Conosciamo i profeti: Osea

Conosciamo i profeti: Osea

L’infedeltà umana per comprendere la fedeltà di Dio.

Il nome del profeta Osea (הושֵעַ בֶּן-בְּאֵרִי) significa “Dio salva”. Visse nel secolo VIII a.C. e iniziò a predicare prima del 743 a.C. per terminare la sua missione attorno al 721 a.C., come possiamo dedurre dal suo libro, che descrive la caduta di Jehu e la presa di Samaria, come dati limite.

Proveniva dal Regno del Nord, che a quei tempi vedeva sul trono Roboabamo II, mentre al Sud regnava Otsia.

Il tema saliente del suo messaggio è la fedeltà, e ne prende spunto dalla narrazione delle proprie vicende familiari.

Osea sposò infatti una donna infedele, Gomer, che non si ritiene sia stata una prostituta, ma che tradì più volte il marito. La coppia aveva tre figli, a cui Osea diede nomi che rispondevano alle condizioni di Israele a quel tempo: Israel (Dio semina), Ruhamà (non amata), Lohammì (non popolo mio).

Le condizioni del paese versavano infatti in uno stato di benessere diffuso, ma erano evidenti l’oppressione sui deboli, una grande sperequazione sociale e l’ipocrisia istituzionale, praticata anche dalla classe sacerdotale. Il culto era prevalentemente esteriore e svuotato di significato.

Il libro di Osea fu salvato dalla distruzione di Samaria da parte degli Assiri, e venne conservato a Gerusalemme. A noi è giunto comprensivo di aggiunte che furono apposte nei secoli.

Si divide sostanzialmente in tre parti per un totale di 14 capitoli. La prima parte riporta la vita matrimoniale di Osea (cap. da 1 a 3), la seconda il messaggio che intende trasmettere (cap. da 4 a 11), e infine lo sviluppo dei temi.

Il messaggio consiste in brevi oracoli sulla condotta di Re e sacerdoti. Insiste sul verbo šub (ritornare), inteso come ritorno a Dio. Non dobbiamo dimenticare che le successive disgrazie di Israele, equiparate sempre alla colpa e al peccato, comprendevano anche la scelta politica dei governanti di affidarsi alle nazioni straniere, piuttosto che riporre la fiducia in Dio.

I temi ricorrenti sono quello del deserto, delle liti e della liturgia. Sono diffusi anche gli hapax legomena, ovvero espressioni che in ambito delle scritture si trovano esclusivamente in questo testo.

L’infedeltà di Gomer va quindi letta come quella del popolo. Israele, pur amata da Dio, non esita a tradirlo più volte, rivolgendosi anche a idoli e divinità straniere. Da rimarcare che l’antico popolo ebraico, prima di abbracciare il monoteismo, passò dalla monolatrìa (un solo Dio, ammettendo che ce ne siano altri) e dall’enoteismo (culto di un Dio che primeggia su altri).

Allo stesso modo il perdono concesso pazientemente da Osea riporta alla fedeltà di Dio. L’amore non emerge quindi nella sua accezione fisica, ma a livello di forza trasformante. Dio non risponde ai canoni umani: è paziente non per debolezza, ma per affermazione di libertà. Ecco quindi emergere il peccato di sfiducia di Israele, con il re Acaz che si allea con gli Egizi. Acaz viene sconfitto e c’è la caduta del Regno del Nord.

Successivamente anche la Giudea (Regno del Sud) darà prova di scarsa fiducia in Dio. Gli Egizi cercheranno l’alleanza di Ezechia e si avrà una nuova sconfitta. Gerusalemme sarà posta sotto assedio e si salverà solo per un’epidemia che si diffuse tra gli Assiri.

Il primo capitolo del libro di Osea è scritto in terza persona, e gli studiosi ritengono sia frutto dei discepoli. Il terzo capitolo sarebbe invece opera del profeta.

Conosciamo i profeti: Amos, il ruggito di Dio

Conosciamo i profeti: Amos, il ruggito di Dio

Il suo nome, Amosyah, significa “Dio solleva”.

