermone, come ad esempio Zoe col marito Nicostrato, che era capo della Cancelleria Imperiale, il cognato Castorio, Tranquillino, il prefetto romano Cromazio e suo figlio Tiburzio, Castulo e Marzia, si convertirono al Cristianesimo. In particolare Zoe divenne muta e riacquistò la parola solo dopo 6 mesi dopo che Sebastiano le toccò le labbra e la segnò col Segno della Croce. Tutti i presenti inoltre subirono successivamente il martirio piuttosto che rinnegare la Fede.

Quando Diocleziano scoprì che Sebastiano era cristiano lo condannò a morte: fu legato a un palo e fu sottoposto al lancio di frecce da parte dei suoi commilitoni.

Creduto morto, il corpo di Sebastiano fu lasciato legato al palo affinché fosse cibo per le fiere. Ma Santa Irene lo recuperò e scoprendolo ancora vivo lo ricoverò a casa sua sul Palatino.

Guarito prodigiosamente, Sebastiano si recò con coraggio da Diocleziano mentre questo stava celebrando le funzioni in omaggio al Sol Invictus, e lo rimproverò pubblicamente.

Diocleziano allora lo condannò nuovamente attraverso flagellazione sui gradini di Elagabalo (gradus Helagabali) fino al giungere della morte (20 gennaio 288), e fece gettare poi il corpo nella Cloaca Maxima, ovvero nella fogna romana. Il corpo però che fu trasportato verso il Tevere si impigliò nei pressi della Chiesa di San Giorgio al Velabro. Fu recuperato da Lucina, una matrona romana cristiana, la quale lo fece portare nelle catacombe che ora portano il nome del Santo, sulla Via Appia. 

Il nome di San Sebastiano figura nella Depositio martyrum, ovvero il più antico calendario della Chiesa di Roma, che risale al 354.

San Sebastiano è venerato dalla Chiesa Cattolica e dalla Chiesa Ortodossa. La sua ricorrenza cade in corrispondenza della data della sua morte, il 20 gennaio.

L’amore di Dio è superiore anche al male più disgustoso

L'amore di Dio è superiore anche al male più disgustoso

Gesù ci ha dato prova di quanto il bene sia invincibile contro ogni male

«In quel tempo, venne da Gesù un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio e gli diceva: “Se vuoi, puoi purificarmi!”. Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: “Lo voglio, sii purificato!”» (Dalla liturgia).

In questo episodio un lebbroso si avvicina a Gesù. Il lebbroso in Israele (come in tutto il mondo antico) era doppiamente malato: fisicamente, perché la lebbra consuma e deturpa la carne, socialmente, perché il malato di lebbra, per evitare di contagiare altri, era obbligato a vivere lontano dalla comunità, isolato da tutti gli altri uomini: doveva vestire abiti strappati, tenere il volto coperto, e, nel camminare, annunciare la sua condizione gridando: «impuro, impuro», in modo da essere evitato da chiunque si trovasse nelle vicinanze. Una condizione davvero penosa.

La lebbra sfigura la persona, gli fa perdere persino il suo aspetto, e lo allontana dalla comunità degli uomini. Per questi motivi i Padri della Chiesa hanno visto nella lebbra una immagine del peccato: il peccato deturpa la persona, gli fa perdere la somiglianza con Dio, con cui era stata creato, e rovina i rapporti con Dio, con se stesso e con gli altri uomini.

Nell’azione di Gesù c’è, in piccolo, tutta la storia della salvezza. Gesù si avvicina al lebbroso e, sfidando il divieto della legge e il contagio del male, lo tocca. Non lo fa per negare il male e la sua forza negativa, per negare che il male sia male, ma lo fa per dimostrare che l’amore di Dio è più forte di ogni male, che l’amore di Dio può risanarci da ogni male, anche il più disgustoso.

Per accogliere Gesù occorre la «circoncisione del cuore»

Per accogliere Gesù occorre la «circoncisione del cuore»

Nessun miracolo può portarci a credere se non purifichiamo il cuore

«Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme dicendo: “Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo”» (Dalla liturgia).

Natanaele (chiamato anche Bartolomeo) era una persona onesta. La sua naturale sincerità, la sua rettitudine di vita lo rendeva naturalmente aperto alla rivelazione del Signore. È bastato poco («ti ho visto quando eri sotto l’albero di fichi», gli aveva detto il Signore) per riconoscere in Gesù il Figlio di Dio e il Re di Israele.

Se pensiamo che i capi dei Giudei hanno deciso definitivamente di uccidere Gesù dopo un miracolo clamoroso, avvenuto pubblicamente, dopo cioè che Egli aveva fatto risorgere Lazzaro già da quattro giorni cadavere, questo ci fa capire che nessun segno del Cielo può illuminare la nostra mente né riscaldare il nostro cuore se non abbiamo un animo ben disposto ad accoglierlo.

Maria Santissima, arca dell’alleanza

Maria Santissima, arca dell'alleanza

Perché la Santa Vergine è invocata con questo titolo

Tra le invocazioni che rivolgiamo alla Madre di Dio, Maria Santissima, troviamo anche l’appellativo di «arca dell’alleanza».

Il motivo è semplice da dedurre: si tratta di colei che ha accolto in sé la divinità, il Logos.

Non tutti però ricordano che c’è un’anticipazione antica nel libro dell’Esodo e precisamente nel capitolo 40, quello conclusivo.

Dopo aver adempiuto correttamente a quanto Dio aveva comandato, di Mosè è scritto che «terminò il lavoro».

Questo sta a significare che da quel momento sul «lavoro» compiuto da Mosè sarebbe intervenuto Dio stesso.

L’arca dell’alleanza, o meglio, come è scritto sul testo ebraico, l’arca della testimonianza, venne collocata all’interno della tenda del convegno, ovvero nel luogo in cui avrebbe dimorato il Signore durante gli spostamenti nel Sinai.

Il libro dell’esodo ci riferisce che una colonna di fumo precedeva gli ebrei nel cammino, e durante le soste, una nube copriva la tenda rendendola inaccessibile agli uomini.

Se ci pensiamo, anche nell’Annunciazione abbiamo questa immagine. L’arcangelo Gabriele nel rispondere alla domanda di Maria di come potesse avvenire il suo concepimento verginale, risponde che «Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo» (Lc 1,35).

Questa analogia non è un caso ma la vera profezia annunciata nel libro dell’Esodo riguardo a Maria Santissima, che è arca che ha custodito Dio.

La libertà dei figli adottivi di Dio

La libertà dei figli adottivi di Dio

L’amore di Dio va oltre ogni confine, come la libertà che ci ha donato.

«Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero» (Dalla liturgia).

«Imparate da me, che sono mite e umile di cuore». Il Signore non impone il suo insegnamento in modo autoritario.

Le parole di Cristo sono spirito e vita, si impongono da sé, perché sono parole di verità.

Gesù insegna, non dà consigli. Ci invita sì ad imparare da Lui, ma non lo fa con durezza del comando che obbliga, bensì con la dolcezza della persuasione che convince.

Accogliere l’insegnamento di Gesù non significa piegarsi ad un’autorità che vuole imporci la sua legge, ma ricevere una parola di verità che, se accolta ed obbedita, rende la vita migliore.