Il Concilio di Trento (1545-1563)

Il Concilio di Trento (1545-1563)

Come la Chiesa rispose a Lutero

Il Concilio di Trento assume nella Storia della Chiesa un’importanza fondamentale.

Fu il XIX concilio della Chiesa, e fu convocato per rispondere al dilagare della diffusione della dottrina di Martin Lutero. In realtà la Chiesa aveva già in mente di intervenire su molti degli aspetti che furono discussi. Indubbiamente, però, le posizioni assunte dal monaco servirono da sprono.

La situazione non era facile anche per le implicazioni politiche. In un primo tempo, infatti, il concilio avrebbe dovuto tenersi a Mantova, ma posizione della famiglia Gonzaga, molto vicina al partito imperiale, sconsigliò questa scelta.

Fu preferita poi Trento, in quanto Principato Ecclesiastico, ma in territorio imperiale: ciò avrebbe garantito tutti gli schieramenti, ovvero l’imperatore, il re di Francia e i diversi partiti di curia.

La decisione portò a molte trattative e richiese molto tempo. Basti pensare che il concilio fu convocato nel 1537, la sede fu scelta nel 1542, e l’apertura avvenne il 13 dicembre 1545.

È curioso notare come uno tra i Papi più “chiacchierati” della storia, Paolo III, ovvero Alessandro Farnese, fu colui che convocò questo concilio che avrebbe incanalato la Chiesa in un ambito molto più spirituale.

Fu un concilio molto travagliato non solo per gli argomenti delicatissimi che sarebbero stati trattati, ma anche per gli eventi che intervennero durante il suo svolgimento.

Come si svolse il concilio

La prima sessione si svolse infatti dal 1545 al 1547, anno in cui, a causa della peste, ma probabilmente anche per svincolarsi dalle pressioni imperiali, fu trasferito a Bologna.

Nella città felsinea non vennero prodotti decreti, e il Papa sospese il concilio nel 1549.

La seconda sessione fu aperta nel 1551 da Papa Giulio III, ma la delegazione dei cardinali che avevano aderito alla Riforma protestante operò una dura opposizione a quanto fino a quel momento approvato. Fu così che si arrivò ad una nuova sospensione.

Il nuovo Papa Paolo IV cercò allora di imporre le proprie regole, ma il suo rigore fu controproducente: l’inquisizione ebbe un nuovo impulso e venne estesa la lista dei libri all’indice.

Alle morte di Paolo IV salì al soglio pontificio Pio IV, il quale riaprì il concilio nel gennaio del 1561, e lo portò a termine chiudendolo il 4 dicembre 1563.

Le decisioni

I principali decreti approvati furono di due tipi: Dottrinali e di Riforma. Ecco l’elenco delle decisioni più salienti:

Decreti Dottrinali:

Interpretazione della Bibbia affidata alla Chiesa

Determinazione del Canone dell’Antico Testamento e del Nuovo Testamento

Giustificazione per fede e con opere buone

Santa Messa in latino

Sacerdozio ministeriale

Sacramentalità e indissolubilità del Matrimonio

Conferma del culto dei Santi

Conferma della Dottrina delle Indulgenze

Viene ribadito il valore dei 7 Sacramenti.

Decreti di Riforma:

Obbligo ai Vescovi di residenza nella Diocesi

Obbligo ai Vescovi delle Visite Pastorali

Fondazione di Seminari in ogni Diocesi

Moralizzazione della vita religiosa: condannati simonìa e concubinato

Divieto di cumulo dei benefici.

Da notare che tutti questi aspetti sono ancora in vigore ai nostri giorni, eccetto la Santa Messa che viene celebrata nelle lingue nazionali in armonia con quanto avvenne in epoca apostolica.

Si ringrazia il Prof. Don Paolo Cabano per le lezioni di Storia della Chiesa.

