Domani solenne ingresso di Don Enrico a San Giovanni di Pieve

Domani solenne ingresso di Don Enrico a San Giovanni di Pieve

Il nuovo Canonico resterà ancora Parroco di Cosio, Mendatica, Montegrosso e Rezzo

Domani, domenica 25 settembre, Don Enrico Giovannini farà il suo solenne ingresso a Pieve di Teco, quale nuovo Canonico della Collegiata di San Giovanni Battista.

Dopo essere stato nominato Vicario della Valle Arroscia, Don Enrico assumerà questo nuovo incarico, a testimonianza della stima che S.E. Mons. Vescovo Guglielmo Borghetti nutre per lui.

La cerimonia di ingresso è fissata per le ore 17.00 alla presenza di Mons. Borghetti e del Cancelliere Diocesano Don Pablo Aloy.

Il nuovo Canonico manterrà ancora, almeno per qualche mese, la titolarità delle Parrocchie di Cosio, Mendatica, Montegrosso Pian Latte e Rezzo.

La nostra Parrocchia vuole esprimere al suo Parroco i migliori auguri per la nuova missione pastorale, e si unisce a lui nella preghiera.

Un pensiero grato va rivolto a Don Sandro De Canis, Canonico uscente, che non ha mai fatto mancare il suo apporto pastorale alle comunità dell’intera valle.

La vera conoscenza di Dio

La vera conoscenza di Dio

Conoscere Dio VERAMENTE porta frutti di bene

«Io sono la via, la verità e la vita, dice il Signore. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me». Alleluia. (Dalla liturgia)

Erode sente parlare di Gesù, e si interroga su di Lui. Anche perché la gente ne parla tanto, facendo le ipotesi più varie.

Erode cercava di incontrare Gesù, quantomeno di vederlo. Questa è una cosa buona. Quello che non è buono è che lo fa solo per curiosità. E questo non gli permette di capire nulla di Gesù. Quando qualche anno dopo (il venerdì santo) Erode incontrerà Gesù mandatogli da Pilato, non capirà nulla di Lui. Infatti Erode rimanderà Gesù a Pilato dopo averlo sbeffeggiato.

Avvicinarsi a Gesù, alla Chiesa, alle cose di Dio solo per curiosità, non porta alcun frutto. Il desiderio autentico di conoscere le Dio, di conoscere Gesù, di conoscere le cose di Dio invece porta frutto. Perché porta alla vera conoscenza di Dio, che ci conduce a capire che ascoltare la sua parola senza tentare di metterla in pratica non serve a nulla. Solo avere la vera conoscenza di Dio genera l’amore per Lui e per il prossimo, e piano piano porta frutti di bene nella nostra vita.

Il Magistero della Chiesa, voluto da Gesù

Il Magistero della Chiesa, voluto da Gesù

Alla Chiesa, da Lui costituita, Gesù diede di conoscerei misteri del Regno

«Quello sul terreno buono sono coloro che, dopo aver ascoltato la Parola con cuore integro e buono, la custodiscono e producono frutto con perseveranza». (Dalla liturgia).

«A voi è dato conoscere i misteri del regno di Dio, ma agli altri solo con parabole, affinché vedendo non vedano e ascoltando non comprendano». C’è un modo di accostarsi alla parola di Dio, alla religione, che non serve a nulla. Che non ci apre gli occhi e la mente alla comprensione dei misteri della vita.

Agli apostoli invece è stato dato di conoscere i misteri del regno di Dio. Agli apostoli, cioè alla Chiesa, alla Chiesa cattolica e apostolica che, nel suo magistero autentico, è in grado di interpretare secondo verità la parola di Dio.

A noi è stato dato un grande dono, che è anche una grande responsabilità: quello di essere membri della Chiesa di Cristo. La Chiesa di Cristo è in grado di farci comprendere i misteri del regno di Dio, di dare una risposta alle domande fondamentali che portiamo nel nostro cuore: da dove veniamo, quale è il senso della nostra esistenza, è possibile essere felici, c’è vita oltre la morte.

Non accostiamoci in modo sterile alla parola di Dio, al magistero autentico della Chiesa, considerandoli una parola fra le tante, un’opinione magari rispettabile, ma non vincolante per la nostra vita. Se facciamo così di fronte a ciò che capita, agli avvenimenti della nostra vita, alle vicende del mondo, faremmo la fine di quelli che vedendo non vedono e ascoltando non capiscono, e ci limiteremmo a sopravvivere, non capendo il senso della nostra esistenza.

