L’angolo del monaco: “Non avete ancora fede?”

L'angolo del monaco: "Non avete ancora fede?"

Tratto dalla pagina Facebook del Monastero di Finalpia

20 Giugno 2021

La frase di questa domenica è: “Non avete ancora fede?”

Sembra facile, ma non lo è. Gli uomini si riempiono la bocca di parole, alcune delle quali sono frutto di esperienze, queste parole hanno i loro segni sulla pelle dell’uomo stesso. E queste parole sono inequivocabili e universalmente comprensibili.
Poi ci sono quelle parole che tutti usano e di cui solo pochissimi, forse, ne hanno un segno, ma la rarità fa apparire tali uomini come statisticamente poco credibili.
Una delle parole, o forse la parola più difficile da comprendere è “fede”. Che cosa vuol dire? San Tommaso d’Aquino sosteneva che essa è la disposizione ad accogliere come vere le informazioni di cui non si ha una conoscenza diretta.
Ma anche essere leali, mantenere la parola data; essa nel Buddismo, per esempio, assomiglia, per certi versi, all’illuminazione.
E ancora, è illuminante la lezione di Sant’Agostino il quale sosteneva che tutte le nostre conoscenze si fondano sulla fede. Infatti solo dopo averle credute come ammissibili esercitiamo su di esse l’attività critica e riflessiva del nostro intelletto (credo ut intelligam) e a sua volta il comprendere aiuta ad interiorizzare, a far proprio ciò che prima avevamo accolto ciecamente con un semplice atto di fede (intelligo ut credam).
Quindi, alla base di ogni nostro pensiero e di ogni nostra azione c’è il processo di fede, che ci aiuta in quella zona spaziotemporale nella quale non abbiamo la certezza della scienza o la certezza di una fede profonda.
Quando Gesù rimprovera i suoi discepoli di non aver “ancora” fede, li accusa di non applicare alle azioni quotidiane quell’idea che, per alcuni, sembra solo fatalistica, ma che per molti è il motore della nostra esistenza.
Anche nell’episodio della pesca miracolosa essi mettono in dubbio la loro fede, vista l’esperienza che avevano fatto. Così ritroviamo lo stesso rimprovero anche nell’Ultima Cena.
Insomma Gesù cerca di educare alla fede i suoi amici che, nella loro ignoranza di uomini del volgo, non sanno cosa rispondere alle “provocazioni” in avanti di quel Rabbi che cerca di dimostrare come la logica della Torah debba essere ribaltata.
Si deve perdonare fino a settanta volte sette, non più occhio per occhio, pregare per i nemici, gli ultimi saranno i primi, sono queste alcune delle “provocazioni” che i discepoli non comprendono, ma sulle quali si basa la nuova dottrina che il Figlio dell’Uomo è venuto ad insegnare agli uomini di buona volontà.
E c’è un passo che ci spiazza tutti quanti, quando Gesù dice “Ma il Figlio dell’Uomo quando verrà, troverà la fede sulla terra?”. È la grande paura di Gesù.
La fede è un movimento totale con il quale l’uomo si consegna al Dio dell’alleanza, appunto, anche contro ogni evidenza, azione che spinge Gesù a essere fedele e a mantenere le sue promesse.
Abramo, chiamato il “Padre dei credenti” ne è il capostipite.
Kierkegaard ci descrive molto bene il movimento con il quale l’uomo sta responsabilmente davanti a Dio.
Così come l’episodio di Giobbe ci dice che la fede deve essere mantenuta contro ogni evidenza perché solo in questo modo si possono vincere le seduzioni del maligno. Infatti ad Auschwitz chi ha vinto sono stati coloro che hanno mantenuto la loro fede, la lucidità della loro sorte contro la barbarie dell’uomo accecato dalla sete di violenza.
Anche oggi, nei diversi teatri di guerra, in Africa, in Medio Oriente, in Asia troviamo resistenti che non si piegano alle violenze del potere.
Pensiamo anche a Martin Luther King e a Gandhi e alla loro lotta di liberazione basandosi solo sulla non violenza.
È da deboli usare la violenza perché vuol dire che la propria fede non è creduta così forte e che quindi c’è bisogno di un supporto di violenza per portare a compimento i nostri disegni.
Per questo oggi da più parti, all’interno della Chiesa, si alza il grido di combattere contro il potere del denaro, contro la sopraffazione della logica del tutto e subito.
La Chiesa non deve aver paura di aprirsi all’altro, di perdere il suo potere temporale o i suoi tesori perché Gesù vuole azzerare tutto il ciarpame che non può essere portato con noi nell’altra vita, non vuole adottare l’uguaglianza valore/tesori, ma vuole che il credente si doti di quei beni che invece costituiscono il segno della fede.
Vince chi soffre per la pesantezza della sua umanità, ma è leggero grazie alla forza della sua spiritualità. Chi cade nel fango del peccato e si rialza è meno sporco di colui che invece si ammanta di abiti lussuosi e che usa passerelle per non farsi sporcare dal fango del prossimo.
Il mio invito oggi è quello di avere fede, soprattutto nelle tempeste della vita, nelle cadute dentro ai nostri peccati abituali, perché maggiore è la gioia quando riusciamo a rialzarci.
Avere la fede di chi sta seduto nei primi banchi e non si gira indietro a guardare la sozzura del mondo ed è poco propenso a sporcarsi le mani, beh quelli Gesù dice che sono come il fariseo che guardava con superiorità il pubblicano.
Il penitente fedele è colui che anche se si abbassa si erge come il più alto dei monti, se anche si impoverisce acquista maggior ricchezza di Creso. Chiediamo alla Madonna di Pia la ricchezza del cuore, che quella del conto in banca è inutile.

