Chiesa: sappiamo veramente cos’è?

Chiesa: sappiamo veramente cos'è?

Un dibattito aperto da secoli.

Parliamo e sentiamo parlare continuamente di Chiesa, ma nella maggior parte dei casi attribuiamo a questo termine il significato non corretto. Ne deriva un dialogo “tra sordi”, in quanto l’oggetto del discutere non è chiaro e ben identificato.

Purtroppo molto spesso a “Chiesa” si attribuisce la traduzione che fa emergere la “istituzione”, la gerarchia dei prelati. Ne sorte un’accezione sbagliata di quello che è il vero significato e soprattutto una distorsione di quanto Nostro Signore intendeva nell’edificarla.

Partiamo dal significato del termine.

Semanticamente “Chiesa” deriva dal termine latino “Ecclesia”. La disciplina che studia la Chiesa si chiama “Ecclesiologia” e affonda le radici nella lingua greca. L’unione tra i termini “ek” (= da), “kaleil” (chiamare) e “logos” (=discorso, parola), ci fa capire che si tratta del “Discorso su chi è chiamato”. La Chiesa è quindi “colei che è chiamata”.

Nei secoli il concetto che i fedeli e i non credenti hanno avuto della Ecclesia, ha subito diverse trasformazioni. Ne evidenzieremo le tre più importanti.

Personificata simbolicamente

Pietrificata

Comunicante

Personificata simbolicamente

È la Chiesa dei primi secoli cristiani. La Chiesa dei Padri e dell’alto medioevo.

In quell’epoca, dopo la nascita delle prime comunità cristiane, le persecuzioni e l’affermarsi della dottrina dopo l’editto di Costantino, la Chiesa era intesa come una relazione frontale con Cristo. L’idea diffusa era quella già presente nell’Antico Testamento, dove il rapporto tra Dio e il Popolo di Israele era visto come un rapporto di coppia Il Padre ama il suo popolo e lo perdona, gli resta fedele, nonostante i tradimenti. In questa ottica vanno letti molti testi profeti, come ad esempio Osea, Geremia, Ezechiele e molti altri.

Una comunità fraterna la cui base era costituita dalla Scrittura interpretata dai Padri nelle chiavi più opportune, attraverso i generi letterari utilizzati. Una Chiesa vergine, fidanzata e sposa in cui prevale l’accezione bellissima di Madre dei Viventi.

Pietrificata

Con il tardo medioevo intervennero vari fattori politici. Il potere temporale del papato si affermò, e iniziarono le dispute con l’Impero. La Chiesa viene distratta dalle sue mansioni spirituali dal tentativo di affermarle. Il popolo inizia a identificare la Chiesa come centro di potere e la sua gerarchia viene considerata in senso politico.

Perde vigore la suggestione di Chiesa come comunità ed emerge una divaricazione tra l’aspetto giuridico e quello mistico, in cui, nell’immaginario popolare e in taluni fatti, si afferma maggiormente il primo. Ad acuire il problema intervenne la spaccatura coi Protestanti che fa perdere anche l’immagine di unità.

Con il Concilio di Trento si tentò di attenuare la tendenza a immaginare la Chiesa in senso gerarchico, ma questa suggestione restò viva e purtroppo sopravvive ancora oggi.

Comunicante

Il Concilio Vaticano II ha dato una visione illuminante della Chiesa e del concetto con il quale essa va identificata.

Il pericolo di interpretare in senso gerarchico, pur restando vegeto ancora ai nostri giorni, è stato fortemente ridimensionato.

Si tratta della revisione più importante che sia intervenuta negli ultimi 400 anni per riportare il significato ai primi secoli, nel recupero totale delle tradizioni, ma soprattutto nel riaccordarsi con la volontà espressa da Gesù e pervenutaci grazie al Vangelo.

Se per la Prima Alleanza Dio era lo sposo, e il popolo di Israele simboleggiava la sposa, per i cristiani lo sposo è Gesù e la sposa è la Chiesa.

Gli aspetti che ne derivano sono quelli di una Chiesa Comunione di Dio con gli uomini, di un popolo di Dio pellegrinante, e di una Chiesa Sacramento universale di Salvezza.

Un problema di identificazione

Non ha senso identificare la Chiesa in una struttura muraria, o nella Città del Vaticano. E meno ancora giudicare la Chiesa dal comportamento di alcuni membri, siano essi Vescovi, Presbiteri, Diaconi o laici.

La Chiesa è COMUNIONE, quindi un progetto, un sentimento, un cammino. L’appartenenza ad essa implica un impegno, non la giustificazione del diritto di giudicare. Lo scopo è quello di conservare e diffondere il progetto di Dio, con la Sacra Scrittura, la Sacra Tradizione e l’armonia col Magistero.

