Dare la giusta importanza

Dare la giusta importanza

Un consiglio che invita a guardare anche a se stessi

Oggi Gesù ci invita a non dare importanza a chi crede di averne.
Soprattutto se la prende con chi pensa di poter consigliare gli altri proponendo delle cose che non fa.
Succede anche oggi.
E’ bene non pretendere dall’altro quello che io non faccio, come regola generale.
C’è molto da imparare dagli altri, ma basandosi più su ciò che fanno che su ciò che dicono.
Quindi non presumere di essere chissà chi.
Ma anche non pretendere dall’altro chissà cosa.
Ma quand’è che come i farisei, metto sull’altro pesanti fardelli? Ogni volta che pretendo che sia diverso da quello che è.
Quando lo faccio?
Molto semplice: ogni volta che mi arrabbio con qualcuno, appunto perché vorrei che fosse diverso.
A volte si fa anche con Dio!

Perdoniamo per essere perdonati

Perdoniamo per essere perdonati

Il metro del perdono lo costruiamo noi stessi

L’atteggiamento benevolo verso gli altri uomini, il dovere di perdonare chi ci ha fatto e chi ci fa del male non nasce dal fatto che gli altri, in particolare chi ci fa del male, meriti qualcosa di buono da noi.

Spesso chi ci offende non merita proprio il nostro perdono né la nostra benevolenza.

Dobbiamo perdonare gli altri perché Dio perdona noi. Il motivo è solo questo.

Se noi non riusciamo a capire che Dio ci perdona, perché pensiamo di non avere mai fatto nulla di grave, perché pensiamo che i peccatori siano solo gli altri (e questo oggi è un modo di pensare molto diffuso) allora non riusciremo a perdonare chi ci fa del male.

Ma non riusciremo a gustare nemmeno il perdono del Signore, perché abbiamo perso il senso del peccato e pensiamo, a torto, di non avere nulla da farci perdonare.

Ricordiamo questo quando qualcuno ci fa qualche torto: il Signore nel giudicarci userà con noi lo stesso metro che usiamo con i nostri fratelli.

Il segno di Giona

Il segno di Giona

La possibilità della conversione è data a tutti.

Il segno di Giona è il segno del profeta che – strappato alla morte – appare ai niniviti per predicare la conversione. Il suo segno è un richiamo alla conversione: in Giona – del resto – vi è anche la conversione del profeta!

Luca scrivendo ai cristiani che giungono dal paganesimo ricorda che – come i niniviti – è data anche a loro e a tutti la possibilità e l’appuntamento con la conversione. Questa parola è per voi, sembra dire ai suoi cristiani!
E anche noi siamo questa generazione, cocciuti a chiedere segni che giustifichino la nostra fede e meno interessati a vedere che il Signore è già all’opera e silenziosamente ci mostra tutta la sua forza di amore per noi.
Non occorrono segni per credere ma occorre credere – cambiare radicalmente la nostra prospettiva – per vedere i segni che la grazia di Dio compie nella nostra vita.

E il mistero pasquale di Gesù, il suo abbandono fiducioso al Padre, è il segno più grande che ci è dato.
Come ci ha ricordato il libro di Giona il segno più grande per gli uomini è il cuore del Padre, il suo perdono, la sua disponibilità a cambiare idea per noi: “Dio vide le loro opere… Dio si ravvide riguardo al male che aveva minacciato di fare loro e non lo fece”. Per questo ci ha donato il suo Figlio, il segno di Giona.

Scorciatoie

Scorciatoie

Le insinuazioni del diavolo sono scorciatoie

Dobbiamo tornare sulle rive del fiume Giordano per capire cosa accade nel deserto. Ricordate lo Spirito Santo che scende su Gesù? Ricordate le parole della “voce dal cielo”?
“Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento”.

Gesù, pieno di Spirito Santo, è guidato dallo Spirito nel deserto e lì è tentato dal diavolo. Gesù è tentato non perché in lui nasce il desiderio di commettere il male, di fare ciò e è proibito, ma per manifestare ciò che di più profondo c’è in lui. Lui è radicalmente il Figlio di Dio, il Figlio amato!

