Il Sinodo di Pasqua

Il Sinodo di Pasqua

Papa Francesco insiste sulla sinodalità. Quanti lo ascoltano?

Il vescovo di Roma invita i suoi vescovi e i pastori delle chiese: “Fratelli, è ora di fare sinodo. Riuniamoci insieme, venite!”
Ma i vescovi e i pastori delle chiese dicono: “Francesco, come possiamo? Le comunità sono frantumate dalla pandemia, i nostri preti sono stanchi, le chiese sempre più vuote, la gente è spaventata da questa guerra che già è iniziata… come possiamo fare sinodo?”

Il vescovo di Roma si rivolge a tutti i fedeli delle chiese e dice: “Fratelli e sorelle è ora di fare sinodo. Venite, dobbiamo avere a cuoreo le nostre comunità, la nostra chiesa, venite!”
Ma il popolo di Dio, sempre pronto alla mormorazione, dice: “Francesco, sono altre le questioni che rubano il nostro tempo: il lavoro, le nostre famiglie, le paure – tante! –, il sinodo, il dialogo, l’ascolto… sono cose che si fanno ingrassare tempi normali, in tempi di pace, ma adesso… come si fa?”

Il vescovo di Roma supplica i grandi del mondo e dice: “Amici, è ora di fare sinodo. È ora di dialogare, desidero ascoltarvi, venite, incontriamoci, parliamo, sogniamo esperienze di pace e di riconciliazione, desideriamo insieme un mondo nuovo!”
Ma i grandi del mondo rispondono tutti indaffarati: “Francesco, abbi pazienza ma siamo impegnati a fare la nostra guerra, è molto urgente! Fai pure le tue cose da papa ma noi siamo impegnati in cose più serie, siamo indaffarati a disegnare strategie, a sognare nuovi squilibri, il futuro non verrà, siamo impegnati a far tornare il passato!”

Sinodo è una parola greca che significa “camminare insieme”. Ci sono stati tempi antichi in cui chiesa e sinodo erano sinonimi.
Camminare insieme allora non è un’esigenza in più, una decorazione, una moda ma è l’unica condizione per essere chiesa di Gesù, chiesa del Risorto. E di esserlo in questo tempo!

Maria di Magdala, le donne, Pietro, il discepolo che Gesù amava, Cleopa e l’altro discepolo sono i testimoni della Pasqua. Il tratto che li unisce tutti è “andare”: andare alla tomba di Gesù al mattino presto, andare di corsa alla tomba, essere in cammino per un villaggio… ma questo camminare – che poi diventa correre – muove i suoi primi passi dall’evidenza perduta della morte, dalla persuasione triste che Gesù non appartenga più al presente: camminano per commemorare, per ricordare, per onorare, si cammina in direzione contraria a Gerusalemme raccontandosi il rammarico, il dolore e la delusione per come le cose sono finite …

In questo “cammino” manca Gesù, o meglio c’è, ma è morto!
L’annuncio della Pasqua viene a cambiare la direzione e il senso del cammino, il ritmo dei passi: Colui che era morto ora non è morto, Colui che apparteneva al passato ora non è più passato, Colui che era nel luogo inaccessibile della morte ora si fa realmente compagno di viaggio… cammina con Cleopa e il suo amico, cammina dunque con noi.

Il Risorto non vive se non per il Padre e per noi, non è impegnato a fare altro se non a condividere con noi la sua vita gloriosa e, attraverso il Battesimo, a noi – suoi discepoli – dona il suo Spirito.
Il Risorto è per noi, accanto a noi e in noi!

La chiesa è camminare insieme, perché il Signore cammina con noi attraverso i tempi, attraverso le prove, attraverso le fatiche, attraverso le malattie e le guerre. Gesù non è da un’altra parte! Gesù non lo incontro quando sarò sano, quando sarò nella pace, quando tutto sarà al suo posto… Il Signore fa Pasqua – e dunque passa “attraverso” – si fa compagno di viaggio nel tempo della prova, nella stagione della malattia, negli scoraggiamenti della stanchezza, nel rischio folle della guerra… è nostro compagno di viaggio oggi, Pasqua, perché ha attraversato e attraversa tutti i venerdì santi del mondo e di ogni uomo.