La Chiesa, così concepita, ha ricevuto il mandato divino. Si spiega in questo modo il suo essere Una anche se divisa, Santa anche se peccatrice, Cattolica perché universale, Apostolica perché fedele alla discendenza degli Apostoli, ultimi testimoni oculari di Gesù in terra.

È in pratica la formula che ripetiamo nel Credo.

Un recupero dell’importanza della Chiesa Universale, Chiesa locale e Chiesa domestica.

In questo contesto la famiglia assume un importanza fondamentale. Diviene veramente la prima cellula della comunità civile e cristiana.

Col Concilio Vaticano II è stato sancito definitivamente il concetto di famiglia non più solo oggetto, ma anche soggetto di evangelizzazione, in una presa di responsabilità che i genitori non possono più ignorare.

La credibilità della nostra Fede

La credibilità della nostra Fede

Ecco perché credere non è un salto nel buio, ma è l’affidamento a qualcosa di attendibile.

L’immagine del cristiano credulone e ingenuo nelle proprie scelte di fede è sempre stata una costante fin dalla nascita della Chiesa.

Non si tratta però solo di un errato retaggio culturale, ma dell’esposizione di una posizione relativista e limitata da uno scarso approfondimento culturale prima ancora che teologico.

Occorre innanzitutto chiedersi cosa significa “credere” e “avere fede in” anche dal punto di vista semantico. “Avere fede” vuol dire affidarsi. Noi facciamo continuamente atti di affidamento, ormai anche in modo abbastanza automatico e senza farci troppo caso.

Ci affidiamo al fruttivendolo, credendo che la merce sia fresca; diamo fiducia all’assicuratore quando firmiamo un contratto; non esitiamo in sofismi acquistando un’auto basandoci sulla pubblicità; ci abbandoniamo al parere del medico nella convinzione che sappia ciò che fa; lasciamo i nostri figli a scuola con la sicurezza che siano in buone mani. In ogni nostra azione quotidiana c’è traccia di fede, soprattutto negli aspetti per noi fondamentali. Solo per quanto riguarda l’aspetto religioso vogliamo la prova scientifica. E ciò senza pensare che anche alla scienza noi diamo fiducia al buio.

A nessuno di noi verrebbe in mente di pensare che Platone, Aristotele o Alessandro Magno siano frutto di fantasia. Solo in Gesù di Nazareth, sul quale gli storici sono concordi nel dire che ha vissuto circa duemila anni fa col nome di Yoshua ben Yosef, e sul quale esistono prove storiche e storiografiche maggiori rispetto a quelle dei personaggi sopra citati, noi non vogliamo credere neppure nell’aspetto storico.

Ora, fermo restando che Yoshua ben Yosef è esistito, cerchiamo di essere coerenti e valutiamo la sua figura.

Il problema non è quello di raggiungere una certezza matematica, ma di acquisire una “fede”, ovvero un motivo per cui sia valido il concetto di affidamento.

Dal punto di vista storico emerge che i seguaci di Gesù abbiano predicato una dottrina che prevede la pace, la mansuetudine, la solidarietà, la fratellanza, l’amore. Si tratta di concetti che anche dal punto di vista umano possono essere condivisi e che vale la pena seguire e approfondire. Si raggiunge quindi, attraverso la logica, la consapevolezza che questo messaggio è buono. E se un messaggio è buono, è anche qualcosa a cui ci si può “affidare”.

È un passaggio fondamentale che ancora non ha a che fare col pensiero religioso, ma investe l’ambito della ragione. Siamo arrivati dunque alla conclusione che il pensiero cristiano è ragionevole, e quindi coerente con la ragione.

Passiamo ora ad analizzare quanto implica il pensiero diffuso dal Vangelo in ambito religioso.

Abbiamo una serie di problemi di fondo che angosciano l’uomo fin dalla notte dei tempi. Sono gli aspetti esistenziali, ovvero i classici “chi siamo”, “dove andiamo”, perché esistiamo”.

È facile ricondurre queste domande a altrettante risposte che non possono essere liquidate in semplicistici “finisce qui”, oppure “è tutto un nulla”. Per lo meno non è intellettualmente e culturalmente coerente. Sono troppi infatti gli indizi che, anche se non sono prove definitorie, ci inducono a pensare che l’universo e il nostro mondo interiore non siano legati al caso.

La posizione attuale della scienza è quella di un ripensamento su quanto esiste nonostante sia impalpabile. I fisici stanno ipotizzando sul concreto concetto di “anima” slegato da realtà corporee. Voglio ricordare il “soma, psiche, pneuma della filosofia antica, che corrisponde a “corpo, mente, anima”.

