Vivere senza ricordare Dio

Vivere senza ricordare Dio

Gesù cita i tempi di Noè per indicarci ciò che non dobbiamo fare

«Risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina. Alleluia». (Dalla liturgia)

«Come avvenne nei giorni di Noè». E cosa avveniva di tanto particolare nei giorni di Noè?

Leggiamo: «mangiavano,bevevano, prendevano moglie, prendevano marito». Cosa c’è di male a mangiare, a bere, a prendere moglie o a prendere marito? Niente, non c’è proprio niente di male. Il male è fare tutte queste cose – che in sé sono cose belle, buone, necessarie – dimenticandosi di Dio, vivere la nostra vita normale come se Dio non esistesse, come se non gli dovessimo rendere conto di tutto quello che facciamo.

Tutto quello che facciamo, anche le cose più piccole e normali della nostra vita, devono essere fatte nella luce di Dio. Dimenticarsi di Dio, vivere come se Dio non esistesse porta alla rovina: per questo Gesù ricorda due punizioni divine esemplari: il diluvio universale e la distruzione di Sodoma.

Vivere la nostra vita quotidiana, fatta di lavoro, di affetti, di svago, viverla come piace a Dio, seguendo la sua legge, vivendo nella sua grazia. Questo significa vigilare e prepararsi all’incontro definitivo con Lui.

Fede, amore e perdono

Fede, amore e perdono

Gesù ci insegna quanto siano legati questi tre aspetti

«Se il tuo fratello commetterà una colpa, rimproveralo; ma se si pentirà, perdonagli. E se commetterà una colpa sette volte al giorno contro di te e sette volte ritornerà a te dicendo: “Sono pentito”, tu gli perdonerai». (Dalla liturgia).

«Accresci in noi la fede!». È la domanda dei discepoli.

La fede non è solo l’adesione intellettuale ad una serie di verità, innanzitutto è la fiducia che nutriamo verso Dio. E se ci fidiamo di Dio, non possiamo che credere che siano vere le cose che ci dice, che ci dice nella sacra scrittura e nella tradizione apostolica, così come interpretate dal magistero autentico della Chiesa.

E la fede non può limitarsi ad un pensiero, né tantomeno ad un’emozione, ma deve tradursi in agire concreto, per essere autentica e viva deve diventare modo abituale di pensare e di agire («la fede senza le opere è morta», ci dice la lettera di San Giacomo).

La fede e l’amore sono strettamente collegate: non si può credere in Dio senza amarlo (e quindi osservando i suoi comandi, «chi mi ama osserva i miei comandamenti», ci dice il Vangelo di Giovanni), né si può amarlo veramente se si rifiuta ciò che ci ha insegnato.

Il significato della chiamata

Il significato della chiamata

Il Signore non chiama a caso, ma con spirito d’amore

«In quei giorni, Gesù se ne andò sul monte a pregare e passò tutta la notte pregando Dio. Quando fu giorno, chiamò a sé i suoi discepoli e ne scelse dodici, ai quali diede anche il nome di apostoli». (Dalla liturgia)

«Ne scelse dodici, ai quali diede anche il nome di apostoli». La parola apostolo, nella lingua greca dalla quale questo termine deriva, significa inviato. Gli apostoli vengono identificati, anche nel nome, con la loro missione.

La missione per il Signore riguarda tutta la vita, non è un incarico part-time. Al Signore interessiamo noi, non tanto fare delle cose (che potrebbe benissimo fare Lui, e molto meglio di noi!).

La chiamata del Signore è anzitutto un segno di stima, di fiducia, immeritata. E c’è un rapporto particolare, unico, con ogni discepolo. Infatti non si dice che Gesù abbia creato un gruppo di soggetti con questa o quella caratteristica, ma chiama delle persone precise, individuate con un nome.

Al Signore, prima di quello che riusciamo a fare per Lui, interessiamo noi. A Lui interessa che noi, anzitutto, rimaniamo nella sua amicizia, nel suo amore.