Fare sinodo significa mettere al centro il Signore risorto. E ripartire insieme da Lui.
E proprio perché il mondo cammina su vie storte, e proprio perché siamo colmi di problemi e incertezze la chiesa ha bisogno di essere sinodo, cammino insieme: non per tornare indietro a un tempo di cristianità (che non è mai esistito) non per tornare a posizioni di forza (Dio ce ne scampi!), ma per annunciare un’energia nuova, un germoglio di vita… per dire che questo è il tempo in cui accade una salvezza radicale ed eterna, una salvezza che sconfigge il peccato e dissolve la morte e le sue ombre.

La Pasqua di Gesù sta a mostrarci che non vi è mai una situazione persa, che la fiammella per quanto debole non sarà mai spenta e la canna per quanto incrinata non verrà mai spezzata, anzi! Per tutta la Quaresima ci siamo sentiti ripetere: “non voglio la morte del peccatore, ma che si converta e viva!”.

Il cammino dei discepoli di Emmaus che si allontanano da Gerusalemme sono i passi di un’umanità persa, smarrita, delusa, che si allontana dalla Pasqua del suo Signore, che cerca percorsi tutti suoi, e che va incontro alla morte.
Ma il cammino dei discepoli di Emmaus dopo l’incontro con il misterioso viandante che ritrova la strada per Gerusalemme ha il passo gioioso dell’annuncio, della gioia, del riscatto, della liberazione.

Se cammino da solo, senza il Signore e senza i fratelli, se non conosco il “noi” della chiesa e della condivisione allora mi allontano da Gerusalemme, mi separo dalla Pasqua di Gesù, dimentico la forza che mi abita.

Se invece camminiamo insieme con il passo spedito della fraternità con la gioia incontrollabile della speranza allora cammino verso Gerusalemme, partecipo della Pasqua di Gesù e vivrò da risorto.

Quella sera del primo giorno della settimana, quando le ombre del tramonto già si allungavano e la notte era pronta a ingoiare Cleopa e il suo amico, non hanno avuto timore di dichiarare la loro paura e di invocare, inconsapevoli, la compagnia del maestro sconosciuto: “Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto”.
Egli entrò per rimanere con loro.

Le ombre sembrano scendere sul mondo, la paura sembra avvolgerci ma noi siamo così certi che il Signore cammina con noi, vivo e vittorioso, e anche noi ripetiamo le parole dei discepoli: “Resta con noi, Signore… resta con noi…”
Scopriremo, nella sera delle perdute speranze, che Lui è già con noi, Risorto…

Papa Francesco, successore di Pietro, vescovo di Roma, insiste: “Venite, facciamo sinodo, siamo chiesa, ascoltiamo la voce del Risorto!”

E ci ricorda: “Lui è presente, viene di nuovo, combatte per fiorire nuovamente. La risurrezione di Cristo produce in ogni luogo germi di questo mondop nuovo; e anche se vengono tagliati, ritornano a spuntare, perché la risurrezione del Signore ha già penetrato la trama nascosta di questa storia, perché Gesù non è risuscitato invano!” (EG 278).

È tempo di camminare insieme, è il tempo del Risorto!
Il suo amore è più forte della morte!

Giovedì Santo 2022, Altare della Reposizione

Giovedì Santo 2022, Altare della Reposizione

Il significato del “sepolcro” parrocchiale nel triduo di Pasqua 2022

Come ogni anno, anche in questo 2022 la nostra comunità parrocchiale ha voluto dare all’Altare della Reposizione del Santissimo Sacramento, un’interpretazione teologica.

La Croce processionale in legno della Confraternita di Santa Caterina Vergine e Martire è stata adagiata a terra e ad essa sono stati aggiunti alcuni simboli.

Possiamo vedere la corona di spine, segno di dileggio da parte dei carnefici e di sofferenza fisica per Nostro Signore; un Mandylion (termine arabo da cui deriva il dialettale “Mandju”) che indica la sepoltura di Gesù secondo le usanze ebraiche dell’epoca, ma anche il tramandarsi del suo messaggio attraverso i secoli. Poco distanti anche due segni tangibili della sentenza capitale inflitta al Figlio di Dio: un grosso martello con una manciata di chiodi antichi.

Non manca la borsa con i 30 denari, prezzo del tradimento.