In uno degli articoli precedenti abbiamo trattato della figura dei profeti biblici in generale. Cerchiamo ora di approfondire insieme le biografie e i messaggi teologici che essi hanno lasciato.

Teniamo conto del fatto che i profeti della Bibbia non sono da considerare indovini o veggenti. Una bella definizione la troviamo in Dt 18,18: “Io susciterò loro un profeta in mezzo ai loro fratelli e gli porrò in bocca le mie parole ed egli dirà loro quanto io gli comanderò“. Il profeta quindi, in ambito biblico differisce dalle accezioni comuni: è colui che ascolta la voce di Dio leggendo il passato e interpretando il presente. Il suo scopo è quello di riportare il popolo alla Parola di Dio, affinché non si verifichino conseguenze tragiche.

Amos nacque a Tekoa (Tequ), un villaggio situato tra Gerusalemme e Betlemme. Era un pastore che praticava anche l’arte di incisore di sicomori, e questa sua seconda attività spiega la sua propensione per il nord. È uno dei “profeti minori”, definiti tali non per minore importanza teologica, ma perché di loro abbiamo un numero inferiore di scritti.

Iniziò a profetare presumibilmente nel 760 a.C. circa. Descrive infatti il terremoto che formò la Valle di Ebron, avvenuto proprio in quell’anno.

Di lui sappiamo seppure in modo approssimato, l’anno di morte, che avvenne nel 745 a.C. circa. Si desume quindi che le sue profezie furono pronunciate in un momento in cui al nord regnava Geroboamo II, e al sud Otsia.

Era un periodo di benessere diffuso, anche se si poteva notare un’enorme sperequazione tra i ceti, tale da essere equiparata dal profeta all’idolatria.

Il culto risentiva di atteggiamenti ipocriti, con una religiosità soprattutto esteriore. Erano molti, inoltre, quelli che adoravano divinità straniere, come ad esempio Baàl (= il padrone).

Il messaggio di Amos suonava duro alle orecchie degli israeliti e dei giudei, e valse al profeta l’appellativo di “ruggito di Dio” (utilizzò questo verbo in relazione alla voce di Dio e del leone), e di “profeta di sventura. Tuttavia San Girolamo definì il suo stile inesperto per la presenza di impulsività e veemenza.

Si definiva “incaricato da Dio” e da questo traspare una delle caratteristiche del vero profeta, il quale non è mai auto-referenziale.

Il testo

Alcuni studiosi hanno ritenuto e altri ritengono il testo scritto interamente, o come Schökel in buona parte scritto direttamente da Amos. Tuttavia molti periodi sono incompatibili col periodo storico in cui visse il profeta.

È da rimarcare che nell’antichità la pseudo-epigrafia non era ritenuta un reato, ed era una pratica molto diffusa. Ciò fece sì che i testi antichi potessero essere integrati o approfonditi dai discepoli dell’autore.

Gli inni che si trovano ai capitoli 4, 5 e 9 sono stati certamente aggiunti dai discepoli a scopo liturgico.

Il genere letterario prevalente è quello oracolare. Troviamo però larghe tracce degli stili del paragone e della metafora che sono tipicamente sapienziali, e quindi successivi.

Non possiamo non notare l’utilizzo diffuso di tre verbi, ovvero Yadà, Šub e Daraš, ovvero conoscere, ritornare e cercare, che ci rimandano al messaggio teologico. Abbiamo inoltre un utilizzo notevole di hapax legòmina (termini utilizzati per la prima volta nelle Scritture), e di espressioni idiomatiche.

Amos si concentra sull’oppressione dei deboli, sulle scelte politiche e morali sbagliate dei re nonché sull’ipocrisia, la falsa moralità e il culto

esteriore del popolo. Riassume in queste accezioni la colpa di Israele.

Avverte che l’appartenenza al popolo di Dio non è più sufficiente per la salvezza, e occorre tornare (šub) a Dio attraverso la sua giustizia e misericordia (yadà). Il futuro va edificato sul “resto di Israele”, ovvero su coloro che hanno sempre continuato e continuano a cercare (daraš) Dio.