Bibliografia essenziale:

Storia della Chiesa II – Lezione 19

H. Jedin, Riforma cattolica o Controriforma? Tentativo di chiarimento dei concetti con riflessioni

sul concilio di Trento, Brescia 1967 (ed. or. 1946);

P. Prodi, Controriforma e/o Riforma cattolica. Superamento di vecchi dilemmi nei nuovi panorami

storiografici, “Roemische historiche Mitteilungen”, 31, 1989, 227-237;

W. Reinhard, Disciplinamento sociale, confessionalizzazione, modernizzazione. Un discorso

storiografico, in Disciplina dell’anima, disciplina del corpo e disciplina della società tra medioevo

ed età moderna, a c. di P. Prodi, C. Penuti, Bologna 1994, 101-123;

R. Po-Chia Sia, La Controriforma. Il mondo del rinnovamento cattolico (1540-1770), Bologna

2001;

J.W. O’ Malley, Trento e ‘dintorni’. Per una nuova definizione del cattolicesimo nell’età moderna,

Roma 2004 (ed. or. 1999);

E. Bonora, La Controriforma, Roma-Bari 2001;

A. Prosperi, Disciplinamento, in Historia. Saggi presentati in occasione dei vent’anni della Scuola

superiore di studi storici, a c. di P. Butti de Lima, San Marino 2010, 73-88;

R. Bireley, Ripensare il cattolicesimo, 1450-1700. Nuove interpretazioni della Controriforma,

Piccola esegesi di Genesi 1

Piccola esegesi di Genesi 1

Con riferimento a “Il cantiere del Pentateuco”, di Jean Louis Ska

Premessa

Sappiamo che la Bibbia non è un libro di Scienze. E non ha mai avuto intenzione di esserlo. Si tratta della raccolta di Scritture che noi credenti riconosciamo ispirate.

La stesura del suo libro più recente dell’Antico Testamento, risale a circa 2.100 anni fa, mentre quello più recente del Nuovo Testamento, a circa 1.900 anni or sono. Nel caso del Primo Testamento ciò che viene riportato si riferisce a eventi accaduti a circa 3.500 anni fa, e ripetuti oralmente di generazione in generazione per migliaia di anni prima di accedere alla forma scritta.

Gli studiosi, stanno indagando sulla probabilità che vi sia stata una redazione avvenuta nel periodo immediatamente successivo al ritorno del popolo ebraico dalla cattività babilonese.Il valore di quanto riportano le Scritture è centrato sulla comunicazione da parte di Dio agli uomini. L’ordine stesso in cui vengono presentati i vari libri nella Bibbia, non fa riferimento all’aspetto cronologico, ma segue un percorso pedagogico. Ne deriva che Genesi 1 sia stata scritta circa 400 anni dopo rispetto a Genesi 2, che nelle Scritture la segue.

Gli stessi eventi narrati, figurano in alcuni casi due volte. Questa particolarità costituisce per gli storici una garanzia. Partendo infatti dal presupposto che gli ebrei hanno sempre considerato sacra la parola di Dio, si sono fatti scrupolo di non eliminare alcuna delle tradizioni manifestate nel passato. Ecco quindi che la Bibbia racconta spesso lo stesso evento secondo la tradizioni riconosciute da Julius Wellhausen nell’ipotesi documentale.

Genesi 1

Il primo messaggio della Genesi (in ebraico בראשית = in principio) si riferisce al fatto che non si parla di una creazione dal nulla. Il mondo semitico infatti non aveva la concezione del “nulla”, e lo identificava con il “caos”.

Per indicare l’azione creatrice viene utilizzato il verbo “barah” (בָּרָ֣א) che in realtà indica “fare qualcosa di meraviglioso”.

La terra viene presentata come informe e deserta, con le tenebre che la avvolgono. E a differenza di quanto viene indicato in altre religioni, non c’è alcuna lotta per la creazione.

I primi quattro giorni vengono caratterizzati da separazioni non distruttive. Il deserto (“midbar”=מִדבָּר), le tenebre, ecc., restano in una separazione che dà alterità.

Nel corso del terzo e del sesto giorno abbiamo delle separazioni che esprimono il dono della vita, in un’azione derivata che deve essere continuativa, e in cui il mondo riceve la propria potenzialità di sviluppo. La potenza che qui viene espressa non è aggressiva, ma scandisce il riconoscimento del bene (“Vide che era cosa buona”). Di fatto nel separare Dio dà la vita, e la contempla in un compiacimento che dà senso al riposo del settimo giorno.

Dopo il “Dio disse” troviamo la prescrizione, in uno schema che viene ripetuto nel Decalogo, in cui il Primo Comandamento è il dono, e gli altri nove rappresentano le condizioni per conservarlo.

Sono evidenti fin dai primi versetti le intenzioni di significare i riferimenti al popolo di Israele.

Adamo ed Eva

Nella creazione dell’uomo e della donna, le esegesi di Venen e Beauchamp vedono il coinvolgimento dell’umano nella somiglianza. Adamo viene creato a immagine di Dio, ma la somiglianza viene riferita come una conquista da effettuare, e viene citata solo nel versetto 27. In ciò si riconosce l’autonomia concessa all’uomo.