Siamo quindi disposti a seguire un discorso se ce lo suggerisce la scienza. Sulla scienza facciamo “affidamento”. Ma la scienza stessa non fa “affidamento” su se stessa. Tanto è vero che si mette in discussione continuamente, al contrario di quanto facciamo noi che la seguiamo.

Ebbene. Fare “affidamento” su un messaggio di speranza che invita all’armonia, non è un atteggiamento ingenuo. Accettare un Creatore che non riusciamo a concepire, in sostituzione di un “meccanismo scientifico creatore” che altrettanto non riusciamo a comprendere, è forse assurdo?

Da queste considerazioni è logico, ma anche giusto dedurre che la Fede è credibile. E lo è anche se non è scienza, e forse proprio perché non è scienza.

La moderna teologia non rifiuta la scienza, anzi per ripetere le parole del Concilio Vaticano II, “gioisce dei progressi della scienze umane”. Arriva a dire che qualsiasi cosa sostenuta senza la ragione è contro Dio, perché il nostro Dio, nella sua seconda persona è Logos (parola). Ma Logos è anche pensiero, quindi concetto vero ma non palpabile. Pensiero e Parola sono cose che non si possono toccare, eppure esistono. E il pensiero a maggior ragione in quanto esiste anche se neppure lo “sentiamo” con i sensi.

Affidiamoci quindi a ciò che è buono, e “diamo voce alla speranza che è in noi”. Cos’è la Fede se non una mano tesa?

La definizione di fede è infatti: “credere nella verità e giustezza di un assunto”.

In memoria di Mons. Alessandro Sappa

I Sacramenti del sigillo

I Sacramenti del sigillo

Battesimo, Cresima e Ordine sono irripetibili: vediamo perché

Tra i sette Sacramenti impartiti dalla Chiesa ce ne sono tre che si possono ricevere una sola volta nel corso della vita. Battesimo, Cresima e Ordine Sacro non possono essere ripetuti.

Per gli altri quattro, infatti la ripetibilità è concessa. È raccomandato ricevere l’Eucarestia e accostarci alla Penitenza più di una volta, e non si esclude la possibilità di accedere al matrimonio in caso di vedovanza, o all’Unzione degli infermi in caso di necessità.

Perché questi tre Sacramenti sono così particolari?

Va innanzitutto specificato che i Sacramenti si dividono in Personali (Battesimo, Eucarestia, Cresima o Confermazione, Penitenza e Unzione), in quanto agiscono nell’ambito della singola persona, e Sociali (Matrimonio e Ordine), perché contribuiscono all’accrescimento rispettivamente materiale e spirituale della Chiesa. Tre sono quelli dell’Iniziazione (Battesimo, Eucarestia e Cresima).

I tre Sacramenti irripetibili sono quelli che imprimono un sigillo, ovvero donano la caratteristica di appartenere al popolo di Dio. Si tratta di un marchio indelebile che segna in modo permanente e positivo.

Perché il Battesimo ai neonati

La prima domanda che ci si potrebbe porre affrontando il discorso in modo superficiale è certamente il perché il Battesimo venga impartito su richiesta dei genitori.

La questione riguarda esclusivamente la Fede e la volontà genitoriale di impartire un indirizzo all’educazione del proprio figlio. Esattamente come sarebbe la volontà di impartire una sana istruzione, una coerente concezione della vita, una corretta alimentazione. Ritardare il Battesimo affinché sia il soggetto stesso a decidere se averlo, equivale per i genitori credenti a negare l’alimentazione perché il figlio scelga ciò che più gli piace. O non insegnare a leggere o scrivere, o a comportarsi bene, nell’illusione che sia più libero

Per i credenti il Battesimo costituisce la conditio minima per poter accedere alla vita eterna, ed è comprensibile che una coppia di fedeli voglia lasciare aperta ai loro bambini questa possibilità.

Col Battesimo scende sul battezzato un imprinting indissolubile che lo inserisce nella Chiesa, dalla quale potrebbe anche allontanarsi, ma che lascia sempre intatta la possibilità di tornare a Dio.

Esiste una nuova tendenza, certamente dettata da scarsa conoscenza, a richiedere lo “sbattezzo”. È una richiesta inutile sotto ogni aspetto. In primis il sigillo è eterno. In secundis se si è persa la Grazia del Battesimo dovrebbe importare poco.

I Sacramenti accompagnano i fedeli nel corso della loro vita segnando i gradini dello loro crescita cristiana. E se col Battesimo c’è l’accesso (in tutti i sensi), con Penitenza, Eucarestia, Cresima, Matrimonio o Ordine, e Unzione sono rappresentate le età anagrafiche ma anche l’intensità della Fede.

Cresima e responsabilità

La Confermazione trae le sue origini e le ragioni teologiche dalla Pentecoste. Gli Apostoli, già battezzati, ricevettero la pienezza del Battesimo con l’effusione dello Spirito Santo. Con esso ebbero forza e sapienza per evangelizzare.