Ora la testimonianza che il Padre gli ha reso al Giordano viene “provata” dal diavolo: da colui che cerca di dividere i figli dal progetto d’amore del Padre, e che osa tentare di separare “il” Figlio dal Padre, spezzare il loro rapporto d’amore che è lo Spirito.

Il diavolo obbliga in un certo senso Gesù a riappropriarsi della strada che porta al compimento e alla testimonianza del suo essere Figlio.
A sceglierla e a farla sua definitivamente e con determinazione.

L’insinuazione del diavolo è sempre la stessa: è possibile una scorciatoia.
«Caro Gesù – dice il diavolo – c’è una strada più breve, più facile e più corta che ti permette di essere quello che desideri. Vuoi essere figlio di Dio? Ti dicono di esserlo? Non è necessario che tu percorri una strada di obbedienza, di pazienza, di tenacia, di servizio, di amore… c’è un’altra strada che permette “di realizzarti”».


Ecco le tre scorciatoie.

⛔ La scorciatoia del “prima io”.
Gesù ha fame e il diavolo gli ricorda che il Figlio di Dio ha un potere che gli permette di trasformare qualunque cosa, pure le pietre, per soddisfare i propri bisogni. Come se il Figlio di Dio fosse il figlio di Re Mida, che trasforma in oro tutto quello che tocca, le pietre in pane!
Ma Gesù dice che questa scorciatoia non la percorrerà mai.
Lui non ha fame del pane degli uomini ma cerca il pane della parola del Padre suo. Lui non ha fame per prendere ma per donare, per donarsi, lui stesso, come pane. Prima di sé il Figlio di Dio mette gli altri. È questo il pane vero di cui vive l’uomo.
Il Figlio di Dio in questa Quaresima mostra agli uomini la strada del digiuno, di ogni tipo, per essere anch’essi, come lui, figli di Dio.

⛔ La scorciatoia del potere.
Il diavolo porta Gesù in alto per vedere ogni regno della terra, in un instante: un colpo d’occhio di potere. E gli dice che il Figlio di Dio può possedere tutto, a costo di una piccola rinuncia: la sua libertà.
Gesù sa che il Figlio di Dio avrà ogni cosa dal Padre suo, intravede che il percorso sarà difficile, in salita, ma che ne vale la pena perché percorrendo il sentiero senza pericolose scorciatoie può gustare la misericordia del Padre suo, la sua tenerezza, facendosi strumento di questo amore. E sa che il Padre non tradirà mai la sua libertà, anzi!
Gesù dice chiaramente al diavolo che non percorrerà nemmeno questa scorciatoia.
Il Figlio di Dio si fida del Padre suo e non teme di inoltrarsi in un cammino che conoscerà i passi del servizio fino a un’obbedienza che è frutto di amore e libertà e non di costrizione.
Il Figlio di Dio in questa Quaresima mostra agli uomini la strada dell’elemosina, del servizio, della dedizione per essere anch’essi, come lui, figli di Dio.

⛔ La scorciatoia dell’autonomia.
Gesù è sul punto più alto del tempio, una vertigine di quasi settanta metri dal suolo. Il diavolo ricorda a Gesù che, in definitiva, se è figlio di Dio può fare quello che vuole perché il Padre “deve” proteggerlo. Ma il Figlio di Dio sa che nel suo cuore c’è una fiducia che non ha bisogno di essere messa alla prova. Anzi il Figlio percorre la sua strada non per mettere alla prova il Padre ma per aderire pienamente al suo disegno di amore.
Non segue la scorciatoia delle altezze, della visibilità, ma segue la strada bassa della dedizione, del servizio, dell’obbedienza fiduciosa al Padre che lo porterà fino al punto più alto del dono: fino alla Croce.
Il Figlio di Dio in questa Quaresima mostra agli uomini la strada della preghiera, dell’abbandono fiducioso del Padre, la possibilità di vivere una vita piena di Spirito Santo, per essere anch’essi, come lui, figli di Dio.