Monastero di Finalpia

Nella foto l’interno della Cappella

Il cammino della Chiesa

Il cammino della Chiesa

La Chiesa come Gesù la vuole

Nel corso della Storia la concezione che i fedeli hanno avuto della Chiesa è cambiato a seconda della cultura e delle tendenze dominanti.

La Chiesa Personalizzata simbolicamente

La prima Chiesa intesa come aggregazione di fedeli fu quella nata spontaneamente al momento dell’uscita di Pietro dal cenacolo a Pentecoste. Una Chiesa eroica, che affrontò ben presto le persecuzioni.

Ne nacque ben presto un modello di Chiesa che gli studiosi chiamano “Personalizzata simbolicamente”.

Era una Chiesa in relazione frontale con Gesù, come in un rapporto di coppia. Fu tipica della Patristica e dell’Alto Medioevo. I primi Padri infatti si affidarono alle Scritture e ne sortì una sua visione come di una vergine o di una fidanzata, e poi di una sposa e madre dei viventi.

C’era già una nozione del corpo mistico di Cristo, che è il capo, e delle sue membra.

La Chiesa Pietrificata

Con l’editto di Costantino e quello di Teodosio, il Cristianesimo divenne religione di Stato. Presto la situazione si capovolse, e ad essere perseguitati finirono i non cristiani.

La Chiesa crebbe in potere anche in ambito civile, in un mondo conosciuto che era praticamente tutto cristiano.

Il potere, divenuto poi anche temporale, sfociò nelle lotte con l’imperatore. L’aspetto mistico si allontanò notevolmente da quello giuridico.

Intervenne a questo punto la rottura con la Riforma, che piazzò un grave colpo ai danni dei Sacramenti, cui seguì la Controriforma nel tentativo di recuperare gli aspetti spirituali.

Il risultato fu un’immagine di Chiesa esclusivamente vista come aspetto gerarchico. La stessa che per disinformazione ci portiamo dietro ancora oggi.

La Chiesa Comunicante

Fu necessario che trascorressero 400 anni per arrivare a una correzione di questa impostazione. E ciò avvenne col Concilio Vaticano II.

Venne recuperata la storicità e il concetto di base nella domanda di come deve essere la Chiesa voluta da Gesù.

Una Chiesa che si impegna nella comunione tra Dio e il suo popolo: uomini e donne in cammino verso il Regno di Dio. Un popolo pellegrinante fatto di fratelli e sorelle in Cristo.

Questo tipo di partecipazione al pellegrinaggio verso la Gerusalemme celeste, infatti, non può escludere la fratellanza. E con essa emerge la coerenza nell’attenzione verso i poveri in accezione teologica. Ogni tipo di povertà: economica, morale o spirituale.

Solo in questo modo la Chiesa può essere ciò che è la sua vocazione e la sua ragione d’essere: Sacramento universale di Salvezza. Una Chiesa oggetto di fede ( “Credo LA Chiesa”), ma anche soggetto di fede: noi crediamo grazie alla Chiesa.

Non è quindi concepibile un cristiano che viva la fede individualmente.

Una, Santa, Cattolica, Apostolica: la Chiesa è Madre

Una, Santa, Cattolica, Apostolica: la Chiesa è Madre

Già Ireneo di Lione si preoccupava di difenderla dalle eresie

Le caratteristiche principali della Chiesa Cattolica sanciscono la sua unità, la sua santità, l’universalità e l’apostolicità.

Una perché corpo mistico del Signore, che si compone di un capo e delle sue membra che svolgono funzioni e cercano di conformarsi in esso. Santa perché voluta da colui che è il tre volte Santo. Cattolica perché cerca l’unità di tutto il genere umano nella fratellanza e nella comunione. E Apostolica perché fedele alla tradizione che ci è stata trasmessa dagli Apostoli.

Il termine apostolo deriva dall’aramaico saliah (שליח), che sarebbe il plenipotenziario, ma che in greco venne tradotto Apostolòs (απόστολος), ovvero inviato.