La fecondità e il dominio sulla natura vengono accompagnati dalla benedizione. Si percepisce però il senso forte dell’utilizzo dei verbi dominare e soggiogare, ancora più chiaro in ebraico. Il dominio affidato all’uomo non implica automaticamente l’uccidere gli animali. Ogni specie ha il suo spazio, e quindi la propria dimensione vitale: all’uomo sono riservati semi e alberi, agli animali le altre erbe, in un simbolismo perfetto. Intravvediamo quindi la metafora che indica come il dominio sugli animali possa anche essere inteso come controllo della “animalità” dell’uomo, attraverso l’aiuto di ciò che condivide con Dio.

Questa prospettiva emerge in Genesi 2 (che ricordiamo essere stata scritta prima), circa l’insufficienza degli animali circa il dare aiuto all’uomo. Il che determinerà la creazione della donna, dalla costola di Adamo.

Circa la constatazione di ciò che “è buono”, ne notiamo l’assenza in corrispondenza della creazione di Adamo, ad indicare che l’uomo non è completo, ma deve raggiungere la completezza con le proprie scelte.

Infine, il riposo del settimo giorno, non deve essere inteso come un bisogno di Dio. È invece l’invito alla continuazione affidata all’uomo.

Si ringrazia il prof. Don Davide Bernini per le sue lezioni.

Sulla Croce Gesù invocò il Padre, ma gli ebrei intesero Elia

Sulla Croce Gesù invocò il Padre, ma gli ebrei intesero Elia

Ecco perché…

La liturgia e il libri ci ricordano quale fu il grido di Gesù sulla Croce: “Eloì, Eloì, lemà sabactàni”, subito tradotto in greco in “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato”. Ma quale lingua parlava Gesù se gli ebrei lì presenti hanno pensato che si rivolgesse ad Elia?

Non è un mistero ma un fatto che si spiega in modo logico attraverso lo studio del periodo storico.

A quel tempo in Palestina erano utilizzate diverse lingue:

1) Il greco, e specificamente il dialetto attico, quello che oggi noi definiamo “greco neotestamentario”, che era la lingua dei dotti.

2) Il latino, che era la lingua dei conquistatori, utilizzato prevalentemente in ambito giuridico.

3) l’ebraico, utilizzato per i riti e per le celebrazioni, e comunque in ambito religioso.

4) l’aramaico, una lingua derivata dal periodo di esilio a Babilonia, che era la lingua comune, utilizzata dal popolo.

Per semplificare possiamo affermare che Gesù, nell’esprimersi nei suoi discorsi, con le parabole e gli insegnamenti distribuiti nella sua predicazione, nonché con Apostoli e con i suoi amici parlava, come tutti, l’aramaico.

La spiegazione

Nell’ambito di questo schema possiamo decifrare le parole pronunciate da Gesù.

Il popolo di Israele riteneva Elia il più grande dei profeti, ovvero colui che con il suo ritorno avrebbe preceduto l’arrivo del Messia. Come sappiamo la convinzione popolare e dei sommi sacerdoti, nonostante l’avvertimento di tutti i profeti, era rivolta ad un Messia conquistatore.

L’espressione adottata da Gesù per rivolgersi al Padre fu Eloì, ossia un modo verbale della forma scritta Elohim, che significa “Signore”, nell’accezione di Dio. Il termine è usato innumerevoli volte nella Bibbia, e dà addirittura il nome alla tradizione biblica detta “elohista” o “E”.

Questa invocazione fu invece immediatamente interpretata dagli ebrei, che (strano a dirsi ma vero) non conoscevano bene l’ebraico, come un appello a Elia. Inoltre, se l’espressione fosse stata in aramaico, avrebbe dovuto essere: Elahî. Va notato poi che se Gesù avesse voluto invocare Elia avrebbe pronunciato “Elì”.

Ecco quindi che tra le persone che assistevano alla crocifissione si pensò subito ad Elia, e si diffuse la domanda del perché Gesù lo invocasse. Anche considerando che Elia, fra l’altro, era ritenuto il protettore e il confortatore dei moribondi.

La frase destò qualche preoccupazione, tanto è vero che alcuni tra i presenti chiesero di attendere per vedere se Elia corresse in aiuto per aiutarlo. In questo caso la convinzione di Gesù come Messia avrebbe preso corpo.