La Quaresima è il tempo per riconoscere le scorciatoie che ci portano lontano dalla strada del Figlio di Dio, le scorciatoie che ci conducono a negare la nostra umanità.
Nelle scorciatoie del “prima io”, del potere e dell’autonomia il mondo si schianta nella violenza, nell’odio, nella guerra. E non occorrono altre parole, bastano le immagini, le grida, il sangue che nuovamente invade l’Europa.

Occorre seguire la strada del Figlio, siamo più simili a lui di quello che potremmo immaginare: anche noi figli, anche noi ricolmi di Spirito fin dal nostro Battesimo, anche noi figli amati dal Padre.

Il divisore è tornato da Gesù al momento prefissato, nel momento del dono di sé, ed è stato vinto definitivamente, una volta per tutte.

Siamo i figli di quella vittoria.
Perché dargli ancora ascolto?

I tre appelli della Quaresima

I tre appelli della Quaresima

Ritornate, lasciatevi riconciliare, state attenti

La Quaresima si apre con tre appelli.

“Ritornate!”


L’appello che Dio pone sulle labbra del profeta si rivolge a un’umanità dispersa, brancolante. Un’umanità che, smarrita la strada del bene, in balia di se stessa, ripiegata sui propri tornaconti, si scopre votata all’autodistruzione.
La strada del ritorno – senza tanti giri di parole – è la strada del pentimento. Per ritornare dobbiamo riconoscere di essere radicalmente fuori strada. Persi in incontri trasformati in scontri, smarriti in un odio senza fine che pensavamo di aver dimenticato.
Per ritornare occorre ritrovare l’orientamento radicale, il punto fermo. Lasciarci attrarre dal punto magnetico che fa drizzare gli aghi verso il nord del bene, verso l’alba del futuro.
“Ritornate a me”: è la riscoperta del Dio “misericordioso e pietoso, lento all’ira, di grande amore, pronto a ravvedersi riguardo al male”.
La Quaresima è la strada del ritorno. Rispondiamo all’appello che ci viene rivolto mettendoci in cammino verso Dio, verso il Padre. Siamo pronti a vivere il nostro esodo da noi e le nostre perversioni? Questo appello diventa invito per un popolo intero, per i popoli, per l’umanità.
“Venite, ritorniamo al Signore, e tu, Signore, perdona le nostre colpe!”.
“Ritornate” ripete il Signore geloso. “Ritornate e sappiate che non sono seduto sulla soglia di casa ad attendere il ritorno dei figli che si sono persi nell’odio come un padre accigliato e risentito ma già sto muovendo i miei passi di compassione incontro a voi!”. Sono passi di misericordia!
Ecco il primo appello: “ritornate!”

“Lasciatevi riconciliare!”


È l’appello che l’Apostolo ci rivolge in nome di Cristo. Lasciatevi riconciliare è l’appello che viene rivolto a un’umanità divisa, separata da fazioni, un’umanità segnata dalla guerra disastrosa dei missili e delle bombe e dalle contese striscianti delle recriminazioni quotidiane, dalle insoddisfazioni generalizzate, dalle lamentazioni dei vittimismi cronici.
Capaci di riconciliazione perché radicalmente riconciliati!
E allora ecco la forza dell’appello che squarcia il nostro mondo di peccato, che smaschera ogni alibi. Lasciatevi riconciliare perché c’è un dono da ricevere, c’è un perdono da vivere. C’è un momento favorevole che trasforma il tempo degli uomini. Una parola nuova è stata già pronunciata, un tempo favorevole è già iniziato, Dio ha preso l’iniziativa: il peccato, il segno evidente della nostra morte, è stato preso da Gesù, lui è stato fatto peccato per trasformarci in giustizia di Dio.
L’appello dell’Apostolo, annunciando l’opera di Dio in Cristo, diventa il compito della chiesa e di una comunità cristiana: l’impegno rinnovato per i discepoli di Cristo ad essere segno di riconciliazione, impegno di pace, tessitori di fraternità.
Ecco il secondo appello: “lasciatevi riconciliare!”

“State attenti!”