Il tutto si focalizza sul PANE e sul VINO in primo piano, ma anche sulla forma del ramo, colto da Sandrino Pelassa e cercato nel bosco di Mendatica per significare con la sua forma l’ascesa dalla terra al cielo.

L’Altare è stato predisposto dalla comunità del paese.

Uno di voi mi tradirà…

Uno di voi mi tradirà...

La Gloria del Signore sconfigge ogni tradimento

Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito».

Di quale gloria parla l’evangelista Giovanni? Gesù si trova in compagnia di persone con cui vive da anni, a cui ha mostrato, con gli insegnamenti e i miracoli, qualche raggio della sua divinità, e queste persone, nel giro di poche ore, lo abbandoneranno, uno di essi lo rinnegherà e un altro addirittura lo aveva già venduto ai sommi sacerdoti!

Gesù si appresta a subire torture, insulti e una morte dolorosa e infamante. Come si fa a parlare di gloria davanti ad un simile fallimento?

Eppure è proprio grazie a tutto questo che Gesù ha portato a termine il piano del Padre: riconciliare l’uomo con Dio, sconfiggendo per sempre il peccato e la morte e riaprendo ad ogni uomo la possibilità del Paradiso.

La gloria di Dio non si manifesta come quella degli uomini. Non è il successo umano che misura la gloria. L’uomo da gloria a Dio quando compie la sua volontà, anche se agli occhi degli uomini ne ricava un insuccesso.

Dio realizza i suoi piani, che sono piani di bene per l’uomo – piani di pace, di gioia, di felicità – in modo diverso da come li realizzerebbe l’uomo, perché i suoi pensieri non sono i nostri pensieri, e le sue vie non sono le nostre vie. Dio ci chiede di abbandonarci alla sua volontà, anche quando non capiamo tutto, anche quando obbedire a Dio ci porta alla rinuncia, al dolore.

Ma tutto questo non significa scegliere una sofferenza senza senso, perché è solo facendo la volontà di Dio che noi possiamo essere davvero felici.

Aprire il cuore a Dio

Aprire il cuore a Dio

A volte è più facile negare l’evidenza che rinunciare alle proprie idee

“Non ti lapidiamo per un’opera buona, ma per una bestemmia: perché tu, che sei uomo, ti fai Dio”.

Gesù aveva appena detto loro: «Io e il Padre siamo una cosa sola». Agli occhi di quei Giudei la bestemmia è evidente, e Gesù non può difendersi da essa che attirando l’attenzione sulle opere che Egli compie, che mostrano quale speciale sintonia ci sia tra Lui e il Padre.

Ma i Giudei non si convincono nemmeno di fronte all’evidenza dei fatti, non aprono gli occhi neppure davanti alle opere straordinarie di Gesù.

Quando il cuore è chiuso, quando il cervello è ottenebrato dall’ideologia, nessun miracolo può aiutare.

Per molte persone è più facile negare la realtà dei fatti che mettere in discussione le proprie idee.

Chiediamo al Signore di liberare la nostra mente da tutto ciò che gli impedisce di illuminare la nostra vita.

Io sono la luce del mondo

Io sono la luce del mondo

Camminare nella luce

Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita».

Seguire Gesù significa vivere nella luce. Chi non segue Gesù, chi non ascolta la sua parola, chi non la mette in pratica, cammina nelle tenebre.

Chi cammina nelle tenebre non sa dove si trova, dove sta andando, cosa sta succedendo intorno a lui. Può intuire qualcosa, ma certamente le tenebre non aiutano a comprendere cosa sta succedendo.

Vivere senza ascoltare e mettere in pratica la parola, la parola che troviamo nella sacra scrittura (e nel magistero autentico della Chiesa che la interpreta secondo verità) ci porta ad allontanarci dalla luce, a non comprendere il senso del nostro vivere, a lasciarci sopraffare dalle difficoltà, a perdere la pace e la gioia di vivere.

Scegliere di vivere nella luce del Signore, anche se talvolta comporta rinuncia e sacrificio, ci aiuta a vivere meglio in questa vita, ad affrontare le difficoltà e i problemi con maggiore serenità, e soprattutto ci guida alla vita eterna.