Sappiamo che la fede cattolica ritiene conclusa la Rivelazione Divina con la morte dell’ultimo testimone oculare attivo, ovvero l’ultimo degli Apostoli, Giovanni. Nulla si può aggiungere, e occorre solo cercare di capire, restando fedeli a ciò che ci è stato trasmesso.

Esistono parti immutabili, che nessuno e quindi neppure la Chiesa, può cambiare. Sono le disposizioni divine ricevute ai tempi di Gesù. Tutto il resto Nostro Signore lo ha demandato alla Chiesa. A lei spetta il deposito e la trasmissione della fede, secondo i mezzi appropriati a seconda dei tempi e dei luoghi.

Le interpretazioni che sono dettate dalle mode, da mentalità, da inclinazioni o da sensazioni di persone o culture, spesso sono anche inconsapevolmente contrarie o lontane dalla Dottrina. Sono le cosiddette eresie.

Per difendere la Fede da esse, già Ireneo da Lione nel corso del II secolo d.C. formulò una logica che aiutasse a distinguere e discernere cosa fosse giusto e canonico. Al primo posto mise proprio la Apostolicità.

Le Note Ecclesiali

Si entra quindi nel contesto della grande revisione fatta nel secolo scorso, che culminò con il Concilio Vaticano II. Giovanni XXIII prima, e Paolo VI dopo, hanno rilanciato quelle che sono chiamate “Note Ecclesiali”, ovvero queste quattro caratteristiche.

Spesso si sente, anche tra alcuni cattolici, qualche mormorazione nei confronti di decisioni prese da uno piuttosto che da un altro Papa. Va considerato che a fronte di ogni più piccola affermazione di un Pontefice stanno studi e approfondimenti che verificano l’attinenza alle Sacre Scritture e alla Sacra Tradizione, che appunto è quella apostolica.

Le Note Ecclesiali sono il programma genetico della Chiesa nel suo divenire, e la continua riforma della Chiesa (Ecclesia semper riformanda) porterà alla realizzazione del Regno di Dio. Esse sono legate tra loro come dei vasi comunicanti e si nutrono dell’intervento dello Spirito Santo che guida verso la loro realizzazione.

Ecco perché la Chiesa va conosciuta e amata, come recita il titolo di un bellissimo libro di Giuseppe Militello: “Questa Chiesa da amare e conoscere”.

Come allora interpretare il male all’interno della Chiesa?

Sant’Agostino scrisse che essa è corpus permixtum (corpo frammisto): insieme al grano vi cresce la zizzania. La Chiesa dei Giusti avrà la sua manifestazione quando Dio vorrà. Occorre quindi distinguere la santità della Chiesa da quella dei suoi membri, i quali possono anche essere peccatori.

Il baluardo e la garanzia risiedono nella fedeltà al Papa, unico successore di uno specifico Apostolo, ovvero di quel Simon-Pietro a cui Nostro Signore affidò le chiavi del Regno dei Cieli.

Questo gesto afferma più di ogni altra cosa che la Chiesa ha nelle sue mani le chiavi della Salvezza. Il Papa, Vicario di Cristo, rende visibile Cristo mediatore. E le porte degli inferi non prevarranno.

La partecipazione attiva del popolo all’Eucarestia

La partecipazione attiva del popolo all'Eucarestia

Come il Concilio Vaticano II è intervenuto

Nei primi anni del Cristianesimo la partecipazione del popolo all’Eucarestia era spontanea e intrepida. Nonostante le persecuzioni che si susseguivano in modo ricorrente, e i rischi derivanti, i Cristiani si riunivano costantemente.

L’Eucarestia fu il primo rito adottato, e veniva celebrato nelle case private, con un banchetto al termine del quale si ripetevano i gesti di Gesù nell’ultima cena, e venivano distribuiti pane e vino.

Con Costantino e Teodosio la religione cristiana fu non solo ammessa, ma successivamente elevata a religione di Stato. Furono costruiti gli edifici di culto, a modello delle basiliche civili, ovvero come luoghi di riunione in assemblea.

Il Medioevo

In epoca franco-carolingia ci fu poi una grande enfatizzazione sulla Comunione e si diffuse l’impressione che assumere il Corpo di Cristo fosse qualcosa di cui pochi erano degni. A ciò si aggiunse una gestione della Penitenza che prevedeva l’assoluzione solo una volta nella vita. Per questo motivo molti fedeli pensarono di farsi battezzare e poi comunicarsi verso la fine della vita.

L’unico modo per avvicinarsi al Signore restava quindi l’Elevazione, in cui si contemplava il Corpo di Dio. E quel momento assunse un grande significato, tanto che i sacerdoti tenevano quanto più a lungo possibile l’Ostia elevata in modo che i fedeli potessero vederla. Nacque da ciò l’Adorazione Eucaristica.