Il terzo appello viene direttamente da Gesù, dalle sue stesse labbra! “State attenti” sono le parole che Gesù usa per instillare nel nostro cuore l’arte della vigilanza. “State attenti”, qui, diventa l’appello a non trasformare gesti che dovrebbero dire una relazione intima con il Signore, in altro, nella nostra glorificazione, nella giustificazione di noi stessi.
“State attenti” è l’invito a scandagliare con accuratezza il nostro cuore, le nostre intenzioni, i nostri desideri più profondi… sono orientato a “io” o a “Dio”? Serviamo il Signore o ci serviamo di lui (o della sua caricatura)?
Siamo umili discepoli nell’ascolto oppure orgogliosi maestri nell’apparenza?
Fate attenzione – dice Gesù – a non realizzare la vostra giustizia davanti agli uomini. Questo appello è rivolto in particolare a noi, discepoli di Gesù. Facciamo attenzione che i nostri gesti di fede aprano una strada di intimità con Dio, anzi, facciamo attenzione che pregando, digiunando, compiendo gesti di condivisione sia Lui stesso – attraverso il dono del suo Spirito – ad operare in noi. E così la giustizia che Dio opera in noi porterà non solo il segno visibile di un pentimento ma frutti veri di conversone. Un cuore nuovo.
Ecco il terzo appello: “State attenti!”

È così che si apre la nostra Quaresima, con tre appelli che vengono dal cuore di Dio: “Ritornate!”, “Lasciatevi riconciliare!”, “State attenti!”.

Dio non cessa di rivolgersi all’uomo perché non smette di credere che proprio l’uomo da lui amato è capace di bene, nonostante le fatiche e i tradimenti che Gesù stesso ha sperimentato in prima persona.
Il Padre di Gesù Cristo non smette di guardare al cuore dell’uomo e al mondo come a un campo in cui continuare a seminare, con generosità, semi di bene. E così ci invita a prenderci cura di questo straordinario e, al tempo stesso, povero campo, a iniziare dal tempo favorevole di questa Quaresima: “in questo tempo di conversione, trovando sostegno nella grazia di Dio e nella comunione della Chiesa, non stanchiamoci di seminare il bene. Il digiuno prepara il terreno, la preghiera irriga, la carità feconda” (papa Francesco).

Gli appelli di Dio, in un mondo infuocato e insanguinato, trovino ascolto, portino frutti di conversione, frutti di pace!

E sarà Pasqua, sarà vita nuova!

Le parole di Gesù sul matrimonio

Le parole di Gesù sul matrimonio

Riflessione sull’importanza dell’unione coniugale

Gesù usa parole chiare riguardo al matrimonio, e al piano del Creatore su di esso. Non usa mezzi termini.

Queste parole di Gesù sembrano molto dure, eccessivamente rigorose, paiono non tenere conto delle difficoltà della vita reale. Ma non è così.

Le parole di Gesù sono piene di misericordia: Egli ricorda il piano originale di Dio, e ricorda che è stato pensato per l’uomo e per la sua felicità.

Adeguarsi al piano di Dio, ai suoi progetti, anche quando la vita ci lascia pensare che non può essere questa la via per una vita piena e gioiosa, significa cercare il nostro vero bene.

Certo, non sono escluse dalla vita del cristiano la rinuncia e il sacrificio, ma non vengono imposti così, senza un motivo, ma perché noi possiamo essere davvero felici.

La solidità del matrimonio fa bene agli sposi, che, finché entrambi saranno in questo mondo, possono contare sulla presenza dell’altra persona, fa bene ai figli, che da una famiglia unita possono trovare il contesto migliore per crescere in modo equilibrato, fa bene all’intera società, che da famiglie solide ricava grande stabilità.

Il Signore non ci garantisce che, su questa terra, ci verranno risparmiati sacrifici e anche sofferenze. Ci garantisce che, ascoltando le sue parole, troveremo il vero bene per noi, con sacrifici e lotte su questa terra, pienamente e senza ombre nella vita eterna.

La Genealogia di Gesù e il numero 14

La Genealogia di Gesù e il numero 14

Nel Vangelo di Marco è scritto che da Adamo a Gesù intercorrono 3 volte 14 generazioni

Nella Bibbia ricorrono spesso alcuni numeri con un’insistenza che a noi occidentali pare curiosa.