L’attività apostolica è una conseguenza di questo rapporto. È dal rapporto d’amore con il Signore che nasce ogni attività ecclesiale, ogni attività di apostolato. Senza un vero rapporto con il Signore il darsi da fare per la Chiesa è solo aria fritta.

La religiosità “apparente”

La religiosità "apparente"

L’ostacolo ad un sincero rapporto con Dio, qualche volta viene da noi stessi

«Ipocriti, non è forse vero che, di sabato, ciascuno di voi slega il suo bue o l’asino dalla mangiatoia, per condurlo ad abbeverarsi? E questa figlia di Abramo, che Satana ha tenuto prigioniera per ben diciotto anni, non doveva essere liberata da questo legame nel giorno di sabato?».
(Dalla liturgia).

La donna ricurva è come legata, imprigionata da una forza a lei estranea che le impedisce di vivere bene, di vivere liberamente. Simboleggia bene l’uomo prigioniero delle astuzie del demonio.

Infatti Gesù nel guarirla usa la frase: «sei liberata dalla tua malattia». Subito i presenti si lamentano, perché così facendo Gesù ha violato la legge del sabato, che impedisce agli Ebrei di svolgere in quel giorno qualsiasi attività.

Ma Gesù ha buon gioco a rispondere e a mostrare la loro ipocrisia. Il riposo del sabato ricorda agli Ebrei la liberazione dalla schiavitù del Faraone, e ora si lamentano perché questa donna proprio di sabato è stata liberata dalla schiavitù del demonio che da tanti anni la teneva legata.

Gesù ci mostra come una religiosità apparente, che si sofferma sui dettagli e non sa andare al centro dell’insegnamento del Signore, cioè l’amore per Dio e l’amore per il prossimo, sia un ostacolo anziché un aiuto al nostro rapporto con Dio.

L’importanza del discernimento

L'importanza del discernimento

Giudicare le cose con intelligenza, dirittura morale e il modo di pensare di Dio

«Quando vedete una nuvola salire da ponente, subito dite: “Arriva la pioggia”, e così accade. E quando soffia lo scirocco, dite: “Farà caldo”, e così accade. Ipocriti! Sapete valutare l’aspetto della terra e del cielo; come mai questo tempo non sapete valutarlo?». (Dalla liturgia)

«Come mai questo tempo non sapete valutarlo?». È questa la domanda (che suona come un rimprovero) che Gesù rivolge alle folle che lo stavano ad ascoltare. Come mai sapete valutare gli aspetti secondari della vita (come il tempo meteorologico) e invece non siete capaci di giudicare il tempo in cui vivete?

Gesù, con queste parole, ci richiama un altro aspetto della vigilanza: valutare le cose che accadono per essere in grado di decidere ciò che è giusto e ciò che non lo è. In una parola il discernimento.

Non è la semplice osservazione delle cose, degli avvenimenti che accadono. È l’osservazione fatta con lo sguardo di chi riesce a vedere al di là delle apparenze immediate.

Per sapere vedere in questo modo non basta l’intelligenza: occorre anche la dirittura morale di chi si sforza di vivere come piace a Dio e di giudicare le cose secondo il modo di pensare di Dio.

Quando consideriamo la realtà con parametri solamente umani non andiamo lontano. Lo sguardo dell’uomo è miope. Vede poco più in là del proprio naso. Lo sguardo di Dio è ampio e penetrante, e sa dare un giudizio vero su ciò che accade.

Vigilare significa anche sforzarsi di valutare ciò che ci accade con gli occhi di Dio, l’unico che vede le cose, le persone e gli avvenimenti per quello che realmente sono e non per quello che appaiono.

Predicare la Parola di Dio, non la nostra!

Predicare la Parola di Dio, non la nostra!