La vicenda è molto significativa anche per la conferma che gli ebrei non erano del tutto sicuri di mettere a morte un impostore, perché il dubbio che Gesù fosse realmente il Messia attanagliò il popolo fino all’ultimo. Ma come sappiamo, Gesù esalò lo Spirito, e morì esattamente come i profeti avevano annunciato già centinaia di anni prima.

La pia tradizione del “Sepolcro”

La pia tradizione del "Sepolcro"

Allestito l’Altare della Reposizione

La tradizione del “Sepolcro” è molto sentita a Mendatica.

Nonostante le difficoltà derivanti dalle misure anti-pandemia, come ogni anno alcuni volontari hanno allestito l’Altare della Reposizione.

La liturgia pasquale prevede infatti che il triduo inizi il Venerdì Santo. Secondo l’antico uso, il giorno viene fatto iniziare alla sera del dì precedente. Al termine della celebrazione della Santa Messa in coena Domini, i fedeli rendono omaggio ad un altare allestito specificamente per ricordare il sacrificio del Salvatore.

Durante la Messa del giovedì, infatti, vengono consacrate le specie eucaristiche per essere distribuite ai fedeli nella comunione sacramentale del giorno successivo.

Il giovedì che precede la Pasqua, la Chiesa si oscura in segno di dolore e si unisce idealmente e spiritualmente all’Agnello immolato. Le campane tacciono, l’altare maggiore è disadorno, il tabernacolo vuoto e aperto, i Crocifissi coperti. Gesù è vivente nell’Eucarestia, ma non si può negare il passaggio cruento della sua crocifissione.

La tradizione dei “Sepolcri” ha origine molto antica. Se ne hanno notizie certe in epoca carolingia. Nei secoli VIII e IX i fedeli avevano dunque già l’abitudine di ricordare la crocifissione con i segni evocanti la morte di Gesù.

La comunità di Mendatica è sempre stata molto sensibile alle tradizioni religiose. Quest’anno il “Sepolcro” della Parrocchia dei Santi Nazario e Celso, ha voluto evidenziare alcuni simboli molto suggestivi. Sono stati inseriti una corona di spine adagiata su una croce, un telo e un sudario, alcune pietre a ricordare l’aspro cammino sul Golgota, un pane e un calice colmo di vino, una borsa da cui fuoriescono le monete.

Sul cartiglio fu scritto che Gesù è Dio

Sul cartiglio fu scritto che Gesù è Dio

Il Vangelo Giovanni si sofferma su un particolare che dalle traduzioni risulta fondamentale

Perché in un momento tragico come quello della crocifissione Giovanni si sofferma su quanto fu scritto sul cartiglio? E perché i sacerdoti, non paghi di aver fatto condannare Gesù a Morte si recarono da Pilato per far modificare il cartiglio?

In effetti sul titulus crucis faceva bella mostra di sé il nome di Dio. Ovvero il tetragramma sacro, quella inscrizione che gli ebrei non osano pronunciare neppure oggi, e che ogni studioso di Ebraico Biblico non pronuncia per rispetto al credo ebraico: “יהוה” (YHWH).

Sappiamo che a quel tempo in Palestina si parlavano quattro idiomi: Ebraico (detto oggi Biblico), che era la lingua della religione e dei riti sacri; Latino, lingua dello stato e utilizzata per gli atti ufficiali; il Greco (detto oggi Neotestamentario), parlato dai grandi dotti; e infine l’Aramaico che era la lingua del popolo, derivata dall’esilio a Babilonia terminato circa 5 secoli prima e penetrato nella comunità ebraica.

Il cartiglio rivelatore

Il cartiglio, che era obbligatorio nel caso di esposizione pubblica delle condanne, veniva redatto nelle prime tre lingue. Abbiamo quindi la derivazione a noi più familiare che è quella latina : INRI, ovvero Iesus Nazarenus Rex Iudaeorum. Ma quella ebraica offre spunti veramente interessanti.

Quando Dio si presentò a Mosè disse di essere “Colui che è” che traslitterato in ebraico è “Ehyeh asher ehyeh”. Nella traduzione greca diventa “ego eimi ho on”, “Io sono l’ESSERE”.

Nell’inviare Mosè agli israeliti Dio è ancora più specifico e ordina al profeta di riferire che è mandato da “Io sono” (YHWH). Da qui il nome di Dio.