Gesù ci ha affidato a Maria

Gesù ci ha affidato a Maria

L’affidamento reciproco di Giovanni e Maria Santissima è anche un’esortazione

«In quel tempo, stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria madre di Clèopa e Maria di Màgdala.
Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: “Donna, ecco tuo figlio!”. Poi disse al discepolo: «Ecco tua madre!”. E da quell’ora il discepolo l’accolse con sé
». (Dalla Liturgia).

La festa di oggi ci fa capire quanto Maria abbia condiviso, più di ogni altro essere umano, la missione redentrice di Cristo. Gesù muore sulla croce, e Maria assiste impotente allo strazio delle carni del suo divin Figlio.

Non ci può essere dolore più grave, per una madre, che assistere alla morte di un figlio. Maria è rimasta ai piedi della croce, straziata dal dolore, ma la sua fede non ha vacillato. Sapeva che Dio le promesse le mantiene. Ed è stata ripagata quando ha incontrato il suo Figlio risorto a vita nuova.

Ma c’è un altro aspetto che questo Vangelo ci suggerisce: Gesù ha voluto affidare al discepolo amato, alla Chiesa, a ciascuno di noi, la sua santissima madre, e a Maria ha affidato il discepolo amato, ha affidato ciascuno di noi. E non lo ha fatto in un momento qualunque, ma pochi istanti prima di morire. Se non fosse stato necessario per la nostra salvezza Gesù non avrebbe usato le ultime parole pronunciate prima di morire per consegnarci alla protezione amorevole di Maria.
Affidiamoci a lei nelle difficoltà, materiali e ancor più spirituali. Maria non ci abbandona, si prende cura di noi. Ella non ha mai disobbedito a Dio, non lo farà neanche questa volta.

Il riferimento è il Signore e non noi stessi

Può forse un cieco guidare un altro cieco?

Il rischio di essere ciechi o di avere una visione distorta

«Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso? Un discepolo non è più del maestro; ma ognuno, che sia ben preparato, sarà come il suo maestro». (Dalla liturgia)

Il primo paragone è quello della guida, che rischia di far cadere nel fosso chi si affida a lei. Il riferimento non è solo ai farisei del tempo di Gesù, ma è ai discepoli di tutti i tempi.

Il cieco non sa dove va. E il discepolo rischia di non sapere più dove va quando perde il punto di riferimento, quando perde di vista l’unica vera Guida: Gesù. Quando il discepolo non fa più riferimento agli insegnamenti di Gesù, al magistero della Chiesa, diventa cieco e smette di essere una guida affidabile.

La parola del discepolo non può separarsi da quella del Maestro. Il discepolo può solo cercare di spiegare quello che Gesù ha già detto, non può fare di testa sua, pena il rischio di cadere nel fosso, di rovinare cioè la propria vita e quella degli altri.

Il secondo paragone è quello della pagliuzza e della trave. Talvolta, per essere fedeli alle parole di Gesù, è necessaria la correzione fraterna, cioè dire al fratello che sta sbagliando qualcosa.

Il rischio, in questi casi, è quello di usare due pesi e due misure, di essere molto indulgenti con se stessi e puntigliosi con gli altri; di essere, nei confronti degli altri, più rigorosi di quanto lo sia Gesù stesso, e usare invece un metro eccessivamente morbido con noi stessi. È un atteggiamento ipocrita.

Il brano ci avvisa che è meglio cominciare la critica da noi stessi, perché è proprio verificando le nostre mancanze che noi riusciamo ad avere un giusto metro per valutare il comportamento degli altri. Cominciare la critica da noi stessi non è solo un modo di evitare l’ipocrisia, ma ci aiuta a capire quali siano i tempi, i modi, la gravità della correzione per gli altri. Solo chi mette in discussione se stesso ha la lucidità per vedere e per capire gli altri.

Il Signore ci vuole felici, per questo ci da questi suggerimenti: perché noi possiamo essere in grado di riconoscere ciò che è bene e ciò che è male, non basandoci su quello che pensa il mondo, ma basandoci solo sull’insegnamento del Signore, perché solo in esso troviamo ciò che ci serve per avere pace e gioia.