Per gli Ebrei, e in particolare ai tempi di Gesù i numeri si intrecciano spesso con concetti e argomentazioni. Lo scopo è quello di esprimere meglio e dare forza ai concetti che si vogliono comunicare.

Nel Prologo del Vangelo di Matteo, quello rivolto principalmente ai Cristiani provenienti dall’Ebraismo, troviamo una delle genealogie di Gesù.

Va detto innanzitutto che nella scrittura troviamo anche un’altra genealogia del Figlio, che però teneva conto di un’eredità non generazionale ma di affinità. Un po’ come quando leggiamo la genealogia di un Vescovo, nella quale non c’è un passaggio padre-figlio in senso materiale, ma il succedere delle ordinazioni. Quella di Matteo è invece una genealogia a tutti gli effetti.

Notiamo che essa è sviluppata in tre fasi: da Adamo a Abramo, da Abramo a David e da David a Gesù.

In tutte e tre le sezioni si contano 14 generazioni. Coincidenza? No. E vediamo ora perché.

Il significato numerico

Nell’alfabeto dell’ebraico biblico le prime lettere rappresentano anche i numeri da 1 a 10, e dalla composizione di questi si sviluppano gli altri.

La combinazione di due o più numeri può quindi dare un significato letterale o addirittura comporre parole.

Nel caso del 14, che ricorre nelle genealogie scopriamo che è ricondotto al nome di David. In ebraico David si scrive “דוִד”, ed essendo l’ebraico una lingua consonantica, e quindi priva di vocali, si riduce a una radice di tre lettere, date per noi da D, V e ancora D, e per gli ebrei da Dalet (ד), Vau (וִ) e ancora Daleth (ד). Nella rappresentazione dei numeri ebraici Daleth è il 4, Vau il 6. Sommando le tre “lettere” abbiamo quindi il numero 14, che testimonia la ricorrenza del nome di David, dalla cui dinastia secondo le scritture deve nascere il Messia.

Il significato semantico

Un’ultima considerazione va fatta sul nome di David e la sua origine. Pare che questa sia non già ebraica ma addirittura assira.

In ebraico David deriva dall radice “dod”, che è un termine fanciullesco per indicare il preferito, il “cocco”. La traduzione sarebbe quindi l’amato o il diletto. In assiro invece indicava il comandante delle truppe reali. Ecco perciò che dall’unione delle due accezioni abbiamo il “diletto che comanda l’esercito del re”.

Questa breve dissertazione funge da esempio, e conferma il fascino e la profondità del Vangelo, di cui è significativa ogni singola parola. E ciò ancor di più se lo contestualizziamo nel momento storico in cui fu scritto, per scoprire la straordinaria attualità che riveste ancora oggi.

Leggere il Vangelo con attenzione, calma e concentrazione, farsi continuamente domande sui significati, è un’abitudine che noi uomini del terzo millennio, purtroppo, soffochiamo e sacrifichiamo a vantaggio di tante altre opzioni, impiegando altrove il nostro tempo.

Santa Lucia, la ferma determinazione nell’amore di Dio

La storia di una delle sante più amate

Lucia di Siracusa nacque nella città siciliana nel 283, e visse nel pieno delle persecuzioni di Diocleziano.

Per etimologia del suo nome (lux = luce) viene invocata come protettrice del senso della vista. Non ha riscontro storico infatti la leggenda secondo cui la martire si strappò gli occhi quando sottoposta a torture dai pagani.

Il Canone romano la ricorda come una delle sette vergini.

La vita

La sua famiglia era di origini nobili e di fede cristiana, e la giovane Lucia, fin dalla tenera età, si consacrò segretamente a Cristo in verginità. Il padre, invece, la promise in sposa a un giovane pagano invaghito della sua straordinaria bellezza.

Preoccupata per la salute della madre, che soffriva di emorragie che nessuna cura, sebbene costosa le giovasse, si reco insieme alla madre Eutichia a Catania per chiedere la grazia della guarigione sulla tomba di Sant’Agata.