Gli ebrei sono così attenti a non pronunciare questo nome che negli scritti i masoreti hanno inserito indicazioni vocaliche per renderlo impronunciabile. La più diffusa fu YeHoWaH, da cui i Testimoni di Geova hanno creduto fosse il vero nome.

Sul cartiglio la scritta ebraica che definiva la condanna fu: Gesù il Nazareno Re dei Giudei, che in ebraico figurava: “ישוע הנוצרי ומלך היהודים”. Leggendolo da destra a sinistra come si fa con le lingue semitiche abbiamo: “Yshu Hnotsri Wmlk Hyhudim” e quindi YHWH.

I sacerdoti, avvezzi a praticare l’ebraico rituale si accorsero immediatamente della significativa scritta e corsero da Pilato per farla modificare. Ma sappiamo che Pilato rispose: “Quod scripsi scripsi”, “Quel che ho scritto, ho scritto”.

Si compì quindi quanto Gesù disse nell’annunciare la propria morte in croce: “Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora conoscerete che IO SONO e che non faccio nulla da me stesso, ma parlo come il Padre mi ha insegnato.

Ecologia come conservazione del creato e coscienza del “non spreco”

Ecologia come conservazione del creato e coscienza del "non spreco"

La Terra ci è stata affidata.

I tempi moderni tendono a sintetizzare contenuti e concetti, e di conseguenza il rischio di relativizzare sale a dismisura. È un aspetto che già Benedetto XVI aveva evidenziato, e che Papa Francesco sta ribadendo.

Uno dei temi più pressanti, ma stranamente controversi, anche per l’interpretazione politica che viene attribuita e lo scarso approfondimento conseguente, è quello dell’ecologia.

Dovrebbe essere un argomento tale da interessare tutti molto da vicino e che non dovrebbe trovare forze contrarie, ma in realtà non è così.

Si vanno formando due schieramenti che sempre più assumono connotati politici, mentre la questione meriterebbe un’attenzione unanime e costruttiva. Le due parti si stanno radicalizzando, e se dal fronte ecologista si avvertono posizioni anche estremiste, dall’altro sta crescendo pericolosamente una frangia negazionista.

Occorre quindi riportare “la palla al centro” e ricominciare da un’analisi imparziale e obiettiva.

È quanto sta facendo Papa Francesco spostando l’attenzione su alcuni aspetti fondamentali i quali abbracciano i temi religiosi, come giustamente gli compete, ma anche altri ambiti che sono comunque propri del campo d’azione della Chiesa, come quello sociale e sociologico.

Il Santo Padre non esita a riaffermare i motivi per cui il Creato ci è stato consegnato. Essi si riconoscono nell’intendere il pianeta quale teatro in cui deve svolgersi il cammino dell’uomo verso il Regno di Dio. Ne emerge quindi la responsabilità religiosa, ma anche quella civile della trasmissione della Terra ai nostri figli. Il pianeta non è nostro: ci è stato affidato affinché lo custodissimo. Nella sua enciclica Laudato Sì Papa Francesco è molto esplicito.

In questa visione si legano gli aspetti spirituali e umani che sono come sempre imprescindibili.

Ma le ragioni non si fermano qui.

Esiste anche un campo educativo valido sia in senso civico, che etico e morale. Con la giusta attenzione alla conservazione dell’ambiente si evidenzia anche la cultura del “non spreco”. Questa è un’accezione molto delicata anche perché va a toccare interessi economici e teorie utilitaristiche che si riconducono al consumismo.

Abituarsi a non sprecare costituisce un aggancio importantissimo ad alcune abitudini che potrebbero essere modificate con beneficio dell’ambiente ma anche e soprattutto dell’individuo.

Dare importanza a ciò che si possiede e valorizzarne la valenza, non può che portare ad una presa di coscienza migliore e a una corretta crescita intellettuale. Si tratta di un invito a un’educazione che recupera il senso della rinuncia, temprando in modo naturale sia lo spirito che il corpo. Il senso dell’attesa ne uscirebbe fortificato. Sarebbe poi un modo inconfutabile per educare carattere e volontà, parametri di cui si sente molto la mancanza ai nostri giorni.

In passato esisteva il ricorso al “fioretto”, ovvero quelle piccole rinunce che si praticavano per allenare la speranza. Questo concetto è stato svilito e spesso ridicolizzato da una cultura moderna sempre più falsamente pratica e certamente superficiale.