L’invito esplicito che Gesù diede ai farisei, vale anche per noi

«In quel tempo, il Signore disse: “Guai a voi, che costruite i sepolcri dei profeti, e i vostri padri li hanno uccisi. Così voi testimoniate e approvate le opere dei vostri padri: essi li uccisero e voi costruite.
Per questo la sapienza di Dio ha detto: ‘Manderò loro profeti e apostoli ed essi li uccideranno e perseguiteranno’, perché a questa generazione sia chiesto conto del sangue di tutti i profeti, versato fin dall’inizio del mondo: dal sangue di Abele fino al sangue di Zaccarìa, che fu ucciso tra l’altare e il santuario. Sì, io vi dico, ne sarà chiesto conto a questa generazione.
Guai a voi, dottori della Legge, che avete portato via la chiave della conoscenza; voi non siete entrati, e a quelli che volevano entrare voi l’avete impedito”.
Quando fu uscito di là, gli scribi e i farisei cominciarono a trattarlo in modo ostile e a farlo parlare su molti argomenti, tendendogli insidie, per sorprenderlo in qualche parola uscita dalla sua stessa bocca»
(Dalla Liturgia).

«Guai a voi, dottori della Legge, che avete portato via la chiave della conoscenza; voi non siete entrati, e a quelli che volevano entrare voi l’avete impedito». I rimproveri che in questi giorni leggiamo nei confronti degli scribi e farisei sono rivolti anche a noi. Anche noi, cristiani del XXI secolo, ci macchiamo spesso delle stesse colpe di quegli uomini.

In particolare questa frase sembra diretta a chi ha un compito di insegnamento nella Chiesa: Papa e vescovi certamente, ma anche preti, insegnanti, catechisti, genitori cristiani. Quando chi deve insegnare la fede di Cristo, la dottrina cristiana, insegna qualcosa d’altro, magari solo le proprie idee, quando ripete la frase: «la Chiesa insegna questo, ma io la penso così», non solo impedisce a chi ascolta di giungere a una conoscenza piena, saporosa, efficace della novità cristiana, ma egli stesso rimane privo da quel sapere che genera amore, che diventa modo di pensare e pratica di vita, che fa vivere bene e apre la porta della vita eterna.

Abbiamo la beatitudine tra le nostre mani

Abbiamo la beatitudine tra le nostre mani

Ascoltare la Parola di Dio ci avvicina al “Sì” di Maria

«In quel tempo, mentre Gesù parlava, una donna dalla folla alzò la voce e gli disse: “Beato il grembo che ti ha portato e il seno che ti ha allattato!”.
Ma egli disse: “Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!”»
. (Dalla Liturgia)

Nel brano precedente Gesù aveva appena liberato un ossesso da un demonio.

Una donna del popolo esprime il proprio entusiasmo per Gesù con espressioni tutte femminili. È come se dicesse: «Magari fossi io tua madre!». Gesù non la rimprovera, ma approfitta di questa uscita per portare il suo messaggio: è davvero beato chi ascolta e mette in pratica la parola di Dio.

Ancor prima del legame fisico, anche quello più stretto come quello tra genitori e figli, c’è il legame dell’amore di Dio, che si esprime nell’ascoltare e nel mettere in pratica la sua parola. E attenzione: questa frase di Gesù non intende affatto ridimensionare la figura della sua santissima Madre. Maria infatti, prima ancora di aver concepito Dio nel suo grembo, lo ha accolto nel suo cuore con la fede.

E anzi è proprio perché ha accolto con fede operosa la parola di Dio nel suo cuore, che ha potuto accogliere nel suo grembo il Figlio di Dio.

La pedagogia di Cristo come luce viva

La pedagogia di Cristo come luce viva

Il disegno divino ci viene trasmesso affinché possiamo scegliere con libertà

La Rivelazione si è compiuta con l’avvento di Gesù, unico mediatore e sola via di salvezza.

Attraverso i secoli Dio si è sempre adeguato alla comprensione specifica dell’uomo, il quale ha maturato gli strumenti di comprensione in un cammino di apprendimento calibrato in armonia con le sue sue potenzialità.