“Costui sappiamo di dov’è…” (Gv 7,1-2.10.25-30)

“Costui sappiamo di dov’è…” (Gv 7,1-2.10.25-30)

Quando ciò che crediamo di sapere non ci fa capire

La grande difficoltà che impedisce ai Giudei di conoscere Gesù è, paradossalmente, quello che sanno o credono di sapere: “Costui sappiamo di dov’è…”.
E proprio questo “sapere” impedisce loro di riconoscere la realtà più vera e profonda. Il Cristo non viene da se stesso, ma è mandato, è inviato da Colui che solo lui conosce, il Padre.
Agli occhi dei Giudei le cose che già sanno appaiono così importanti e determinanti che non si lasciano nemmeno affascinare da queste parole di Gesù: c’è una realtà, quella del Padre, che solo lui può raccontare, può portare a conoscenza, sulle strade dell’ascolto e dell’amore. Ma non sembrano interessati a incamminarsi su questa strada, quello che sanno, o credono loro di sapere, chiude loro il cuore.
Noi invece chiediamo a Gesù di donarci un cuore che ascolta e così la nostra vita si apre alla conoscenza, e la conoscenza all’amore.
Gesù è venuto a portarci una conoscenza nuova, che illumina e schiude il nostro cuore al mistero di Dio, al cammino della Pasqua, alla sapienza della Croce.
È lo stesso evangelista che ci ricorda:
“Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato” (Gv 1,18).

La Chiesa è piscina di accoglienza, indipendentemente dal sacerdote

La Chiesa è piscina di accoglienza, indipendentemente dal sacerdote

Gesù guarì il paralitico che non poteva entrare nella piscina per purificarsi

Nel mondo c’è una grande piscina le cui acque hanno un potere soprannaturale. Sai qual è il nome di questa piscina?

Te lo dico subito io: CHIESA.

Non credere a quelli che dicono: amo Gesù, ma non la Chiesa. Ciò ovviamente viene detto per ignoranza.

Le persone che dicono di non amare la Chiesa ignorano e pensano subito al clero. La gerarchia, come te, fa parte della Chiesa, cioè del corpo mistico di Cristo che continua a salvare e guarire l’umanità nella Chiesa e con la Chiesa. Il compito del clero è quello di buttarti nelle acque vive della Chiesa.

Purtroppo ci sono sacerdoti che non hanno nessun interesse di farti conoscere Cristo, Medico dell’anima e del corpo. Così molta gente vive fuori dalla Chiesa, rimanendo nella sua cecità, sordità, mutismo e paralisi.

C’è ancora un altro peccato commesso da alcuni del clero. Il loro operato non è quello di attirarti nella rete della Chiesa, ma a sé per saziarsi della stima della comunità.

Ecco perché ci sono molti cattolici che vivono nella Chiesa senza essere guariti dalle loro ferite perché credono che sia il loro sacerdote colui che guarisce.

Il MEDICO è Cristo e i sacerdoti sono gli infermieri di Cristo che amministrano le medicine per la guarigione delle infermità umane, soprattutto per quelle spirituali causate dai peccati commessi.

La Chiesa, come piace a me definirla, è un ospedale dove il Battesimo, l’Eucarestia e la Confessione sono i Sacramenti attraverso i quali Gesù continua a operare guarigioni dell’anima e del corpo.

Una volta chiesi a una donna: “Chi ti ha guarita dalle tue ansie, paura e fobie?” Ed ella mi rispose: “La Parola di Dio, l’Eucarestia quotidiana e la Confessione. Però, io so che se mi allontano dalla Chiesa ritornerò ad essere peggiore di prima”.

Chi ama la Chiesa ama Cristo ed è disposto a dare la vita per la Chiesa. Non dimenticare che il peccato è la causa di tante infermità fisiche e morali. In questa Quaresima mettiti a nuotare nelle acque vive del Sacramento della Riconciliazione.

Il pubblicano e il fariseo (Lc 14,9-18)

Il pubblicano e il fariseo (Lc 14,9-18)

Quando la preghiera del fariseo perde significato?

Il fariseo prega, e questa è una cosa buona.

Prega nel tempio, nel luogo stabilito da Dio, nel luogo della preghiera pubblica, e anche questa è una cosa buona, non si affida a una religiosità «fai da te».

Ringrazia: è molto bello che nel suo cuore vi sia un sentimento di gratitudine verso Dio.

Dov’è che la preghiera del fariseo comincia a fare acqua? Quando comincia a fare paragoni e a giudicare gli altri uomini, gli altri uomini in generale e (peggio ancora!) l’altro uomo in particolare, presente accanto a lui nel tempio.