Questo stato di cose perdurò a lungo, e la Chiesa prese provvedimenti. Nei secoli successivi fu riformata la Penitenza, fino ad assumere la forma che conosciamo, ma anche la concezione di Eucarestia mutò con il progresso delle conoscenze bibliche e teologiche.

Restò però un grave problema: quello che vedeva il popolo praticamente escluso dalla celebrazione della Santa Messa. Questa scarsa partecipazione era dovuta ad un’idea diffusa di netta separazione tra il Sacerdote ordinato e il popolo. L’intuizione del Sacerdozio battesimale non era ancora stata assunta.

Il rito prevedeva delle lunghe preghiere e invocazioni solitarie da parte del celebrante, espresse in latino, lingua che nel frattempo si era persa tra il popolo. Le formule erano spesso recitate sottovoce. L’assemblea quindi trascorreva praticamente tutto il tempo della Santa Messa, nella migliore delle ipotesi a pregare per conto proprio. Nella maggior parte dei casi ci si guardava attorno senza partecipare minimamente al Sacrificio.

A risolvere il problema fu il Concilio Vaticano II, che strutturò la Santa Messa in modo più consono a quello di un’assemblea orante.

Come ha operato il Concilio

Fu rivalutata la funzione del popolo in relazione alla sua mansione sacerdotale data dal Battesimo, che venne riconosciuta anche nella preghiera: “Ti ringraziamo o Signore per averci ammesso alla tua presenza a compiere il servizio sacerdotale”.

Oggi i laici sono parte attiva nella Santa Messa e dispongono anche di una preghiera specifica (la Preghiera dei Fedeli) nella quale rispondono a alcune invocazioni: è un momento aggiunto al Padre Nostro in cui il popolo si rivolge direttamente a Dio.

La riforma più grande e incisiva fu ovviamente l’introduzione delle lingue nazionali. In questo modo l’assemblea può comprendere più profondamente il significato di invocazioni e preghiere, avvicinandosi quindi con maggiore cognizione all’Eucarestia.

L’aspetto apostolico è rispettato, in quanto gli Apostoli e i primissimi cristiani non recitavano formule latine. Lo stesso Gesù per istituire l’Eucarestia non parlò in Latino. L’intento di Gesù era quello che il messaggio arrivasse e si istituisse il memoriale.

Questo spiega anche perché nei riti esistono gesti immutabili, che sono quelli di istituzione divina (spezzare il pane, distribuirlo, ecc.), e altri che invece sono mutabili nella funzione pastorale della Chiesa.

Il rito latino ha mantenuto un suo fascino, e non è proibito. La sua celebrazione va però effettuata solo in contesti atti a rinnovare il coinvolgimento spirituale, ma non può essere la regola. La Chiesa infatti consente le celebrazioni in Latino, ma solo su espressa approvazione del Vescovo diocesano.

Una volta recuperata la partecipazione attiva dei laici, la Chiesa ha anche riconosciuto la necessità di assegnare loro alcuni ministeri. Sono il Diaconato permanente, l’Accolitato, il Lettorato, la funzione di Ministro straordinario dell’Eucarestia quello del Catechista, che (Diaconato permanente a parte perché è Ordine Sacro e appartenenza ai Chierici) sono aperte a uomini e donne.

La Santa Messa

La partecipazione alla Santa Messa è un momento di comunione fraterna, in cui l’Assemblea si offre in unità col sacrificio di Cristo. I doni dell’offertorio rappresentano il frutto e il lavoro dell’uomo. E non a caso il vino è derivato dal sacrificio degli acini col lavoro dell’uomo, e allo stesso modo il pane è frutto della macerazione dei chicchi di grano. Ovvero materia che col suo sacrificio si trasforma in qualcosa di diverso attraverso l’intervento dell’uomo. E si trasforma ancora, successivamente in sangue e corpo di Nostro Signore con l’invocazione dell’uomo e l’intervento di Dio. In quella collaborazione che Gesù ha sempre cercato.

La Liturgia della Parola, dialogo con Dio

La Liturgia della Parola, dialogo con Dio

Approfondiamo il significato di questa parte importante della S. Messa

La celebrazione eucaristica, come sappiamo, si compone di quattro parti indissolubili, tra cui due fondamentali e imprescindibili: la Liturgia della Parola e la Liturgia Eucaristica.

Il Concilio Vaticano II ha voluto specificare che la S. Messa compie il Sacramento solo nella sua interezza. Il significato della Liturgia serve per il coinvolgimento e il motivo è dato dal fatto che la salvezza arriva anche attraverso i sensi.

È stata data inoltre una grande rilevanza alla Liturgia della Parola, nella quale l’assemblea è coinvolta molto più di quanto apparentemente possa sembrare. E purtroppo anche di quanto comunemente si pensi.