Non sempre il messaggio è stato interpretato correttamente, ma ha sempre seguito la logica del pensiero umano predominante.

Siamo passati attraverso periodi che ci hanno indotto a comportamenti che oggi riteniamo inadeguati, ma che hanno sempre rispecchiato la capacità dell’uomo di uniformarsi al messaggio che veniva via via percepito.

È stato e sarà un percorso pedagogico che è inseparabile dalla crescita dell’uomo. Il peccato originale ha segnato il punto più basso dell’incomprensione, e ha causato l’interazione di concetti, di modi di pensare e di impedimenti anche psicologici che hanno allontanato l’uomo da quanto Dio ha pensato per l’umanità.

Alcuni di questi sono al momento almeno apparentemente insuperabili, quali la diffidenza verso il divino e la convinzione-tentazione che induce a ritenerci impermeabili dalla volontà creatrice.

Dio, immerso nella sua visione eterna ha dunque previsto la necessità di una proposta da sottoporre alla nostra scelta. E tutto ciò nel rispetto del vincolo che Egli ha voluto porre come dipendente dalla nostra libertà.

Se ci pensiamo bene, anche il volerci creare liberi è segno della Sua immensa bontà, che ci consente, se vogliamo, addirittura di rifiutarlo. Per chi accetta la proposta di Dio, il percorso non può dunque essere che un cammino di apprendimento.

Ne deriva che uniformarsi alla Parola, cercando di comprenderla senza diffidenza o preconcetti, risulta essere fondamentale. E questo perché il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, hanno previsto le nostre difficoltà, e attraverso un’evoluzione pedagogica ci presentano gli strumenti adatti.

In questo ambito si collocano anche le parole di San Giovanni Paolo II, quando all’esordio del suo pontificato ci esortò a spalancare le porte a Cristo.

Trova spazio dunque anche l’umiltà, che fu caratteristica di tutti i santi. Metterci in discussione e non chiudere le porte al messaggio divino, risulta dunque fondamentale.

In fondo Dio, chiedendoci la Fede, non pretende che noi crediamo per certezza, ma solo per scelta. Una scelta che si poggia sulla credibilità del messaggio. Ci basta dunque ritenere l’insegnamento di Cristo come credibile.

Gesù infatti non aveva Fede, ma certezza, perché è Dio. Ma a noi bastano quelle virtù che provengono da Dio stesso, e che si chiamano perciò teologali: Fede, Speranza e Carità.

Gesù disse che per entrare nel Regno dei Cieli occorre essere come bambini. E noi sappiamo che la forza dei bambini è quella di ritenere credibili il papà e la mamma. Al imbo per essere felice basta la figura del padre e della madre, perché sanno che loro risolveranno ogni problema.

Dunque il nostro rapporto con Dio deve essere quello del bimbo con i genitori, ed è per questo che come bambini potremo entrare nella vita eterna. Ricordiamo: “Lasciate che i pargoli vengano a me”.

Joseph Ratzinger confessò candidamente che per lui il Paradiso è essere come bambini, che non hanno alcun tipo di preoccupazione, perché sono un tutt’uno con il padre e la madre. In loro confidano e in loro si abbandonano.

Il messaggio che il peccato di Adamo e Eva ci rende è quello dello strappo di un uomo e una donna diffidenti verso Dio. Hanno pensato che Dio volesse impedirci di essere sapienti e indipendenti. Ma il corso della storia ci ha insegnato il contrario. Gesù istituì l’Eucarestia per farci capire che Dio vuole che noi siamo in Lui, partecipando con noi in ogni molecola di quel Pane di Vita che è il suo corpo. E per questo fa che il pane consacrato nella memoria del sacrificio di Gesù diventi carne: quella carne vera e viva che fu crocifissa e che risorse.

In questo dunque possiamo vedere nell’Eucarestia un anticipo del Paradiso.