Allo stesso modo il cristiano che riceve la Cresima in età di giusto discernimento, è autorizzato e ha il dovere alla diffusione della Parola. Sacramentum è un termine che deriva dal latino, e nell’antica Roma indicava la cauzione penale da pagare per avere la libertà, ma anche il giuramento prestato dalle reclute dell’esercito. Di questi significati rimane traccia nel riscatto dal peccato e della Cresima che rende “soldati di Cristo”.

La Confermazione aggiunge un sigillo definitivo che completa l’iniziazione del cristiano. Ne basta una per rendere il fedele “responsabile” per tutta la vita. Viene impartita dal Vescovo (o da un incaricato specificatamente), perché solo un successore degli Apostoli, che ricevettero lo Spirito Santo direttamente da Dio, può trasmetterlo.

Nella gerarchia della Chiesa la distinzione fondamentale all’interno del popolo di Dio è quella tra Chierici e Laici. I Chierici possono essere Vescovi, Presbiteri o Diaconi, i quali, con mansioni e prerogative diverse possono agire i Persona Christi. I secondi sono coloro che ricoprono funzioni importanti nell’ambito ecclesiale, anche nella Liturgia. Il Diritto Canonico riconosce ai laici il diritto, ma anche il dovere di diffondere il messaggio divino. Nell’Eucarestia essi partecipano attivamente al Sacrificio (sacrum facere), e assumono il vero corpo e il vero sangue della vittima divina, offerto da tutto il sacerdozio comune di cui fanno parte.

“Tu sarai Sacerdote in eterno”

Ma se il sacerdozio comune ci comprende tutti, per essere Ministro Sacro occorre un ulteriore sigillo: è quello dell’Ordine Sacro. Ciò che rende Sacerdote in eterno. È l’ulteriore e definitivo step riservato agli uomini sul cammino verso il Regno. Un gradino che pone l’ordinato nella situazione di essere più vicino alle condizioni che vivremo nella Gerusalemme Celeste.

Quest’ultimo è uno dei motivi teologici del celibato dei chierici. Non si esclude la possibilità di accedervi per i vedovi. Non è però ammesso il “passo indietro” in questo cammino: chi è Ministro Ordinato non può sposarsi. Così come un Diacono può essere ordinato da sposato, ma se lo diventa da celibe deve restare tale.

Questa è in sostanza l’importanza dei sigilli, che sono dolci doni che Dio ha voluto distribuire nella sua bontà.

La crisi “modernista” e il rinnovamento del ‘900

La crisi "modernista" e il rinnovamento del '900

Una lettura del Cristianesimo figlia della Teologia Liberale protestante.

Il Modernismo teologico rappresenta probabilmente la punta più elevata raggiunta dall’impatto della Chiesa con l’evoluzione moderna del mondo.

Risentendo della Teologia liberale avviata dal Protestantesimo, il Modernismo rilegge il Cristianesimo in una prospettiva di evoluzione religiosa dell’umanità, arrivando a minimizzare il carattere trascendente della Rivelazione cristiana.

Ne risentì anche il concetto e la comprensione del Sacramentum, di cui si mise in dubbio la provenienza da Cristo attribuendone l’origine addirittura al contatto della formazione cristiana con le religioni misteriche. Questa crisi provocò un approfondimento storico che ne sconfessò le tesi.

Nel 1907 Papa Pio X condannò il Modernismo nella “Pascendi Dominici Gregis”.

Nell’800 era nato in Francia sotto l’aspetto concettuale, un movimento liturgico che si affermò e fu sviluppato nel secolo successivo da Guardini, Casel, Schüster, Duchesne e altri, che recuperò l’immagine e la sostanza dei Sacramenti, visti quali membra di Cristo.

Teologi del calibro di Schillebeeckx, Semmel Roth, Karl Rahner introdussero nel Concilio Vaticano II i concetti che portarono a stabilire che Cristo e la Chiesa sono i primi sacramenti. Ovvero Cristo è il primo, e la Chiesa ne è la continuazione.

I sacramenti assurgono quindi a punti fissi e irrinunciabili. Ci consentono infatti di entrare nel mysterion.

Emerge di conseguenza che la Parola è costitutiva del Sacramento e che Filosofia e Teologia ricollocano ilm Sacramentum nel Mysterion.

Questa visione ha permesso di arrivare alle conclusioni attuali, per cui i Sacramenti sono le mani di Cristo che continuano a toccarci attraverso spazio e tempo. La Chiesa è il Vangelo che continua.