La lettura dei brani delle Scritture e successivamente del Vangelo, non svolgono esclusivamente un ruolo didattico. Si inseriscono nella Memoria del Sacrificio di Cristo. Preparano inoltre ad accogliere le fasi successive della celebrazione. È un modo per entrare in simbiosi con Cristo e per predisporci all’offerta dei doni: è Dio che parla ad ognuno di noi. E in quel momento dobbiamo attualizzare in noi il messaggio. I doni offerti sono quindi il segno della partecipazione dell’uomo al Sacrificio di Gesù.

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Il popolo in preghiera

La partecipazione da parte dell’assemblea, non si limita però al solo ascolto. Nelle risposte alle preghiere e nei salmi c’è lo svolgimento della funzione sacerdotale impressa col battesimo in ognuno di noi.

Questo aspetto sarà ricordato nella preghiera eucaristica, dopo la Consacrazione (“Ti ringraziamo o Signore per averci ammesso a svolgere il servizio sacerdotale”).

Subito dopo, con la Preghiera dei Fedeli, si concretizza l’unico momento, insieme al Pater Noster, in cui i fedeli si rivolgono direttamente a Dio.

È bene sottolineare che questa preghiera si suddivide in intenzioni e preghiera propriamente detta. Tutta la parte che viene letta dall’ambone costituisce l’intenzione. La preghiera dei fedeli al Padre consiste nella risposta (solitamente “Ascoltaci o Signore“). Abbiamo quindi un’invocazione corale del popolo di Dio che a Lui si rivolge in modo frontale. Non è quindi importante se a leggere le intenzioni sia un laico o il sacerdote: fondamentale è la preghiera, ovvero la risposta, attenta e consapevole.

I segni dell’unità del popolo sono spesso ricordati durante la S. Messa. La stessa offerta dei doni chiama l’assemblea a protagonista.

Anticamente i doni, ovvero il pane, il vino e l’acqua, erano portati da casa e poi consegnati al sacerdote, esclusivamente da coloro che facevano la Comunione. Il significato è ovviamente quello della partecipazione al banchetto. Oggi si effettua la processione offertoriale, ma l’aspetto significativo viene conservato simbolicamente con la raccolta delle offerte. Questa infatti non è semplicisticamente “la Chiesa che chiede soldi”, ma assume il senso della partecipazione eucaristica.

L’assemblea partecipa vivamente alla celebrazione eucaristica, attraverso i gesti, le risposte e con i contesti. Ecco il motivo per cui la validità dell’assolvimento del precetto si concretizza solo con l’ascolto e la partecipazione alla funzione intera. Occorre tenere presente che con l’Eucarestia ci si accosta a un Sacramento, che pur essendo ripetibile (come Penitenza, Unzione degli infermi e Matrimonio, questo in caso di vedovanza) è pur sempre una Grazia concessa da Dio.

Le chiese antiche di MENDATICA

Le chiese antiche di Mendatica

Un viaggio nella storia

La profondità e la fecondità della fede, la forza spirituale e la determinazione intellettiva della Comunità di Mendatica si leggono nelle opere edificate con fatica e caparbietà, per durare nel tempo e testimoniare l’identità della popolazione. Uomini e donne, giovani e anziani uniti, già agli albori dell’ insediamento nell’alta valle Arroscia, hanno saputo vivere nella quotidianità una religiosità dinamica e collegiale, tradotta nella fratellanza affettuosa e solidale, propria di coloro che si ritengono figli dell’unico Padre Celeste.                 

Insieme poi si sono attivati costantemente per  la serenità sociale, lo sviluppo economico e la crescita culturale dell’intero paese.

Il sorgere  di luoghi di culto, di piloni devozionali, di croci e di iscrizioni votive, in cui ritrovarsi per celebrare la gloria e la lode del Creatore e condividere il Pane di vita Eterna, ha accompagnato e contraddistinto il processo di espansione e di antropizzazione del territorio e la nascita dei centri a cintura del borgo originario.  A tale scopo la gente ha messo a disposizione della collettività i personali talenti e le individuali risorse. Tutti sono stati orientati e accompagnati ad esprimere e testimoniare consapevolmente fede, cristianità e appartenenza alla Chiesa. In questo modo i valligiani sono stati facilitati nella formazione e nell’ educazione integrale e nella condivisione del benessere materiale.

Gli  edifici sacri, ma anche vette alpine, anfratti cupi, orridi imponenti e prati ameni, dai richiami ancestrali e  reconditi, hanno ospitato, riti e celebrazioni in cui la liturgia tradizionale si arricchisce di note spontanee, richiamando comunque evocazioni bibliche.

Delle cappelle e chiese antiche, sia la tradizione orale sia i documenti forniscono notizie scarse e frammentarie, ma comunque certificano un intenso e alacre lavorio per costruire, decorare, ammodernare e custodire i manufatti sacri, segno della propria spiritualità.