Dobbiamo perciò gioire quando sentiamo il Papa parlare di ecologia e conservazione del Creato, perché in queste proposte risiede un progetto educativo che sarebbe giusto nutrimento per corpo, spirito e intelletto.

Archeologia: gli scavi di Nazareth e i riscontri evangelici

Archeologia: gli scavi di Nazareth e i riscontri evangelici

I recenti ritrovamenti confermano i testi del Vangelo

Non potendo contestare i riscontri storici dell’esistenza storica di Gesù, molti detrattori della veridicità del Vangelo insistevano sul fatto che non fosse mai esistito ai tempi del Salvatore un villaggio in Palestina chiamato Nazareth.

Con i recenti ritrovamenti archeologici anche questa ultima velleità è stata azzerata senza alcuna ombra di contestazione.

Scavi archeologici svolti in loco, non solo hanno confermato l’esistenza di Nazareth a cavallo tra i secoli attorno all’anno zero, ma hanno anche rilevato la presenza di una folta comunità ebraica. Le risultanze relative a oggetti, resti e reperti hanno permesso inoltre agli archeologi e agli storici di determinare le tendenze ideologiche della popolazione residente.

Sono state ad esempio ritrovate le tombe di tipo kokhim. Si tratta di sepolcri intagliati nella roccia. Questi edifici funebri erano ovviamente chiusi su tre lati e sigillati in ingresso da una grande pietra rotolante, esattamente come venne descritto il sepolcro di Gesù a Gerusalemme.

Una popolazione fiera e tradizionalista

Gli abitanti di Nazareth erano molto ortodossi nell’osservanza della fede ebraica tradizionale e si distinsero per aver rifiutato costantemente l’influenza romana, almeno fino al 70 d.C.

In occasione della grande offensiva romana che portò alla distruzione del Tempio di Gerusalemme, contrariamente agli altri paesi limitrofi, Nazareth resistette tenacemente. Sono stati ritrovati infatti rifugi e nascondigli scavati nella roccia. Venivano usati dai residenti al fine di proteggersi per non arrendersi ai Romani.

Negli scavi infatti, non sono state rinvenute neppure monete romane, segno evidente che il commercio pacifico con l’invasore non venne praticato a Nazareth, come invece avvenne altrove.

Questi fatti porterebbero a ritenere plausibile il rifiuto che Gesù riscontrò nel villaggio della residenza, evidenziato col famoso “Nemo profeta in patria”.

Un’altra prova della stretta ortodossia praticata dai cittadini di Nazareth è data da alcuni confronti con le usanze rilevate dai resti del vicino villaggio di Sèpphoris (in Italiano Zippori, ma conosciuta in epoca romana come Diocaesarea). In questo paesello il letame organico veniva utilizzato per concimare, azione proibita agli ebrei osservanti. A Nazareth invece ciò non avveniva.

Ancora in Sèpphoris, come in altri villaggi del tempo, sono stati ritrovati resti di ceramica di fattura romana. In Nazareth tutti i ritrovamenti sono relativi a ceramica locale, segno della fiera opposizione al dominio straniero.

A quanto risulta Nazareth avrebbe avuto dimensioni ben maggiori di quanto ritenevano gli storici che ne hanno sempre sostenuto l’esistenza.

Le pubblicazioni e i nuovi studi

Gli studi sono stati approfonditi dal prof. Ken Dark, direttore del Nazareth Archaeological Project, e svolti in collaborazione con l’University of Reading.

Ulteriori riscontri si possono trovare sul libro “Roman-period and Byzantine Nazareth and its hinterland“, Palestine Exploration Fund Annual, 15. Routledge, London and New York 2020.

Ora lo studioso è impegnato ad approfondire le rilevanze emerse dalla scoperta di una casa che potrebbe essere quella in cui abitò la Sacra Famiglia, o per lo meno quella ritenuta tale in epoca bizantina.

Questo studio è reso noto nella pubblicazione “The Sisters of Nazareth Convent: A Roman-Period, Byzantine and Crusader Site in Central Nazareth“.

Nascita e morte di Gesù, la data, storia e tradizione

Nascita e morte di Gesù, la data, storia e tradizione

Gli studi storici sulla figura del Salvatore.

Da secoli gli storici sono alla ricerca della datazione corretta della nascita e della morte di Yoshua ben Yosef, meglio conosciuto come Gesù.

È molto diffusa la convinzione che la data della nascita di Gesù sia avvenuta il 25 dicembre dell’anno zero. Circa la morte viene annualmente commemorata nel giorno di Pasqua, che come sappiamo varia di anno in anno.