(Si ringrazia il Prof. Don Emmanuel Lemiere per la lezione universitaria di Sacramentaria sull’argomento)

La Domenica della Parola di Dio

La Domenica della Parola di Dio

Istituita per raccogliere il popolo di Dio attorno alla Bibbia.

Il 30 settembre 2019 Papa Francesco ha istituito la Giornata della Parola di Dio, e l’ha fissata alla terza domenica del tempo ordinario.

Si tratta di un richiamo che tocca l’ambito trinitario, in quanto si celebra con essa il Logos e la persona stessa di Cristo. Accanto all’Eucarestia, che riveste importanza salvifica, l’ascolto della Parola richiama il valore del rapporto con la Liturgia. È un aspetto che pone l’attenzione sull’identità stessa dei cristiani.

La relazione tra il Risorto, la comunità dei credenti e la Sacra Scrittura è estremamente vitale per la nostra identità. Senza il Signore che ci introduce è impossibile comprendere in profondità la Sacra Scrittura, ma è altrettanto vero il contrario: senza la Sacra Scrittura restano indecifrabili gli eventi della missione di Gesù e della sua Chiesa nel mondo. Giustamente San Girolamo poteva scrivere: «L’ignoranza delle Scritture è ignoranza di Cristo» (In Is., Prologo: PL 24,17)”.

La Domenica della Parola di Dio è quindi anche l’invito all’ascolto di Dio che ci parla. Lo fa attraverso le Scritture. Sta a noi mettere a frutto ciò che Egli semina, anche solo con un breve momento di silenzio e di meditazione personale dopo aver ascoltato Letture, Vangelo e Omelia.

Ma l’istituzione di questa giornata è anche occasione per richiamare l’importanza della collaborazione che ogni cristiano è chiamato ad avere col Signore. Una ricerca interessata alla scoperta dell’attualità della Scrittura aiuta la crescita consapevole nella Fede. “Non chi dice Signore, Signore…”.

Riscopriamo in questa occasione il significato profondo di quanto il Santo Padre ha espresso nella sua Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium: “La Parola di Dio ascoltata e celebrata, soprattutto nell’Eucaristia, alimenta e rafforza interiormente i cristiani e li rende capaci di un’autentica testimonianza evangelica nella vita quotidiana“.

Nutrirci dell’Eucarestia e della Parola di Dio è cibo per la vita eterna.

Don Enrico Giovannini nuovo Vicario Foraneo della Valle Arroscia

Don Enrico Giovannini nuovo Vicario Foraneo della Valle Arroscia

La nomina è stata ufficializzata da Mons. Guglielmo Borghetti

S.E. Monsignor Vescovo Guglielmo Borghetti, Ordinario della Diocesi di Albenga-Imperia, ha ufficializzato la nomina del nuovo Vicario Foraneo del Vicariato della Valle Arroscia.

La scelta episcopale è caduta su Don Enrico Giovannini, Parroco di Cosio d’Arroscia, Mendatica, Montegrosso Pian Latte e Rezzo.

All’impegno attualmente profuso dal nostro Parroco nelle chiese a lui affidate, dovrà ora aggiungere i compiti specifici del Vicario Foraneo che sono indicati ai canoni 553, 554 e 555 del Codice di Diritto Canonico, i quali recitano:

Can. 553 – §1. Il vicario foraneo, chiamato anche decano o arciprete o con altro nome, è il sacerdote che è preposto al vicariato foraneo.

§2. A meno che il diritto particolare non stabilisca altro, il vicario foraneo è nominato dal Vescovo diocesano, dopo aver sentito, a suo prudente giudizio, i sacerdoti che svolgono il ministero nel vicariato in questione.

Can. 554 – §1. Per l’ufficio di vicario foraneo, che non è legato all’ufficio di parroco di una parrocchia determinata, il Vescovo scelga un sacerdote che avrà giudicato idoneo, valutate le circostanze di luogo e di tempo.

§2. Il vicario foraneo venga nominato a tempo determinato, stabilito dal diritto particolare.

§3. Il Vescovo diocesano per giusta causa può rimuovere liberamente dall’ufficio il vicario foraneo, secondo il suo prudente giudizio.

Can. 555 – §1. Il vicario foraneo, oltre alle facoltà che gli attribuisce legittimamente il diritto particolare, ha il dovere e il diritto:

1) di promuovere e coordinare l’attività pastorale comune nell’àmbito del vicariato;

2) di aver cura che i chierici del proprio distretto conducano una vita consona al loro stato e adempiano diligentemente i loro doveri;

3) di provvedere che le funzioni religiose siano celebrate secondo le disposizioni della sacra liturgia, che si curi il decoro e la pulizia delle chiese e della suppellettile sacra, soprattutto nella celebrazione eucaristica e nella custodia del santissimo Sacramento, che i libri parrocchiali vengano redatti accuratamente e custoditi nel debito modo, che i beni ecclesiastici siano amministrati diligentemente; infine che la casa parrocchiale sia conservata con la debita cura.