L’archivio locale riporta la registrazione notarile, datata 6 dicembre 1389, attestante la consacrazione della parrocchiale, stile tardo rommanico, ai santi martiri Nazario e Celso, risalente al 16 luglio 1380.

Il 4 gennaio 1451, alla presenza del vescovo Cornelio di Chiaromonte e di altre autorità diocesane, la chiesa ampliata e restaurata, per positivo andamento demografico, viene riconsacrata, con l’annesso cimitero e la vicina casa canonica ai martiri, antesignani della fede ligure, provenienti dalla Provenza e diretti a Milano.

Solo nel XVII secolo della parrocchiale di Mendatica e del paese si parla dettagliatamente nel “Sacro e Vago Giardinello”    

Il manoscritto, resoconto della visita pastorale del canonico della cattedrale e rettore del seminario vescovile Gio Ambrogio Paneri, di San Fedele di Albenga, presenta luoghi, paesi, edifici e arredi sacri dei 164 centri urbani e rurali della diocesi ingauna, tra cui Mendatica.

Lo studio, a partire dal1624, è voluto dal vescovo Mons Pier Francesco Costa, di importante famiglia di banchieri romani, con madre Laura Spinola, nobile albenganese, profondo cultore e conoscitore delle arti, specie di carattere religioso.

L’indagine si colloca nell’ambito delle verifiche esplorative sollecitate dalla Controriforma, per scoprire e arginare eventuali movimenti contestativi. E’ caldeggiata dal cardinale Federico Borromeo, che invita ad una “visitatio rerum” e a una “visitatio hominum”.

Il Paneri, con uno stile discorsivo e sciolto, a volte bucolico e informale, elenca puntualmente le caratteristiche oro-idrografiche dei luoghi, la collocazione paesaggistica dei centri, le peculiarità architettoniche, artistiche e gli arredi della parrocchiale e connota gli altri luoghi di culto

Enumera altresì le rendite e il tipo di amministrazione in corso, fa conoscere usi e tradizioni tipiche, dando anche indicazioni sulla catechesi diffusa e sui culti propri praticati.

Il testo offre inoltre la chiave di interpretazione delle relazioni, che legano il tessuto sociale, esprime valutazioni sui costumi morali e culturali  delle  popolazioni avvicinate. 

Descrive anche le eccellenti capacità delle maestranze ponentine, nel modellare e valorizzare creativamente materiali poveri e risorse limitate, nella realizzazione di autentiche e originali opere, che ill tempo ha preservato,  potenziandone il pregio e il valore. 

Infine fa conoscere come lo slancio devozionale e la generosità dei fedeli hanno permesso, anche a comunità rurali e periferiche, di avvalersi dell’opera di valenti artchitetti, pittori e scultori liguri o delle aree confinanti, per edificare, abbellire e arredare non solo le parrocchiali, ma anche oratori, cappelle e ogni sito religioso. 

Di seguito si può leggere la relazione tratta dal “Sacro e Vago Giardinello”  redatta dal Paneri,  durante la visita a Mendatica.

Da Desktop cliccare sulla foto col mouse destro e aprire in altra scheda per ingrandire. Da cellulare o tablet basta cliccare due volte sulla foto:

                                          

La Gerusalemme celeste nell’Apocalisse di Giovanni

La Gerusalemme celeste nell'Apocalisse di Giovanni

Sposa dell’Agnello e immagine della Chiesa

La Gerusalemme presentata nell’Apocalisse di Giovanni è spirituale, perché discende dal cielo. Si tratta di un’immagine più volte evocata (Ap 3,12 e 21,2). Questa Gerusalemme viene anche indicata come Sposa dell’Agnello (Ap 21,9) di cui invoca il ritorno (Ap 22,17).

Sono chiare identificazioni simboliche che la indicano come la Chiesa di Cristo, quella su cui “le forze degli inferi non prevarranno”).

È anche la città di Colui che è tre volte santo, come si comprende dalle misure rivelate in Ap 21,16, ovvero 12.000 stadi, ma soprattutto dall’uguaglianza delle tre dimensioni spaziali: lunghezza, larghezza e altezza. Una città a cui si accede attraverso la Fede che introduce la Salvezza, simboleggiata e resa solida dalle 12 porte fatte di perle. È facile riconoscere nelle 12 porte gli Apostoli, deducendolo anche da Eb 11,10.

All’interno della Gerusalemme celeste l’Apocalisse fissa quanto è oggetto della nostra Fede. Il trono è la Croce di Cristo su cui siedono Dio e il Figlio, in una rievocazione dell’albero della vita che porta frutto e dà la vita eterna. Le foglie di questo albero sono costituite dalla corona di spine e provvedono a guarire da ogni peccato.