Occorre inoltre chiarire che la tradizione non va intesa come scientificamente probante, e che sia necessario fare riferimento alle risultanze storiche. Ciò non significa, almeno finora, che le due versioni siano incompatibili. Ma anche se così fosse, ogni eventuale risultato di una ricerca non inficerebbe la realtà circa la storicità della figura di Gesù.

Cosa dicono gli storici

Gli studi finora effettuati hanno portato ad alcune conclusioni che derivano da numerosi incroci di dati storici. Essi sono tratti non solo dai testi evangelici, che comunque sono documenti antichi dei quali si sono rinvenuti numerosi frammenti. Le fonti sono le medesime utilizzate per la ricostruzione del periodo antico relativo ai tempi di Cristo, ovvero Tacito, Eusebio da Cesarea, Svetonio, Giuseppe Flavio, ecc.

Secondo le ricostruzioni storico-scientifiche, Gesù fu crocifisso durante le festività di Pesach (la Pasqua ebraica), che cadeva il giorno 15 Nisan ma che duravano otto giorni. Sappiamo però che la morte avvenne il venerdì, e che la crocifissione avvenne tra le ore 9 e le 12 del mattino. Non risulta però l’ora della morte.

Se risaliamo al periodo specifico abbiamo pochi casi in cui il 15 Nisan cadde il venerdì. Incrociando infatti questi dati con gli anni del mandato di Ponzio Pilato (26-36 d.C.), scopriamo che solo il 22 marzo del 26, il 3 aprile del 33 e il 30 marzo del 36, abbiamo la concomitanza col venerdì. I giorni vengono poi ricalcolati nel 20 marzo, 1° aprile e 28 marzo a causa della correzione introdotta dal calendario gregoriano.

L’ultima teoria

Uno studio ancora più recente, apparso su Annales Theologici, propone e motiva un’ulteriore ipotesi, ovvero la nascita nel 1 a.C e la morte nel 34.

Altri studi ancora, che prendono in considerazione l’incrocio col periodo del regno di Tiberio Giulio Cesare Augusto, stabiliscono che invece la data della nascita di Gesù potrebbe essere collocata tra il 4 e il 9 a.C.

Tutte queste ipotesi non sono in contrasto con la tradizione. La durata del ministero del Salvatore, indicata è in tre anni. Ma l’inizio del suo annuncio non è specificato nei 30 anni di età, bensì in un “dopo i trent’anni”.

A complicare ulteriormente le cose interviene anche l’incertezza circa la morte di Erode il Grande. Fino a pochi mesi or sono la maggior parte degli storici era convinta che il re morì nel 4 a.C. Ciò farebbe spostare la nascita di Gesù ad almeno il 4 o 5 a.C., senonché questa data sarebbe messa in forte discussione dalle nuove risultanze relative alla vita di Erode il Grande

Gli approfondimenti e maggiori dettagli potrebbero presto avvicendarsi numerosi circa questo appassionante enigma storico.

Non burliamoci dei mistici: in realtà sono combattenti

Non burliamoci dei mistici: in realtà sono combattenti

Il significato della Teologia Spirituale

La nostra epoca, anche in conseguenza ad un uso indiscriminato dei social media, sta sempre più sprofondando nell’approssimazione e nel relativismo. Alcuni aspetti fondamentali della vita dell’uomo e essenziali per la comunità umana, sono liquidati con giudizi superficiali.

A risentire di questo stato di cose sono soprattutto quelle accezioni che in realtà fanno la differenza tra il genere umano e tutte le altre specie presenti sul pianeta, ovvero gli aspetti spirituali.

Che piaccia o no, l’uomo è dotato di una sua spiritualità naturale, e tende a scoprire sempre di più in una ricerca introspettiva. Al corpo materiale si unisce una capacità mentale che produce sentimenti e pensieri, elementi impalpabili ma dei quali non si può negare l’esistenza.

La Scienza

La Scienza stessa riconosce attualmente che alcuni aspetti del “sentire” umano sfuggono al regno della materia, e inserisce questi studi nella fisica quantistica.

Al contrario di quanto la ragione ci indurrebbe a pensare, il comportamento collettivo si sta orientando sul riduzionismo dell’importanza spirituale.

Prendiamo ad esempio i mistici, ovvero coloro che esaltano le loro capacità spirituali, attraverso un cammino di ascesi. Dai più vengono considerati “idealisti”, “sognatori” e addirittura pazzi. La realtà è ben diversa rispetto a questi giudizi.

