Cos’è il Purgatorio?

Cos'è il Purgatorio?

Non è un luogo, ma una vera e grande opportunità

Teologi e filosofi, ma da qualche decennio anche gli scienziati (il premio Nobel Roger Penrose e altri), cercano di comprendere cosa sia il Purgatorio, cosa sia l’anima, e anche a cosa serva un elemento deperibile come il nostro corpo.

La risposta che si è fino a questo momento raggiunta e che trova tutti concordi è che non sia un luogo.

La nostra anima, quello che ci caratterizza davvero in un modo che almeno teoricamente possa dare l’unica risposta, è qualcosa che contiene ciò che realmente siamo.

Noi siamo ciò che oltre alla creazione abbiamo aggiunto al nostro IO attraverso le esperienze del corpo e di ciò che abbiamo percepito attraverso i sensi. E se fosse vero ciò che gli studiosi ipotizzano, l’anima è ciò che resta nell’universo dopo la nostra morte corporale.

L’uomo ha cercato disperatamente in tutta la sua storia, di cercare le motivazioni dell’esistenza. Ha ipotizzato lo Sheol, o Regno delle ombre, e poi è arrivato a supporre l’esistenza del Purgatorio, del Paradiso e dell’Inferno.

Ma se davvero per noi ci sarà un futuro, deve essere considerato, almeno sulle prime, in assenza di un corpo. Esso si dissolve nella natura.

Quindi il Purgatorio va pensato vissuto senza il corpo. E quindi con un’ente che sia solo spirituale. L’uomo, non sarà quindi sminuito, ma migliorato, in quanto in grado di pensare esclusivamente a uno stato in cui si possa essere concentrati solo nell’arricchimento dell’anima.

Tutto ciò che avremo accumulato grazie ai sensi, si concentrerà unicamente su chi siamo realmente NOI.

Il Purgatorio, se non c’è il corpo, non può dunque essere qualcosa di fisico, e men che mai un luogo. È dunque un proseguimento del cammino verso ciò che dall’eternità è sempre stato il destino ultimo dell’uomo.

Lo “status” del Purgatorio è quindi opportunità di arricchimento e di comprensione, senza i legami dati dalle preoccupazioni del corpo.

L’uomo nella sua limitatezza compirà un ulteriore step formativo. Il corpo in-forma l’anima, gli dà forma. Ma lo arricchisce anche con le informazioni (senza trattino divisorio).

La nostra anima, colma di queste informazioni, avrà l’opportunità di arricchirsi di quei valori spirituali che il corpo non è stato in grado di fornirgli nella loro completezza.

Tutto ciò fa parte di un unico cammino. Ed è il motivo per cui Joseph Ratzinger rifiutava la morte come fine del cammino, ma in un tutt’uno con la vita oltre la morte. Nei suoi scritti Papa Ratzinger ha sempre proposto questa visione d’insieme (anche nella sua opera “Escatologia. Morte e vita eterna”).

Il credente quindi, deve essere consapevole che il Purgatorio non è un luogo. E pur avendo restituito il nostro corpo in forma gloriosa, non lo è neppure il Paradiso. Tutto è relativo alla relazione. Una relazione con Dio, che appagherà ogni bisogno.

Sono importanti quindi i suffragi per le anime del Purgatorio, perché esse sono quelle che ci precedono. Proseguono il loro cammino, come noi stiamo compiendo il nostro, in attesa del prossimo passo.

Liberiamoci dunque delle suggestioni dell’escatologia dantesca e crediamo in Gesù unico mediatore. “Signore da chi andremo? Tu solo hai parole di Vita!”

“Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando”

"Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando"

Il senso di queste parole di Gesù, che ci ama davvero

«Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando». Un’amicizia davvero particolare quella con Gesù: sei mio amico se fai quello che ti ordino!

Ma non è una frase senza senso! Il Signore ci ama davvero, ci stima, al punto di averci fatto oggetto della sua predilezione («non voi avete scelto me ma io ho scelto voi»), nutre per noi l’amore più grande e più vero («nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici»), ma ci avvisa che per rimanere nella sua amicizia, nel suo amore, è necessario obbedire alla sua parola.

Sembra un controsenso, ma non è così: le parole del Signore, i suoi insegnamenti, i suoi comandi, sono spirito e vita. Ci permettono di vivere in pienezza, evitando il peccato, che fa male alla nostra umanità, che deturpa la nostra stessa identità di esseri creati ad immagine e somiglianza di Dio.

Per questo ci chiede di fare ciò che comanda: perché è solo nell’obbedienza alla volontà di Dio che noi possiamo davvero essere noi stessi e possiamo davvero essere felici.