§2. Il vicario foraneo nell’àmbito del vicariato affidatogli:

1) si adoperi perché i chierici, secondo le disposizioni del diritto particolare, partecipino nei tempi stabiliti alle lezioni, ai convegni teologici o alle conferenze a norma del can. 279, p 2;

2) abbia cura che siano disponibili sussidi spirituali per i presbiteri del suo distretto ed abbia parimenti la massima sollecitudine per coloro che si trovano in situazioni difficili o sono angustiati da problemi.

§3. Il vicario foraneo abbia cura che i parroci del suo distretto, che egli sappia gravemente ammalati, non manchino di aiuti spirituali e materiali e che vengano celebrate degne esequie per coloro che muoiono; faccia anche in modo che durante la loro malattia o dopo la loro morte, non vadano perduti o asportati i libri, i documenti, la suppellettile sacra e ogni altra cosa che appartiene alla chiesa.

§4. Il vicario foraneo è tenuto all’obbligo di visitare le parrocchie del suo distretto secondo quanto avrà determinato il Vescovo diocesano.

Inutile sottolineare la soddisfazione nella nostra parrocchia per un incarico così prestigioso.

Un’appartenenza “convinzionale”, e non “convenzionale”

Un'appartenenza "convinzionale", e non "convenzionale"

Un neologismo in aiuto della nuova evangelizzazione

È ormai assodato che stiamo vivendo in un’epoca in cui regna il relativismo. Benedetto XVI ne ha denunciato i pericoli. Francesco sta “picconando” questa concezione della vita e della cultura che tende a sminuire ogni valore.

Il non cercare il significato delle cose è un aspetto che è entrato nel comune modo di pensare, non solo nella vita quotidiana, ma anche aggredendo concetti che finora avevano meritato un’attenzione più profonda. Questo stato di cose si è ripercosso infatti pesantemente sul comportamento dei cristiani.

Da più parti arrivano i segnali di un senso di appartenenza alla Chiesa, sempre più labile. La Chiesa stessa è ormai intesa come “istituzione” e non per quello che in effetti rappresenta, ovvero la comunità dei credenti.

Essere membri della Chiesa sta purtroppo diventando, nel comune pensare, una “convenzione”. Andare alla Messa è adempiere ad un dovere, e poco importa l’attenzione che si riserva.

Possiamo prendere ad esempio alcuni Sacramenti. Il Battesimo, la Cresima, la Prima Comunione, il Matrimonio, sono ormai diventati una “festa” e non sono intesi come celebrazione significativa di un rito che rimanda a qualcosa di più importante. L’aspetto “convenzionale” ha praticamente annullato i significati.

Si apre quindi un nuovo fronte, una vera e propria sfida che si propone alla Evangelizzazione.

Conoscere è amare

L’obiettivo deve essere il recupero dell’interesse per la formazione. Conoscere è amare. Non a caso il verbo “conoscere” in senso biblico, grazie alla forza che gli conferisce la sua radice ebraica, significa qualcosa di più che “venire a sapere”. Indica infatti un rapporto di tipo carnale.

Lo sprono alla conoscenza può limitare la tendenza a fare le cose per abitudine. Acquisire coscienza di ciò che si fa, permette di superare luoghi comuni, dubbi, perplessità, e apre un mondo nuovo.

Questo concetto è valido per tutti gli ambiti culturali, ma è fondamentale nella religione cattolica. La nostra non è una Fede fatta di simboli vuoti, ma di richiami significativi che con i Sacramenti ci portano al Mysterion della Salvezza. Una religione “rivelata”, ma della quale nulla è stato detto che con l’intelletto non si possa per lo meno iniziare a comprendere. Non cercare di capire è quindi una colpa, non una giustificazione.

In questo cammino di conoscenza emerge la vera importanza della Chiesa che Cristo ha voluto come custode della Fede. Ancora recentemente Francesco ha ribadito quanto emerge dalle Scritture in modo roboante: “Non ci si salva da soli”.

Occorre quindi modificare unicamente una lettera, per passare dal modello “convenzionale” a quello “convinzionale”.

Motu Proprio “Spiritus Domini”, evangelizzazione e carismi

Motu Proprio "Spiritus Domini", evangelizzazione e carismi

La necessaria modifica del canone 230 §1

Con la sua Lettera Apostolica “Spiritus Domini”, in forma di Motu Proprio, Papa Francesco è intervenuto a chiarire e sistemare sotto l’aspetto del significato e della forma, una situazione che presentava alcune contraddizioni.

In pratica il Sommo Pontefice ha aperto anche alle donne la possibilità di accedere ai ministeri laicali.