Il libro è strutturato in modo classico relativamente al profetismo biblico. Contiene infatti:

  1. Introduzione (cap. 1 e 2)
  2. Raccolta di oracoli contro le 7 (numero significativo) nazioni straniere, caratterizzata dalle formule “Così parla il Signore”, “Oracolo del Signore”;
  3. Raccolta di oracoli contro Israele se non si converte. La formula è: “Guai …”;
  4. Conclusione (9,11-15).

Suggestive le visioni di Amos, che il profeta vive senza cadere in estasi (oggi diremmo “trance”):

Cavallette, siccità, armi di minaccia, fine di Israele, crollo del tempio. Su queste disgrazie il profeta disse di aver potuto intervenire presso Dio affinché non avvenissero, ma che nulla aveva potuto fare per le restanti.

A completare il quadro profetico mancavano gli oracoli di salvezza, che furono aggiunti successivamente dai discepoli.

Circa 5 anni dopo la morte di Amos, scomparve Geroboamo II e gli Assiri premettero ai confini. Scoppiò la guerra Siro-Efraimitica tra gli invasori e gli Egizi, e nonostante i consigli di Isaia re Acaz si alleò con gli Egiziani e venne sconfitto. Il Regno del Nord cadde nel 722 a.C.

Successivamente la zona cadde in una crisi economica disastrosa. Re Ezechia, che governava il sud (Giudea), si alleò ancora con gli Egizi, rimediando un’altra sconfitta che portò all’assedio di Gerusalemme. Gli Assiri si ritirarono poi a causa di un’epidemia.

Il pellegrinaggio a Oropa della nostra Confraternita

Il pellegrinaggio a Oropa della nostra Confraternita

Foto gallery

La nostra Confraternita di Santa Caterina si è unita a molte altre confraternite provenienti da ogni parte d’Italia, al pellegrinaggio presso il Santuario della Madonna del Monte, conosciuta ai più come la Madonna di Oropa, o Madonna nera.

In occasione del V centenario dell’Incoronazione della Venerata Statua, i fedeli si sono dati appuntamento al Santuario per un ciclo di festeggiamenti. Si proceduto alla sostituzione della Corona, come avviene ormai tradizionalmente ogni cento anni, con una nuova Incoronazione. Quest’anno era prevista anche l’apposizione di un manto che è composto dalle stoffe offerte dai fedeli di tutto il mondo.

La Parrocchia dei Santi Nazario e Celso di Mendatica è stata rappresentata da una rappresentanza nutrita della nostra Confraternita di Santa Caterina, guidata dal Parroco Don Enrico Giovannini.

Pubblichiamo alcune tra le fotografie scattate per l’occasione.

V centenario dell’Incoronazione della Madonna di Oropa

Madonna di Oropa

Omaggio delle Confraternite

Il coordinamento delle Confraternite piemontesi ha reso noto il programma dell’omaggio delle Confraternite di Piemonte, Liguria e Lombardia, alla Regina del Monte di Oropa, nell’ambito del V centenario dell’Incoronazione della Madonna di Oropa.

Riguardo alla partecipazione delle Confraternite della Valle Arroscia, è stata sorteggiata la Confraternita della Santissima Annunziata di Montegrosso, che quindi parteciperà all’importante evento. La giornata sarà quella di sabato 4 settembre.

Il programma prevede:

Ore 14.30: Accoglienza sul piazzale antistante la Basilica Superiore, con registrazione delle Confraternite partecipanti.

Ore 15.30: Recita del Santo Rosario, presso la Basilica Superiore.

Ore 16.30: Santa Messa celebrata da S. E. Mons. Roberto Farinella, Vescovo di Biella.

Al termine della celebrazione le Confraternite si recheranno singolarmente ai piedi della Madonna di Oropa Incoronata, per un gesto di ringraziamento e di omaggio alla Vergine Bruna.