Apocalisse di Giovanni, la rivelazione

Apocalisse di Giovanni, la rivelazione

Il libro letterariamente più suggestivo del Nuovo Testamento

Apocalisse di San Giovanni Apostolo è forse il libro che desta maggior suggestione nel panorama neo-testamentario, e probabilmente anche nell’intera Bibbia.

A contribuire a questo effetto è certamente il genere letterario che gli appartiene, ma anche il suo contenuto escatologico.

Di fronte alla fine dei tempi e al giudizio finale l’uomo ha sempre assunto un atteggiamento di sospetto misto a paura. Occorre riconoscere che alcuni atteggiamenti del passato possono aver contribuito ad alimentare questi sentimenti, ma se si indaga sul contenuto del libro, ci si accorge che ad essere sbagliato è l’approccio del lettore.

Cosa realmente significa “apocalisse”

Il titolo stesso dà adito a fraintendimenti. Il termine “apocalisse” è oggi comunemente interpretato come sinonimo di “disgrazia” o addirittura di “armageddon”. Quest’ultimo è un errore madornale e ancora peggiore del primo.

“Apocalisse” deriva dal sostantivo greco ἀποκάλυψις (apocalypsis) e significa “rivelazione”, “svelamento”. Indica quindi il “togliere il velo” da argomenti o vicende. E ciò a cui Apocalisse di Giovanni si riferisce è la Parousia, ovvero il ritorno del Cristo.

Solo questo basterebbe a farci capire che non può essere un libro di tragedia.

Il genere letterario che definisce il libro di Giovanni è quello che stabilisce e simboleggia la categoria propria “apocalittica”, con grandi metafore, una simbologia forte e richiami evidenti a entrambi i testamenti. Riferiti all’Antico Testamento troviamo infatti 40 versetti.

Vengono tratte dall’Apocalisse immagini altamente simboliche, come la Santa Vergine che calpesta il serpente, o la descrizione della Gerusalemme Celeste.

Le scene “forti” sono anche dovute al carattere dell’autore, non dimentichiamo che Giovanni è l’Apostolo dell’Amore ma anche il “Figlio del Tuono”. È definito figlio di tre madri, perché generato dalla moglie di Zebedeo, affidato a Maria, ma anche, appunto “figlio del tuono” che in ebraico è di genere femminile (“la tuona”).

Come leggere “Apocalisse”

Seppure non certamente attribuibile a Giovanni, a causa del diffuso (e allora lecito) fenomeno della falsa epigrafia, Apocalisse è certamente uno scritto giovanneo, ovvero di ambito dei discepoli o della scuola dell’Apostolo. È comunque un libro ispirato e per questo degno dell’inserimento nel canone.

Venne dunque scritto alla fine del I secolo d.C. e risente dell’esperienza della Chiesa che si appresta a uscire dal periodo apostolico, chiudendo la “Rivelazione”.

La lettura del libro va dunque seguita con animo di speranza, e non in atteggiamento di timore. Ciò che l’Apocalisse descrive si è infatti già in parte realizzato, e quanto deve ancora accadere sarà caratterizzato dalla bontà e dalla misericordia del Cristo.

Risulta evidente il messaggio che Dio vuole la salvezza di tutti e che al giudizio parteciperemo anche noi, con una visione chiara del nostro essere e essere stati. La sentenza sarà anche dipendente dal nostro libero arbitrio.

Apocalisse dunque è un titolo che resta fedele all’etimologia originaria del termine, e non all’accezione che comunemente gli viene attribuita.

La luce nelle tenebre

La luce nelle tenebre

Gesù è venuto a darci parole di vita eterna

“Io sono venuto nel mondo come luce, perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre”. Chi crede in Gesù non rimane nelle tenebre.

Tante volte la nostra vita sembra una serie di avvenimenti senza filo logico. Talvolta non capiamo quale sia il senso delle cose che ci capitano, o più in generale il senso della nostra esistenza. Gesù ci chiede di credere in Lui, e questo darà luce alla nostra esistenza.

Credere non significa solo pensare che Dio esista, che sia una sostanza in tre persone e che Gesù sia vero uomo e vero Dio. Non significa solo ritenere che siano vere tutte quelle verità che la Chiesa Cattolica ci propone di credere. Questo è assolutamente necessario, ma non basta.

Credere significa fidarsi di Dio, pensare che le sue parole siano vere, e agire di conseguenza, cioè in concreto fare quello che la parola di Dio e il magistero autentico della Chiesa (che la interpreta in modo autorevole) ci comandano.

È questa la vera fede. Una fede che non incida nel modo di pensare e di vivere non è la fede cristiana. È solo una fantasia, un gioco mentale, che non ci dona luce e ci lascia nelle tenebre, una fantasia che non ci aiuterà a rendere migliore la nostra esistenza su questa terra e non ci gioverà per la salvezza eterna.