La vocazione del diacono Francesco d’Assisi

La vocazione del diacono Francesco d'Assisi

Il Patrono d’Italia e fondatore dell’Ordine che prese il suo nome, divenne la più umile delle creature

Giovanni di Pietro di Bernardone, meglio conosciuto come San Francesco d’Assisi è riconosciuto come uno dei più grandi, se non addirittura il più grande, tra i santi della cristianità. La sua vita è divenuta un modello e la sua umiltà un esempio.

Nel breve lasso di tempo di circa 45 anni, visse addirittura due vite: una da ricco erede di una famiglia borghese e importante, e un’altra nella più esemplare e rigida umiltà.

Giovanni nacque ad Assisi nel 1181 da Pietro di Bernardone, ricco mercante di stoffe, il quale aveva grandi ambizioni, e aveva portato la sua famiglia ad essere una tra le notabili di Assisi. La madre era madonna Giovanna Pica, una nobile che discendeva da una famiglia della Provenza.

Attorno alla nascita di Giovanni si verificarono alcuni eventi strani. Poco prima della sua nascita un mendicante presentatosi alla porta di casa di Giovanna Pica le preannunciò: « Fra queste mura spunterà presto un sole… ». Al momento del parto, mentre madonna Giovanna si contorceva per le doglie, un altro pellegrino si presentò alla porta e sentenziò che tutto sarebbe andato per il meglio solo se il parto si fosse concluso in una stalla, cosa che avvenne.

Qualche giorno dopo un terzo viandante si aggirò per le strade di Assisi gridando: “Pace e bene!”, ovvero quello che divenne il motto di San Francesco.

Il ragazzo trascorse un’infanzia molto serena, attorniato dai favori della famiglia e della gente, avviato alla professione del padre. Spesso Giovanni si accompagnava con i suoi coetanei, abbandonandosi ai piaceri disponibili a un rampollo di rango elevato.

Nel 1202 Giovanni partecipò alla guerra che vide di fronte Assisi a Perugia, e fu catturato dai nemici, trascorrendo un periodo in carcere. In quel frangente il futuro San Francesco vide stimolata la propria spiritualità. Iniziò a «ripensare» la propria vita, meditando sulle alterne fortune umane. Fu probabilmente in quel periodo che rispose alla domande su quando avrebbe preso moglie con una frase emblematica: «Sì, sposerò la donna più bella e più amabile del mondo », riferendosi a madonna Povertà.

Un giorno Giovanni si trovò in una chiesetta di campagna in cui era esposto il Crocifisso di San Damiano, e fu colpito da un brano del Vangelo che recita: «Non tenere né oro né argento né altra moneta; non borse, non sacchi, non due vesti, non scarpe, non bastone». Il Crocifisso gli parlò con bontà: «Francesco, non vedi che la mia casa sta crollando? Va’ dunque e restauramela».

Giovanni pensò subito che il Cristo si riferisse a quella specifica chiesetta, mentre invece intendeva la Chiesa Universale.

Tutto quanto avvenne successivamente è cosa nota a tutti. Il santo si spogliò di ogni bene paterno, compresi i vestiti, fondò l’Ordine Francescano (ma per umiltà restò diacono (diakonòs = servo). Compì innumerevoli imprese mirabili e miracolose. Fu premiato con la sofferenza delle stigmate. Scrisse opere meravigliose, quali ad esempio il «Laudato sii, o mi Signore», e il «Cantico delle creature». Di dolcezza eccelsa e di profondo contenuto fu la preghiera per Fra’ Leone.

La morte di San Francesco è altrettanto suggestiva. Chiese ai suoi confratelli di appoggiare il suo corpo su una pietra e di spogliarlo completamente, per andare nudo davanti al Signore.

Oggi San Francesco d’Assisi è venerato da praticamente il mondo intero e la sua umiltà ha convinto tutti i viventi. È inoltre simbolo dell’amore per il creato e della custodia della natura. Morì Il 3 ottobre 1226 ad Assisi, e il 4 ottobre si commemora il suo nome. È Patrono d’Italia.