Quante volte siamo anche noi «farisei»?

Quante volte siamo anche noi «farisei»?

Analizziamo gli insegnamenti di Gesù su sabato.

Poi Gesù disse loro: «Domando a voi: in giorno di sabato, è lecito fare del bene o fare del male, salvare una vita o sopprimerla?». E guardandoli tutti intorno, disse all’uomo: «Tendi la tua mano!». Egli lo fece e la sua mano fu guarita.
Ma essi, fuori di sé dalla collera, si misero a discutere tra loro su quello che avrebbero potuto fare a Gesù
. (Dalla liturgia).

Gesù sa che scribi e farisei lo stanno ad osservare per poi accusarlo. Il problema stava nel fatto che Gesù faceva del bene in giorno di sabato.

Alcune scuole rabbiniche ammettevano che in giorno di sabato fosse possibile fare ciò che la legge non permetteva, ma solo in caso di pericolo di vita: per esempio salvarsi da un pericolo con la fuga, oppure assistere una donna colta dalle doglie del parto, o un uomo in grave pericolo di vita.

Gesù non aiuta un uomo in pericolo di vita. Con la sua azione non stabilisce un’eccezione, ma cambia il concetto teologico della norma: la norma è fatta per l’uomo, e non viceversa.

È questo che scribi e farisei non sopportano, ed Egli li sfida. Gesù non si nasconde nel compiere il miracolo, anzi da pubblicità al suo gesto, invitando l’uomo dalla mano inaridita a mettersi nel mezzo. E lo guarisce, scatenando la loro reazione.

Scribi e farisei non si curano che Gesù abbia potuto guarire un uomo con la sola parola. Si intestardiscono sul loro modo di pensare. Non rispondono alla domanda di Gesù.

Tante volte anche noi facciamo così: pensiamo che il nostro modo di vivere e di vedere le cose sia quello giusto, e non ci lasciamo interrogare né dal Vangelo né dalle cose che ci capitano nella vita. Tante volte Dio ci parla attraverso di esse, ma quando non riusciamo a liberarci dalle nostre idee preconcette e dalle nostre false sicurezze non riusciamo a cogliere ciò che la grazia di Dio ci fa capire per correggerci e vivere meglio.

Il richiamo alla coerenza

Il richiamo alla coerenza

Partendo dal rispetto del digiuno, Gesù insegna a essere conformi a ciò che conta

In quel tempo i farisei e i loro scribi dissero a Gesù: «I discepoli di Giovanni digiunano spesso e fanno preghiere, così pure i discepoli dei farisei; i tuoi invece mangiano e bevono!». Gesù rispose loro: «Potete forse far digiunare gli invitati a nozze quando lo sposo è con loro? Ma verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto: allora in quei giorni digiuneranno».
Diceva loro anche una parabola: «Nessuno strappa un pezzo da un vestito nuovo per metterlo su un vestito vecchio; altrimenti il nuovo lo strappa e al vecchio non si adatta il pezzo preso dal nuovo. E nessuno versa vino nuovo in otri vecchi; altrimenti il vino nuovo spaccherà gli otri, si spanderà e gli otri andranno perduti. Il vino nuovo bisogna versarlo in otri nuovi. Nessuno poi che beve il vino vecchio desidera il nuovo, perché dice: «Il vecchio è gradevole!».
(Dal Vangelo secondo Luca)

La pagina del Vangelo di oggi ci invita a non cercare di tenere il piede in due scarpe, di non pretendere cioè di scegliere Dio e di rimanere nel male.

Non è possibile amare Dio e voler rimanere nel peccato. Il vestito vecchio non sopporta il pezzo di stoffa nuovo, i vecchi otri non sono in grado di trattenere la vitalità del vino nuovo.

Se si sceglie di servire Dio, di vivere in amicizia con Dio non si può voler rimanere in situazioni di peccato. I risultati sarebbero drammatici per la nostra anima: ci illudiamo di vivere in grazia di Dio e viviamo invece abitualmente in stato di peccato mortale, pensiamo di fare cosa gradita a Dio e invece ci stiamo dannando l’anima. Ci si illude di amare Dio se si vive abitualmente nel peccato: «Chi mi ama osserva i miei comandamenti» (Gv 14,21).