“Volete andarvene anche voi?” (da GV 6,67)

"Volete andarvene anche voi?" (da GV 6,67)

Quando si dice: “Io sono cristiano, ma la penso a modo mio” …

“Volete andarvene anche voi?”. Molti discepoli, alle parole di Gesù sul suo corpo e sul suo sangue, se ne sono andati.

Anche ai nostri giorni spesso succede così: molte persone non possono sopportare che Dio ragioni in maniera diversa da loro. Se non usa il nostro modo di pensare, se non fa quello che abbiamo in mente noi, ci allontaniamo da Lui, dalla pratica religiosa, dalla vita di fede.

Nel brano vediamo che Gesù non tenta di mediare, addolcendo la verità, rendendola meno ostica, cercando di non perdere seguaci. Gesù dice la verità, la dice tutta intera, ben sapendo che è la verità che ci fa liberi.

La domanda che fa agli apostoli («Volete andarvene anche voi?») la fa a ciascuno di noi. Anche noi siamo richiesti di credere e professare la fede cristiana tutta intera, senza limitazioni o modifiche, senza dire: «io sono cristiano però su questa cosa la penso a modo mio».

Non possiamo mettere in discussione il deposito della fede, e il magistero bimillenario della Chiesa che lo interpreta. La singola parola di questo o quel vescovo, di questo o quel Papa, detta in modo non ufficiale, non vincola le nostre coscienze.

Ma la sacra scrittura e il magistero autentico della Chiesa ci obbligano, non possiamo scegliere di farne a meno, o di modificare o limitare questo o quell’aspetto. Salvo rendere la fede cristiana qualcosa di falso. E di perfettamente inutile.

L’Eucarestia è fonte di salvezza

L'Eucarestia è fonte di salvezza

Nutrimento di Vita

“Questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia”.

Il discorso di Gesù, riportato al sesto capitolo del Vangelo di Giovanni, fa un riferimento sempre più stretto all’Eucaristia. È questo il vero pane che discende dal cielo, che da la vita eterna a chi se ne ciba.

Può dare la vita eterna perché questo pane è Gesù stesso.

Sappiamo che nell’Eucaristia Gesù è presente realmente, anche se non fisicamente, in corpo, sangue, anima e divinità. Per questo l’Eucaristia da la vita, perché in essa c’è Dio, l’unico che può dare la vita.

Nutrirsi dell’Eucaristia in modo degno, con frequenza e devozione, ci sostiene nel cammino di questa vita. Ci mantiene in amicizia con Dio e ci conduce alla vita eterna.

Accompagnarsi col Signore

Accompagnarsi col Signore

“Pur se andassi per valle oscura, non avrò a temere alcun male”

“Allora vollero prenderlo sulla barca, e subito la barca toccò la riva alla quale erano diretti”.

Quando si decide di far salire Gesù sulla barca della nostra vita, le cose si sistemano. Non nel senso che andrà tutto bene, che i problemi concreti troveranno soluzione, o altro del genere. No. Non è così e sarebbe illusorio crederlo.

Ma quando si decide davvero di cercare di fare la volontà di Dio, pur con tutti i limiti e le debolezze della nostra natura umana, allora tutto viene illuminato da una luce diversa, che rende più sereno e gioioso il nostro vivere, meno acuto il dolore.

Non perché diventiamo stupidi e non ci accorgiamo delle difficoltà e dei dolori, ma perché viviamo sapendo di non essere soli, di non essere abbandonati a noi stessi nelle tempeste della vita, sapendo che anche quando ci accade qualcosa di irreparabile Dio c’è, ed è con noi, e che l’orizzonte a cui dobbiamo guardare non è quello degli anni che trascorriamo su questa terra, ma è quello della vita eterna.

Credere è anche vivere secondo Gesù

Credere è anche vivere secondo Gesù

Il vero significato della Fede

Dio ha mandato il suo Figlio unigenito nel mondo, perché il mondo sia salvato per mezzo di Lui. Per salvarci occorre credere in Lui.

Credere, lo sappiamo, non significa solo ritenere che alcune cose (ciò che diciamo nel Credo) siano vere. Questo sì, certamente è necessario. Ma non basta.

Dobbiamo cercare di compiere ciò che il Signore ci comanda. Conoscenza e azione sono legate tra loro. Dio ci manda la luce per farci capire ciò che è bene, per farci capire che Dio ci ama e ci è vicino, ma chi opera il male questa luce non la vuole, proprio perché mostra la malvagità della propria vita.