Si tratta di un argomento che va affrontato nell’ottica teologica e anche considerando quanto un fedele laico deve intendere un proprio diritto e un proprio obbligo.

Va innanzitutto chiarito che Lettorato e Accolitato vengono chiamati “ministeri” in quanto formalmente riconosciuti e istituiti dalla Chiesa. Sono inoltre strumenti che sono stati messi a disposizione della comunità, e ne costituiscono la specifica missione.

Essi non sono compresi nell’Ordine Sacro, il quale costituisce un altro e ben diverso ministero. Fanno tuttavia parte del Sacerdozio battesimale, e sono inseriti nel Sacerdozio comune dei fedeli, invocato anche nella Santa Messa quando si dice: “Ti ringraziamo Signore per averci ammesso a svolgere il servizio sacerdotale”.

La differenza con l’Ordine è evidente: il Presbitero agisce in persona Christi, immagine viva di Gesù capo e buon pastore.

Lo stesso canone 230 del Diritto Canonico, che Francesco ha modificato nel paragrafo 1, conferma nel §2 che “I laici possono assolvere per incarico temporaneo la funzione di lettore nelle azioni liturgiche […]. A differenza del paragrafo 1, qui non si specifica distinzione di genere. E proseguendo: “… così pure TUTTI i laici possono esercitare le funzioni di commentatore, cantore, o altre ancora a norma del diritto”.

Proprio in funzione del paragrafo 2, finora, sia uomini che donne, col permesso del Sacerdote Celebrante, hanno potuto accostarsi alla lettura dei brani che precedono il Vangelo. Si trattava quindi, in pratica, di una “concessione” da parte del presbitero, e non dello svolgimento di un diritto-dovere.

Papa Francesco ha ricordato col suo Motu Proprio, che tutti i fedeli sono uniti al Sacerdozio comune dal Battesimo. Il canone 230 §1 viene quindi così modificato: “I laici che abbiano l’età e le doti determinate con decreto dalla Conferenza Episcopale, possono essere assunti stabilmente, mediante il rito liturgico stabilito, ai ministeri di lettori e di accoliti; tuttavia tale conferimento non attribuisce loro il diritto al sostentamento o alla rimunerazione da parte della Chiesa”.

In passato le donne hanno ricoperto numerosi ruoli e incarichi. In un certo periodo ci sono anche state delle Diaconesse, anche se i loro compiti non emergono e non sono specificati.

Queste indicazioni teologiche vengono anche incontro a un’esigenza che si è sentita da sempre. In modo spontaneo o in riconoscimento di specifici carismi, abbiamo visto comunemente svolgere funzioni di Accolito a uomini e donne che si sono prestati a preparare ciò che è necessario per la celebrazione della Santa Messa. E ciò senza che si creasse scandalo o contestazione.

Il testo completo della Lettera Apostolica in forma di Motu Proprio “Spiritus Domini” si può leggere e scaricare dal sito vaticano, oppure cliccando QUI.

Le mansioni di Lettore e di Accolito

A questo punto vanno però precisati quali sono i compiti del Lettore e dell’Accolito. È un passaggio indispensabile per evitare che ci si senta investiti di “poteri” o mansioni che non fanno parte di questi ministeri.

Rappresentano rispettivamente il primo e il secondo grado dei ministeri laicali. L’Accolito, in particolare, è il più elevato dei gradi raggiungibili da un laico prima dell’Ordinazione.

I Lettori indossano una veste liturgica approvata, mentre per il lettore di fatto questo obbligo non sussiste. Nella processione all’altare il Lettore avanza precedendo il Sacerdote, e tenendo il Libro delle Scritture leggermente elevato.

È compito dell’Accolito preparare e predisporre tutto quanto serve per le celebrazioni. Indica e distribuisce gli incarichi da svolgere per la celebrazione.

Gli Accoliti e i Lettori possono impartire alcune specifiche Benedizioni per le quali non è necessaria l’Ordinazione, ma hanno anche dei limiti molto circostanziati nelle mansioni che competono ai Diaconi e in modo particolare ai Presbiteri.

I ministeri laicali vengono conferiti mediante un Rito Liturgico apposito, dopo un’adeguata preparazione.

Per leggere o scaricare quali sono i compiti di Lettori e Accoliti cliccare QUI.

La linea di Papa Francesco prosegue sulla scia del Concilio

La linea di Papa Francesco prosegue sulla scia del Concilio

Bergoglio continua l’opera di tutti i Papi post-conciliari

“Non ci si salva da soli”. “I Sacramenti sono le mani del Cristo vivo che continuano a toccarci attraverso spazio e tempo”. Sono solo due delle accezioni significative emerse dalle meditazioni teologiche del Concilio Vaticano II. E sono anche le espressioni più caratterizzanti degli apostolati di tutti i Papi che si sono succeduti dalla chiusura del Concilio.