Chiediamo al Signore la forza di saperlo amare veramente, rinunciando al peccato e cercando, con il suo aiuto, di fare la sua volontà. Solo così potremo avere pace e gioia. Solo così si apriranno per noi le porte del Paradiso.

Il combattimento contro il diavolo

Il combattimento contro il diavolo

Il primo miracolo di Gesù nel Vangelo di Luca è un esorcismo

«Io so chi tu sei: il santo di Dio!» (Dalla liturgia).

E’ il primo miracolo che viene riportato dal Vangelo di Luca. È un esorcismo.

Gesù mostra, con questo miracolo, il suo programma: liberare l’uomo dal maligno, dal peccato, dalla morte eterna. Il diavolo parla al plurale («sei venuto a rovinarci»). Ha capito che l’azione di Gesù porterà alla sconfitta del male.

Ma anche se la vittoria di Gesù è sicura, il combattimento è inevitabile: il diavolo prima di uscire da quell’uomo lo getta a terra in mezzo alla gente. Ma alla fine se ne è dovuto andare senza fargli alcun male.

Dio permette la sofferenza durante la nostra vita terrena, ma ci assicura che, se ci affidiamo a Lui, il male non potrà avere la meglio su di noi e non potrà privarci della gioia eterna del Paradiso.

Bartolomeo e l’apertura al Signore

Bartolomeo e l'apertura al Signore

Spesso chiudiamo le nostre porte con pregiudizi

«Natanaèle gli domandò: “Come mi conosci?”. Gli rispose Gesù: “Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto quando eri sotto l’albero di fichi”. Gli replicò Natanaèle: “Rabbì, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d’Israele!”. Gli rispose Gesù: “Perché ti ho detto che ti avevo visto sotto l’albero di fichi, tu credi? Vedrai cose più grandi di queste!“. (Dalla liturgia).

Natanaele (chiamato anche Bartolomeo) non dà l’idea, da questo brano, di essere una persona particolarmente brillante. Sembra, per quel poco che si può capire da una breve frase, un uomo ben radicato nei suoi sciocchi pregiudizi («Da Nàzaret può venire qualcosa di buono?»). Ma Natanaele (Bartolomeo) era una persona onesta.

Lo dice Gesù stesso: «Ecco davvero un israelita in cui non c’è falsità». La sua naturale sincerità, la sua rettitudine di vita lo rendeva naturalmente aperto alla rivelazione del Signore. È bastato poco («Ti ho visto quando eri sotto l’albero di fichi», gli aveva detto il Signore) per riconoscere in Gesù il Figlio di Dio e il Re di Israele.

Se pensiamo che i capi dei Giudei hanno deciso di uccidere Gesù dopo che Egli aveva manifestato ben altrimenti la propria divinità, facendo risorgere Lazzaro già da quattro giorni cadavere, capiamo che nessun segno del Cielo può illuminare la nostra mente né riscaldare il nostro cuore se non abbiamo un animo ben disposto ad accoglierlo.

Chiediamo a Dio di mantenere puro il nostro cuore, così da essere pronti a scorgere quei segni che il Signore continuamente ci mostra, e non rischiamo di lasciare passare invano la grazia di Dio dalla nostra vita.

L’ipocrisia, un male difficile da estirpare

L'ipocrisia, un male difficile da estirpare

Gesù pronuncia parole dure nei confronti degli ipocriti

«Guide cieche, che filtrate il moscerino e ingoiate il cammello! Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pulite l’esterno del bicchiere e del piatto, ma all’interno sono pieni di avidità e d’intemperanza».
(Dalla liturgia).

Prosegue l’invettiva di Gesù contro gli scribi e i farisei, che vivono una religiosità tutta basata sull’apparenza, priva di un vero affetto per il Signore e di un reale rispetto per i suoi comandamenti.

Quello che interessa a scribi e farisei è apparire in modo positivo agli occhi degli altri uomini. La loro religiosità, tutta apparente, non li aiuta ad avere un vero e vivificante rapporto con Dio.

Anche noi cristiani, seppure in modo diverso, rischiamo di cadere nello stesso errore. È la cosa più stupida che si possa fare. Perché l’ipocrita, in fondo, dimostra di temere maggiormente il giudizio degli uomini che quello di Dio.

E questo è folle, perché non saranno certo gli uomini ma sarà Dio a giudicarci al termine della nostra vita, e a decidere del nostro destino eterno.