Giunte nella città etnea il 5 febbraio 301, le due donne si raccolsero in preghiera, quando Sant’Agata apparse a Lucia, dicendole: “Sorella mia Lucia, vergine consacrata a Dio, perché chiedi a me ciò che tu stessa puoi ottenere per tua madre? Ecco che, per la tua fede, ella è già guarita! E come per me è beneficata la città di Catania, così per te sarà onorata la città di Siracusa“.

Ripresasi dalla sorpresa, Lucia ebbe effettivamente modo di constatare la guarigione della madre, alla quale confidò in quel momento di essersi consacrata a Cristo e di voler seguire la strada della carità donando il proprio patrimonio ai poveri.

Nei tre anni successivi Lucia si dedicò a ogni tipo di opera di misericordia.

Nel frattempo il promesso sposo, indispettito e irritato per il rifiuto, cercò di dissuaderla in ogni modo. Quando si accorse di non riuscire a convincerla decise allora di denunciarla ai Romani come cristiana. Lo fece usando il termine “cristianissima”.

Al tempo della persecuzione di Diocleziano, questo bastava per arrestare un individuo, e Lucia fu sottoposta a un processo e a molte vessazioni.

Il processo

Le fu dapprima chiesto di fare sacrifici agli dèi, ma lei rifiutò. Fu allora minacciata e si arrivò a dirle che sarebbe stata mandata in un postribolo in modo che fosse profanata. Lucia rispose: “Il corpo si contamina solo se l’anima acconsente”.

Il prefetto Pascasio, che la interrogava, fu posto molte volte in difficoltà dalla risolutezza, decisione e fermezza della giovane e dal modo con cui citava le Scritture. Decise allora di farla tradurre via dall’aula, ma Lucia divenne così pesante che neppure i soldati riuscirono a muoverla.

La morte

Fu accusata perciò di stregoneria, cosparsa d’olio e torturata con le fiamme. Il fuoco però non riusciva a lambirla. Si decise quindi di trafiggerla alla gola con una spada (jugulatio). Lucia però morì solo dopo aver ricevuto la Santa Comunione, e non prima di aver profetizzato l’imminente fine delle persecuzioni di Diocleziano e la libertà per la Chiesa.

Aveva 21 anni.

Santa Lucia fu seppellita nelle catacombe di Siracusa. Oggi le sue spoglie riposano nel Santuario di Santa Lucia a Venezia, ma il luogo del suo principale culto resta a Siracusa nella Chiesa di Santa Lucia al Sepolcro.

Il luogo dell’Avvento

Il luogo dell'Avvento

Lungo il mare di Galilea

Oggi il luogo dell’Avvento, attraverso la testimonianza dell’apostolo Andrea, è “lungo il mare di Galilea”. Il lago di Tiberiade era così grande agli occhi dei pescatori di Galilea che appariva loro come un grande “mare”.
E sulle sponde del mare-lago passa Gesù e chiama. Su quella riva accade il suo avvento, la sua venuta. E la sua venuta diventa chiamata – cioè un cambio radicale di vita – per Simone e Andrea, intenti a gettare le reti in mare: “erano infatti pescatori”.
Il luogo dell’Avvento del Signore è il lavoro, il mestiere, lo spazio professionale di Pietro e Andrea e Giacomo e Giovanni, tra barche, reti, pesca e padre. In quel luogo – lungo il mare di Galilea – Gesù invita i nostri a seguirlo: “l’appello di Gesù non colloca in uno stato, ma in un cammino” (Maggioni).
E se provassimo a vivere così il nostro luogo di vita e lavoro? Come un luogo dove il Signore si fa avvento per noi, viene e ci chiama, viene e ci offre un orizzonte di senso più ampio. Viene e ci dice che qualunque nostra vita e professione può essere vocazione.
Vieni Signore Gesù e mostraci che la sponda del nostro mare di Galilea si chiama ufficio, fabbrica, famiglia, scuola, cooperativa, campo, ospedale, banca, negozio… vieni lungo il mare di Galilea del nostro quotidiano!