Non possiamo illuderci di credere in Dio e vivere nel male, lontani dalla sua grazia, in una condizione abituale di peccato mortale. In questo modo rifiutiamo la luce di Dio. E la rifiutiamo proprio perché mette in mostra la malvagità del nostro agire.

Chiediamo al Signore di aiutarci a vivere come piace a Lui.

Dio non ha mandato il suo Figlio per condannarci ma per salvarci. Chiediamogli di aiutarci ad accogliere nella nostra vita la sua luce.

La Chiesa può essere imperfetta, ma non verrà mai meno alla sua missione

La Chiesa può essere imperfetta, ma non verrà mai meno alla sua missione

Il Vangelo ci insegna cosa è la fiducia

Siamo sul finire del Vangelo di San Marco. Gesù risorto appare agli apostoli, rimasti in undici dopo il suicidio di Giuda. Agli apostoli era già giunta la notizia della resurrezione di Gesù: Marco cita la Maddalena e i due di Emmaus. Ma i discepoli non credono.

Allora Gesù in persona si presenta vivo, in anima e corpo, ai suoi apostoli, e li rimprovera per la loro incredulità e durezza di cuore. Pur avendo avuto molte prove credibili della resurrezione di Gesù il loro cuore rimane chiuso, ostinato, e si rifiuta di credere.

Gesù rimprovera i suoi, ma continua a fidarsi di loro, al punto da dare loro una missione davvero impegnativa, a occhio umano non fattibile: proclamare il Vangelo ad ogni uomo.

E l’annuncio del Vangelo non è il racconto di una cosa qualsiasi, di una notizia tra le tante: chi accoglierà questo annuncio, e lo metterà in pratica, ricevendo il Battesimo e accogliendo la vita nuova che Cristo ci dona, sarà salvato. Chi non lo farà verrà condannato. Dunque quella del Vangelo è una parola decisiva per ognuno di noi.

Gesù prima di congedarsi dai suoi discepoli da loro dei poteri particolari. Inoltre il brano dice che Egli confermava la parola dei discepoli con i segni che la accompagnavano.

Ci viene qui mostrata la indefettibilità della Chiesa, cioè il fatto che la Chiesa non verrà mai meno e manterrà immutata nei secoli la sua natura. La Chiesa conserverà inalterato nel tempo il messaggio della Rivelazione. E questo non per le capacità dei suoi membri (in effetti gli apostoli erano appena stati rimproverati per la loro incredulità), ma per le promesse del suo Fondatore, il Signore Gesù.

Ricordiamoci di queste parole, quando rimaniamo delusi e talvolta scandalizzati per il comportamento di tanti noi cristiani: la Chiesa nel suo magistero non può né ingannarsi né ingannare, nonostante le debolezze e i tradimenti di noi cristiani. Perché la Chiesa non è solamente l’insieme dei Cristiani, ma è il corpo mistico del Signore, quel corpo di cui Cristo è il capo.

Ed è grazie a Lui, e non certo grazie a noi, che non potrà mai cessare di esistere né potrà mai venire meno alla sua missione di annuncio della parola di salvezza e di santificazione di ogni uomo.

Gesù è vivo ed è con noi

esù è vivo ed è con noi

La gioia del messaggio: “Sarò con voi per sempre”

Siamo nell’Ottava di Pasqua, quella settimana che va dalla domenica di Pasqua alla domenica successiva, settimana che la liturgia considera un unico giorno, il giorno della risurrezione del Signore.

E i vangeli di questa settimana insistono nel mostrarci le apparizioni del Risorto. E insistono su due aspetti: il primo è che Gesù è veramente risorto, è vivo, in anima e corpo, si fa vedere, ascoltare, toccare, mangia e beve con coloro che lo incontrano, il secondo è che i discepoli, anche dopo aver incontrato il Signore, non credono.

È questo un motivo che rende credibili questi racconti: i discepoli, e gli undici apostoli per primi, non erano predisposti a credere alla resurrezione. Fino alla Pentecoste, quando lo Spirito Santo è sceso dal cielo e li ha illuminati, non credevano neppure all’evidenza.

I brani di vangelo che leggiamo in questi giorni ci vogliono comunicare una realtà fondamentale: la resurrezione è un fatto storico realmente accaduto.

Ne consegue che Gesù oggi è vivo, in anima e corpo. Non riusciamo né a vederlo né ad ascoltarlo non perché sia meno vivo di noi, ma perché noi siamo creature, e come tali siamo limitati.

E il Risorto comanda ai suoi apostoli di comunicare a tutti questa verità: che noi non siamo destinati a finire i nostri giorni nel buio di una tomba, ma che siamo chiamati – se lo vogliamo – a vivere per sempre nella gioia di Dio.