Soprattutto la preghiera del fariseo ha un grosso difetto: finge di glorificare Dio ed invece è tesa ad esaltare se stesso, in particolare paragonandosi ad altre persone e dando giudizi pesanti su di loro.

È come se una ragazza si mettesse allo specchio e dicesse: «Signore ti ringrazio perché sono davvero bella, non come le mie amiche!».

La preghiera è vera, è buona, ci fa bene, se mette al cento il Signore. Anche la liturgia è vera, è buona e ci fa bene se celebra il Signore, e se lo celebra come Lui vuole essere celebrato.

Quando invece la preghiera, anche la preghiera della liturgia, celebra noi, celebra la nostra persona, celebra la nostra comunità, non è più preghiera, e non ci rende migliori.

L’umiltà nel trasmettere la Parola

L'umiltà nel trasmettere la Parola

I pensieri di Dio non sono i nostri pensieri, le Sue vie non sono le nostre vie

Talvolta noi preti, ma non solo noi, chiunque ha il compito di insegnare e trasmettere la fede – pensiamo ai catechisti, ma pensiamo soprattutto ai genitori e ai nonni, che sono le persone da cui i più giovani apprendono i primi rudimenti della fede – siamo tentati, quando parliamo di Dio, oppure anche delle cose importanti della nostra vita, di non attenerci alle sacre scritture e al magistero costante della Chiesa cattolica (il solo che interpreta la sacre scritture secondo verità), ma di fare di testa nostra, di trasmettere, invece che la parola di Dio, i frutti del nostro piccolo buon senso, facendo, come direbbe il Manzoni, del nostro cervello il Cielo.

Dimentichiamo così che, come dice la sacra scrittura, i nostri pensieri non sono i pensieri di Dio, e che come il cielo è alto sulla terra, così le vie di Dio sono superiori alle nostre.

Trasmettere noi stessi, i nostri pensieri, la nostra sensibilità, serve a ben poco, se tutto questo non è vincolato alla parola di Dio e all’insegnamento costante, bimillenario della Chiesa.

Chiediamo al Signore di darci l’umiltà necessaria a riconoscere che è nella parola di Dio e non nel nostro piccolo buon senso che possiamo trovare il senso della nostra vita e la felicità.

Gesù ci insegna ad andare avanti nonostante i fallimenti

Gesù ci insegna ad andare avanti nonostante i fallimenti

Ogni rifiuto è occasione per ampliare i nostri orizzonti

“…egli passando in mezzo a loro, si mise in cammino.” (Lc 4,24-30)

Iniziamo questa terza settimana di Quaresima.
Mi stupisce come, in particolare negli scritti di Luca, ogni fallimento, sia sempre occasione di riprendere il cammino, e si apre sempre di più verso orizzonti insperati. Questo è molto chiaro nel libro degli Atti degli Apostoli: a ogni rifiuto, a ogni persecuzione, l’attività missionaria dei discepoli di Gesù invece di tornare indietro e battere in ritirata, si amplia sempre di più, su strade e rotte che solo lo Spirito conosce. Riceve da ogni rifiuto come una forza propulsiva inaspettata.
E così accade per Gesù, rifiutato dai suoi e dalla sua piccola patria di Nazareth si mette in cammino … inizia il suo ministero e, passo dopo passo, il suo raggio di azione si apre sempre di più, la Galilea e i galilei, la Giudea e i giudei, Gerusalemme e i suoi abitanti, ma anche i pubblicani, le folle che lo raggiungono da ogni luogo, il centurione, la peccatrice, l’emorroissa, il racconto del samaritano, il lebbroso samaritano, Zaccheo, ricco e pubblicano, fino a quel malfattore incontrato sulla croce, nel cuore stesso del rifiuto e dell’abbandono.
Gesù si mette in cammino e incontra un’umanità che chiede di essere radunata e ascoltata e sempre la parola precede i suoi passi.
Anche noi allora vogliamo metterci in cammino, passando attraverso la violenza, il rifiuto, la gelosia con il desiderio di incontrare in ogni uomo il riflesso della gloria di Dio. Un appello a lasciar cadere i recinti dove abbiamo sequestrato le nostre false sicurezze e il vero amore di Dio.