Ore 18.00: Conclusione.

Tutta la cerimonia sarà improntata sull’osservanza delle norme e disposizioni vigenti Anti Covid.

Si ricorda che secondo le medesime disposizioni non è necessario il green pass per entrare in Chiesa.

Il Profeta, il messaggero che ascolta

Il Profeta, il messaggero che ascolta

La vera funzione del Profeta

Nella convinzione più diffusa prevale l’idea che un profeta sia colui che è in grado di predire il futuro.

In realtà, nell’ambito religioso ebraico e cristiano, il termine si riferisce ad una persona, scelta da Dio, che ascolta la Parola del Padre.

In ebraico il verbo שְׁמַע‎ (shemà=ascoltare) è costitutivo dell’identità di Israele, e permette la relazione con Dio, la quale non si esaurisce con la domanda del fedele. Un esempio significativo nel Nuovo Testamento è San Francesco, il quale seppe ricondurre al Vangelo.

Ecco quindi che avviciniamo un nuovo verbo ebraico importante, ovvero שוב (shub=ritornare), da cui apprendiamo che il profeta è colui che riconduce a Dio.

La voce del profeta diviene più incisiva nei periodi bui del popolo di Dio, e si manifesta quando emergono tre tipologie di situazione, che corrispondono a altrettanti riduzionismi:

  1. L’ascolto si riduce ad un apparato rituale, per esempio quando la Liturgia diviene solo formalismo perdendo il suo significato vero (Farisei).
  2. Chi governa soffoca la vita umana riducendola ad un’ideologia (servilismo del potere).
  3. La voce di Dio è soffocata dal formalismo, perché alla dottrina deve seguire l’amore.

Occorre tenere presente tutte queste cose quando ci si riferisce ai “falsi profeti”. Queste figure sono in effetti coloro che tentano di sviare il progetto di Dio e cercano di allontanare il popolo dal Padre, anche attraverso distrazioni a favore della forma sminuendo la sostanza.

Il cattolico deve tendere a Dio attraverso l’insegnamento di Gesù che privilegiò il messaggio alla forma. Di quest’ultima va conservato solo quanto il Signore ha compiuto in gesti, opere e parole. Affidarsi al Magistero è l’unico modo che abbiamo per seguire correttamente il volere di Dio.

Le eresie: il pericolo del relativismo

Le eresie: il pericolo del relativismo

Ricorrenze nella storia della Chiesa e nelle dissertazioni teologiche

In ogni filosofia, tesi (scientifica o di pensiero), proposta esistenziale, e a maggior ragione anche nelle religioni, il pericolo di fraintendere è altissimo.

Questo aspetto emerge ogni qualvolta vengono proposte teorie che esulano da un contesto generale, o si allontanano da elementi fondanti di un’ideologia o di un semplice pensiero.

Nel caso del Cristianesimo, e nello specifico nel Cattolicesimo, si sono verificati casi di questo tipo in moltissime occasioni. Anche a partire dai primi anni dopo la morte di Cristo.

Al contrario di quanto comunemente si potrebbe pensare, la Chiesa, come istituzione gerarchica, non ha mai trascurato le opposizioni di pensiero. Le ha sempre valutate con attenzione, studio, approfondimenti, e addirittura aprendo dei Sinodi o dei Concilii.

Possiamo suddividere le varie eresie in contrapposizione al Magistero della Chiesa in varie categorie. Due sono però fondamentali, e si suddividono in base agli aspetti teologici o morali.

Una differenza sostanziale

Se nei primi tempi del Cristianesimo prevalsero discussioni che riguardavano ad esempio la Trinità, la natura di Cristo o la continuità con l’Antico Testamento, successivamente ci si affidò soprattutto al giudizio sul comportamento morale dei membri della Chiesa. Passando quindi dall’aspetto teologico a quello comportamentale.

Nel primo caso, inoltre, il dibattito si svolse tra dotti, quasi tutti molto informati sulle Scritture. Le diatribe erano quindi concettuali e avevano alla base dei contenuti teologici. Nel secondo invece si riscontra una diffusione prevalente tra il ceto di cultura media o bassa. Nella fattispecie si tiene prevalentemente conto di aspetti estetici o etico-morali individuali.