Papa Francesco sta portando avanti la linea conciliare in un’ortodossia perfetta, che armonizza il pensiero teologico all’indiscutibile necessità di attualizzazione.

Sono temi importanti, sui quali il carattere del Pontefice traspare proprio per la delicatezza e l’urgenza che si impongono in questo momento. Già Benedetto XVI aveva insistito sul pericolo del Relativismo. San Giovanni Paolo II aveva posto l’accento sull’importanza di una comprensione del Sacramentum come Mysterion. Laddove il mistero non è qualcosa di inaccessibile, ma che costituisce l’obiettivo per il quale abbiamo strumenti di ricerca. Ed è quanto sia San Giovanni XXIII che San Paolo VI avevano in mente durante i delicati lavori del Concilio.

“Non ci si salva da soli”

Emerge in tutta la sua forza la potenza salvifica della comunità. I cristiani sono un popolo in cammino, non esploratori solitari. La Chiesa, intesa come membra di Cristo e non come erroneamente la si intende, ovvero come “gerarchia”, svolge il suo compito di servizio, di custodia e di diffusione della Parola. Senza nulla aggiungere e nulla togliere ad una dottrina che ci è stata rivelata fino alla scomparsa dell’ultimo degli Apostoli. Da allora, da quando cioè l’ultimo testimone oculare del Cristo ha lasciato la terra, il compito è quello dell’attualizzazione.

“I Sacramenti sono le mani del Cristo vivo che continuano a toccarci attraverso spazio e tempo”

Più volte Papa Francesco ha chiesto, a chi può farlo, di inginocchiarsi davanti alla Consacrazione. È il momento del compimento. L’attimo della Transustanziazione. Il preciso istante in cui Cristo vivo si manifesta nelle sembianze del pane e del vino che l’uomo, chiamato a collaborare, ha offerto. Ecco quindi che uno dei significati più alti del Sacramento viene esplicitato. E con esso la Chiesa in cammino è il Vangelo che continua.

Mai come in questi ultimi 60 anni la continuità di intenti, di azione e di pensiero è stata così presente nella conduzione della Chiesa.

Le cornici del portale del XV secolo

Le cornici del portale del XV secolo

Sono conservate nella facciata della Parrocchiale

Secondo quanto risulta da fonti locali, la storia di Mendatica può essere fatta risalire almeno al 644. In quell’anno furono numerose le incursioni saracene che devastarono la costa ingauna. Molti abitanti si spinsero quindi nell’entroterra. Essi si distribuirono principalmente negli spazi posti alle spalle dell’attuale comune, dando vita a comunità isolate.

Successivamente, anche per esigenze legate alla pastorizia e alla coltivazione, la maggior parte si concentrarono dando vita al paese di Mendatica e lasciando numerose tracce.

Dal punto di vista architettonico la più antica prova di esistenza di un edificio destinato al culto si rileva nella Cappella di Santa Margherita, ma anche nelle prove tangibili dell’esistenza dell’antica parrocchiale dedicata al culto dei Santi Nazario e Celso eretta in tempi antichissimi.

La ristrutturazione barocca

Nel 1760, come spiegato nell’ottimo articolo di Emidia Lantrua, la chiesa subì una profonda ristrutturazione che portò alla demolizione dell’antico edificio. Le tracce di questa antica chiesa sono però integrate nella facciata dell’attuale parrocchiale.

Se si osservano le basi della facciata, proprio ai lati dell’attuale porta di ingresso principale, si possono notare le cornici dell’antico portale del XV secolo. Sono ben riconoscibili e poste in senso orizzontale. Sulle stesse, grazie alla dotta interpretazione di Celestino Lanteri, insegnante e storico locale, si sono rilevate anche tracce delle antichissime incisioni. Non si esclude che le cornici possano anche essere più datate, in quanto è provata l’esistenza di una chiesa ancora più antica locata nella medesima posizione.

Si tratta di una particolarità di estrema rilevanza. Essa va collocata anche nell’ambito peculiare del travaglio vissuto nell’adeguamento dell’estetica degli edifici di culto al gusto e al significato del Barocco, che imperava nel XVIII secolo.

La conservazione delle cornici del portale è quindi dovuta alla sensibilità del Parroco e della comunità mendaighina dell’epoca. Questo fatto storico conferma quanto Mendatica sia sempre stata, come oggi, molto restìa a rinunciare al proprio passato e alle proprie tradizioni.

Mendatica, anche grazie alla testimonianza della sua chiesa parrocchiale, conserva intatti i segni del tempo e cerca di elaborarli nell’ottica di un’evoluzione che non costringa a rinunciare alla storia.