Il significato stesso di “ascesi” viene frainteso e ridotto in una definizione di “estasi”. In realtà il termine deriva dal greco “Askesis”, che significa combattimento. Si tratta infatti di una lotta interiore che deriva dallo sforza di far uscire in un ambito umano quanto di spirituale c’è nell’uomo, per meglio cogliere il messaggio divino.

L’ascesi non è un percorso che viene richiesto obbligatoriamente, ma è una scelta che un singolo adotta perché la sente più vicina ai propri carismi e le proprie aspettative.

L’etimologia del termine ci autorizza quindi a considerare il mistico alla stregua di uyn lottatore, che ha scelto la battaglia interiore per scrutare in sé le tracce di Dio.

La Teologia Spirituale

È un campo indagato dalla Teologia Spirituale, quella disciplina nata storicamente col Concilio di Trento nel momento in cui i Padri Conciliari hanno incaricato la Compagnia di Gesù di trovare la Ratio Studiorum per i Seminari.

Santa Teresa d’Avila e da San Giovanni della Croce fornirono un immenso contributo.

Mistico, inoltre è la traduzione di “Mistes”, ovvero colui che è iniziato a esplorare una realtà nascosta. È chi cerca di svelare il mistero.

Le tracce dell’esigenza mistica si trovano già nella Genesi col riposo di Dio dopo la creazione. Sarebbe impensabile sostenere che Dio, l’Onnipotente, abbia bisogno di riposo. Dobbiamo quindi interpretare questo suo gesto come un messaggio: Dio si riposa nel cuore dell’uomo. E ri-posandosi nel cuore di ognuno, lavora in esso.

E così come santificare le feste significa ricevere la benedizione del Signore, così nel riposo delle feste l’uomo riposa nel cuore di Dio.

Scienza e Religione insieme per la Verità

Scienza e Religione insieme per la Verità

Molti problemi sorgono quando non ci si intende con i termini che vengono usati.

Accade quindi che si stia parlando di un argomento, e l’interlocutore ne comprenda un altro.

Ciò accade più spesso di quanto possiamo immaginare.

Prendiamo ad esempio il concetto di Scienza.
La quasi totalità delle persone è incline a dare per scontato che ciò che dice la Scienza sia indiscutibile.

Certamente questo è il comportamento più prudente e al quale occorre affidarsi, ma non bisogna cadere nell’errore che la Scienza sia un assoluto. Anche perché gli scienziati continuano a dirci che non è vero.

La Scienza nel formulare le sue teorie, parte dagli assiomi, ovvero quegli aspetti che vengono dati per scontati siano veri.

Oggi, per forza di cose, gli scienziati devono necessariamente partire da assiomi che in qualche caso non sono verificati e sono ancora allo stato di teorie.

Prendiamo ad esempio il Big-Bang. Se ne parla in tutte le odierne teorie dando per scontato che sia stato l’origine dell’universo. Ma questo fatto, seppur molto probabile, non è certo. E comunque il Big-Bang è stato promosso a assioma.

Si tratta di un modo per progredire con la Scienza, la quale non è un punto di arrivo ma un mezzo. O meglio detto: la Scienza non è la Verità, ma uno dei mezzi per raggiungere la Verità.

La Religione parte anch’essa da un assioma, ovvero l’esistenza di Dio. Si tratta di una Verità di Fede, che è resa credibile dai ragionamenti filosofici e teologici. Da questo assioma ci si dirige verso la ricerca della Verità, che per i credenti è realizzazione del Regno di Dio.

Benedetto XVI, confermando ciò che sostenne San Giovanni Paolo II, disse più volte che Scienza e Religione, ovvero Ragione e Scienza, non possono essere separate. Devono al contrario marciare in armonia, proprio con lo scopo di raggiungere la Verità.

È un richiamo forte alla composizione della stessa natura umana, fatta di materia e spirito, carne e mente, azione e pensiero. Tutti binomi che separare significherebbe una mutilazione.

Sartre, pensatore ateo disse che il corpo sarà sempre “il superato” da quel qualcosa in più che esiste nella persona umana.

Per noi cattolici ciò è ancora più vero perché crediamo in Cristo Logos, Gesù Parola. E se Gesù è la Parola, e la Parola è Verità e la Verità è Ragione, tutto ciò che è contro la Ragione è anche contro Dio.