Vangelo di Marco: la guarigione del paralitico di Cafarnao

Vangelo di Marco: la guarigione del paralitico di Cafarnao

Il miracolo, lo scandalo dei farisei e la tradizione rituale ebraica

La guarigione di Cafarnao è uno degli eventi riportati da tutti e tre i Vangeli sinottici, e precisamente in Mc2,1-12; Lc5,17-26; Mt9,1-8.

Questo testimonia l’importanza attribuita dagli evangelisti sinottici a questo fatto, che nella sostanza è rivelatore di molti aspetti della missione terrena di Gesù.

Come sappiamo, ognuno degli evangelisti ha selezionato fatti, eventi e circostanze da trattare in modo più approfondito. E ciò per evidenziare ognuno a suo modo determinati aspetti della Rivelazione.

La guarigione di Cafarnao determina inoltre uno degli scontri più aspri con i farisei. Gesù infatti, osservando la fede del paralitico e degli uomini che lo calavano dall’alto scoperchiando il tetto della casa in cui Gesù si trovava, prima ancora di guarire l’infermo gli rimette i peccati.

Occorre considerare quindi il contesto ebraico del tempo. Per gli ebrei, la remissione dei peccati, quando ancora esisteva il tempio, avveniva durante lo yom kippur (יום כפור), il giorno dell’espiazione. Il Sommo Sacerdote si recava al tempio in pomposa processione, dopo essersi purificato. Veniva trasportato su una portantina, in modo che non avesse contatto minimamente con ciò che possa essere impuro. Più tardi, e precisamente durante il capodanno ebraico, il Rosh Hashanah (ראש השנה), Dio apriva i “libri della vita” e, Lui solo, poteva rimettere i peccati. Nel frattempo i fedeli avevano 10 giorni di tempo per redimere le questioni di conflitto con i fratelli.

Si trattava del momento rituale più alto del calendario ebraico. Oggi, in assenza del tempio, gli ebrei non possono svolgere questo rito e ritengono di non poter avere la certezza del perdono di Dio.

La frase di Gesù sulla remissione dei peccati, suscitò quindi uno scandalo enorme, in quanto era come se il Salvatore annunciasse pubblicamente di essere Dio («Perché costui parla così? Bestemmia! Chi può rimettere i peccati se non Dio solo?» (Mc2,7). A tutte queste considerazioni possiamo anche aggiungere che il miracolo avvenne di sabato.

Gesù, vedendo nel cuore dei farisei, li ammonisce sfidandoli: «Perché pensate così nei vostri cuori? Che cosa è più facile: dire al paralitico: Ti sono rimessi i peccati, o dire: Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina? Ora, perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere sulla terra di rimettere i peccati, ti ordino – disse al paralitico – alzati, prendi il tuo lettuccio e va a casa tua» (Marco 2,8-11).

È interessante notare come Marco e Luca si soffermino sullo scoperchiamento del tetto, mentre Matteo sorvoli su questo particolare.

Il Vangelo di Matteo è detto “Ecclesiale” e sottolinea invece la meraviglia del passaggio del potere della remissione agli uomini, attraverso Gesù-Uomo. Nella volontà di specificare l’apertura della casa dall’alto, Marco e Luca testimoniano la fatica dell’approccio dell’uomo con Dio.

Gesù indica in questo modo ciò di cui più abbiamo bisogno, che è il perdono dai nostri peccati: una necessità più urgente di quella del medico. Per questo Gesù si pone come Dio e anche come medico.

Di fondamentale importanza l’utilizzo dei termini. Nel Vangelo di Marco, Gesù si rivolge così al paralitico: «Figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati» (Mc2,5).

Il termine “figlio” aveva ed ha ancora per gli ebrei un significato e una valenza forte. Significa avere qualcosa a propria immagine e somiglianza. Anche Matteo usa questo termine. Luca invece usa il sostantivo “uomo” perché parla in termini di un universialità di una Chiesa che si apre anche ai gentili. Sottolineando inoltre la vicinanza al modo in cui Gesù ama definirsi nella sua funzione messianica: “Figlio dell’uomo”.