Il trono è anche una sorgente di acqua viva (Ap 22,11), come annunciato da Ezechiele (Ez 47,9), per il battesimo di vita eterna che sgorga dal costato del Cristo. È una città d’oro, costruita sulla fedeltà del suo Sposo.

Questa è l’immagine che l’Apocalisse e la Scrittura in genere ci fornisce della Chiesa, la quale si contrappone alla “prostituta di Satana” (chiamata Babilonia), il cui destino sarà di essere uccisa e divorata dal suo stesso padrone.

La fedeltà alla Chiesa di Cristo e al Magistero è dunque annunciata da Giovanni nell’Apocalisse, che contrariamente a quanto si crede comunemente, non è un testo che profetizza disgrazia, ma è un libro di grande speranza. E che si chiude infatti con la sposa che invoca il suo Sposo.

Bibliografia:

Piccolo Dizionario dell’Apocalisse, Francesco Vitali, Tau Editrice, Todi 2008

Basilica di San Giovanni in Laterano: Ecclesia Mater

Basilica di San Giovanni in Laterano: Ecclesia Mater

La sede ufficiale del Papa

Siamo abituati a ritenere San Pietro e il Vaticano come “casa” del Papa. E in effetti la Santa Città del Vaticano è il luogo dove abita il Santo Padre, e la Basilica di San Pietro ne è l’espressione più visibile.

In realtà, però, la vera sede del Papa, la chiesa più importante della cristianità è la Basilica di San Giovanni in Laterano, ovvero la Chiesa della Diocesi di Roma che ospita la cattedra del Vescovo di Roma.

San Giovanni in Laterano è affidata a un Cardinale, il quale copre le funzioni di Arciprete, e che attualmente è il Cardinale Camillo Ruini.

Il nome ufficiale della Basilica del Laterano è Archibasilica Sanctissimi Salvatoris, in quanto, come tutte le basiliche patriarcali anche essa è intitolata al Nostro Salvatore. È la Basilica di grado più elevato in assoluto, quindi anche rispetto alle altre tre basiliche maggiori. Il titolo accordatogli è “Omnium urbis et orbis ecclesiarum mater et caput“, ovvero “Madre e capo di tutte le chiese della città [di Roma] e del mondo”.

Le altre basiliche maggiori sono:

Basilica Vaticana (San Pietro);

Basilica Ostiense (San Paolo fuori le mura);

Basilica Liberiana (Santa Maria Maggiore).

Tutte e quattro le basiliche citate sono dotate di una Porta Santa e dell’Altare Papale.

Le dedicazioni

La prima dedicazione della Basilica di Giovanni in Laterano è stata effettuata nel 314 da Papa Milziade, il quale la consacrò al Santo Redentore. Una successiva dedicazione della Basilica e del Palazzo Laterano furono ad opera di Papa Silvestro I, il quale li consacrò entrambi come “Domus Dei“. Abbiamo quindi notizia di altre due dedicazioni. Papa Sergio III dedicò Basilica e Palazzo del Laterano a San Giovanni Battista, consacrando inoltre il Battistero, nel X secolo. Infine nel XII secolo Papa Lucio II aggiunse l’intitolazione a San Giovanni Evangelista, per cui oggi la Basilica conta la dedicazione ai due Giovanni, e spesso non vengono celebrati insieme.

Un sito di elevata e evidente sacralità

Nelle adiacenze della Basilica di San Giovanni in Laterano possiamo ammirare la Scala Santa, ovvero quella scala in marmo che Sant’Elena fece ricostruire a Roma traendola da Gerusalemme, e che la tradizione ritiene sia la scala salita da Nostro Signore per accedere al Palazzo ove alloggiava Pilato. La Scala Santa dà accesso attualmente al Sancta Santorum, il più venerato santuario di Roma, ove tra l’altro possiamo trovare l’immagine di Cristo acheropita, ovvero che la tradizione ritiene mai dipinta da mano umana.

Pane e vino, frutti del sacrificio, per il Sacrificio

Pane e vino, frutti del sacrificio, per il Sacrificio

La Transustanziazione di beni lavorati dall’uomo

L’uomo è sempre stato chiamato dal Padre alla collaborazione con Lui, fin dal momento della Creazione.

Più volte le Scritture hanno ribadito e richiamato questa realtà, sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento. In quest’ultimo Gesù ha dato prova di ciò anche durante i molti miracoli da Lui compiuti. Trasformando acqua in vino non avrebbe certo avuto bisogno che gli fossero portate le anfore. Oppure per resuscitare Lazzaro non avrebbe avuto certo bisogno che rimuovessero la pietra.

Così anche nell’aspetto sacramentale della Santa Eucarestia, possiamo trovare questa chiamata.

Il pane e il vino, destinati a divenire corpo e sangue di Nostro Signore, sono in realtà, anche se oggi in modo indiretto, donati dal popolo di Dio.

Il Concilio Vaticano II ha voluto sottolineare questo aspetto attraverso la processione offertoriale.

Ma perché il pane è stato scelto da Gesù per divenire il proprio corpo? E perché il vino? Nella preghiera eucaristica si ricorda che essi sono dei “frutti della fatica e del lavoro dell’uomo“. Sono infatti due beni, ovvero due alimenti, che non si trovano già pronti in natura, ma che l’uomo deve ottenere col lavoro.

Ma c’è ancora un aspetto ancora più incisivo. Sia il pane che il vino sono ottenuti attraverso un’unione creata da una distruzione. Chicchi di grano e acini di uva, vengono “sacrificati”, tritati, macerati. E il risultato di queste azioni li porteranno a essere un cibo nuovo.

Anche la Salvezza arriva da Cristo e solo da Lui, attraverso il suo sacrificio. E la nostra partecipazione viene simboleggiata dall’offerta di ciò che diverrà corpo e sangue di Nostro Signore. Noi siamo quella goccia d’acqua che il sacerdote inserisce nel calice.

Il significato della partecipazione viene mantenuto dalla colletta svolta prima della Liturgia Eucaristica. Non deve essere interpretata come “la Chiesa che chiede soldi”, ma nell’ottica della nostra partecipazione all’offerta del pane e del vino.

Nel momento della Transustanziazione noi siamo tutti uniti nel sacrificio di Cristo che si rinnova. Anzi, che si attualizza davanti a noi.

Dio non ha tempo, e il suo sacrificio avviene ogni volta che pane e vino si trasformano.

La condizione affinché noi stessi si partecipi al sacrificio è l’essere docili come il pane e il vino. Occorre lasciarsi trasformare da Cristo. Docili come docile è stata Maria nell’accogliere il Corpo di Cristo in sé. Lei in modo diverso dal nostro, ma pur sempre conservando Dio in sé.

Testo di riferimento: Liturgia, Matia Augé, Edizioni SanPaolo, 8.a edizione 2014.

Si ringrazia il prof. Don Matteo Firpo, docente di Teologia Liturgica alla facoltà di Scienze Religiose (FTIS-ISSR).

La preghiera eucaristica e le sue origini

La preghiera eucaristica e le sue origini

La fondamentale preghiera che comprende prefazio e dossologia.

La preghiera eucaristica è un’unità letteraria ricchissima di contenuto teologico e si colloca nel momento centrale della celebrazione della Santa Messa. Non è unicamente preghiera ma “sacrificio di lode” e attuazione di un fatto, che è il sacrificio di Gesù.

Le parole utilizzate non sono solo un’evocazione del passato, ma compiono un mistero nel presente. I Greci parlano di “anafora”, ovvero di “portare su”, “offrire”. In latino si presenta come “oratio oblationis”.

La sua origine è certamente da ricercarsi nei gesti e nelle parole pronunciate da Gesù nell’ultima cena. Emerge però il fatto che istituendola durante una cena, il Cristo pone in rapporto l’eucarestia e la cena giudaica.

L’origine giudaica

Ci si interroga quindi sul rituale utilizzato da Gesù, per collegarlo al rituale della Pasqua oppure alla cena festiva.

I Vangeli sinottici fanno riferimento alla cena pasquale, mentre Giovanni (specialmente in GV 18,28) la sera della Pasqua ebraica seguì la morte di Gesù.

In ogni caso la sostanza non cambia, in quanto si è trattato di un pasto che obbediva alla logica rituale ebraica, e in quanto tale fu concluso da una preghiera di azione di grazie, ovvero la birkat ha-mazon (ברכת ה-מזון, letteralmente “saluto di cibo”, quindi “benedizione di Dio per gli alimenti assunti”).

La birkat ha-mazon è un testo tripartito in tre strofe: una breve per il nutrimento che Dio dona al popolo di Israele; una seconda più ampia, con l’azione di grazie per la terra buona e desiderabile concessa da Dio al suo popolo; e infine una supplica per la sussistenza di Israele, Gerusalemme, dinastia davidica e tempio.

Pur derivando dalla birkat ha-mazon, la preghiera eucaristica si rivela assolutamente originale, integrando le strutture antiche e perfezionandole oltre che ad arricchirle. L’impostazione ebraica suddivide tre pericopi: benedizione-memoriale, rendimento di grazie e supplica. È una struttura che nella preghiera eucaristica ha assunto il carattere nuovo in cui si può rilevare il ritmo trinitario. Si tratta quindi di un cambiamento di impostazione che apre alla ragione delle modifiche introdotte, e anche allo sviluppo futuro delle preghiere eucaristiche, che assumono schemi differenti nelle diverse Chiese locali.

Fonte:

Liturgia, Matias Augé, Edizioni San Paolo, 8.a edizione 2014.

Si ringrazia il Prof. Don Matteo Firpo per le interessanti lezioni universitarie.