Nel corso del secolo XI si avvertì infatti un forte bisogno di recuperare la purezza del Vangelo e del ritorno a una coerenza comportamentale più adeguata. Sorsero infatti molte esigenze e altrettante proposte. Si assistette alla nascita di diversi ordini religiosi che per contenuti sono stati compresi nell’ortodossia cattolica e integrati nella Chiesa.

Con attente valutazioni sono state scartate quindi altre proposte mancanti in modo evidente di questi contenuti.

I motivi di questi rifiuti sono dovuti esclusivamente al fatto che esse si discostavano da elementi fondativi della fede, o a pretese di modifiche che non sono attinenti. La regola di fondo dei Valdesi, per esempio, fu approvata e elogiata da Papa Alessandro III, in quanto votata a povertà e castità. Vi era però la pretesa di predicazione, senza aver dimostrato alcuna competenza nello studio delle Scritture. Al rifiuto in relazione alla funzione predicativa, i Valdesi si staccarono da Roma, e confluirono poi tra i Protestanti, disconoscendo anche i voti di castità.

I fraintendimenti possono quindi essere di varia natura.

Ai nostri giorni assistiamo a un ritorno della esigenza di una purezza evangelica e una richiesta forte di coerenza ai principi di base. La speranza è che non si ripetano gli errori del passato.

Per giudicare o chiedere delle riforme o anche solo per valutare le decisioni del Magistero, occorre competenza specifica. Non basta una generale conoscenza del Vangelo o delle Scritture, senza aver approfondito aspetti teologici e esegetici.

La conoscenza delle Scritture esula infatti dalla sola lettura, in quanto l’interpretazione non dipende solo dal periodo letterario che si legge, ma si lega concettualmente a tutta la Scrittura.

La Bibbia, sia il Vecchio che il Nuovo Testamento, comprende una grande differenza di generi letterari che si incastrano tra essi. La redazione dei primi libri deriva da una scrittura effettuata nel V secolo a.C. sulla base della tradizione orale tramandata da almeno mille anni prima. Spesso questa tradizione affonda le radici nelle prime scintille di spiritualità derivanti dai popoli mesopotamici (non a caso Abramo viene fatto risalire a Ur).

I social trasmettono il disagio di molte persone, ma la prudenza insegna e consiglia che le prese di posizione individuali sono da ritenere altamente pericolose. La historia magistra vitae può essere di aiuto a saggezza e umiltà. Viene richiesta infatti anche ai teologi la prudenza pur nella libertà di espressione delle risultanze dei loro studi. Sarebbe quindi impensabile sostenere che un giudizio superficiale sulle decisioni del Magistero sia attinente alla Verità.

La vita religiosa

La vita religiosa

Dimostra come è possibile vivere pienamente il Vangelo.

La vita religiosa è fondamentale in una comunità cristiana pienamente instaurata. I teologi arrivano a sostenere che una comunità non può dirsi completamente formata se all’interno di essa non è presente un esempio di vita religiosa.

Pur non essendo un Sacramento, ma un patto solenne assunto col Signore attraverso un rito molto suggestivo. Il Magistero ha regolamentato questo stato di vita in modo mirabile, con un’attenzione di prudenza verso chi è intenzionato ad accedervi.

Le suore o i frati, prima della professione solenne e perpetua, osservano un lungo periodo di noviziato e di formazione all’interno dell’Ordine prescelto. Successivamente c’è la pronuncia dei voti provvisori, che solitamente dura tre anni. All’interno di questo periodo, il candidato è tenuto al rispetto pieno dei tre voti di castità, obbedienza e povertà.

Solo dopo aver superato queste fasi, e quindi aver acquisito piena scienza e coscienza del passo che si vuole intraprendere, c’è la pronuncia dei voti perpetui.

Il rito può compiersi in tre diverse modalità, ovvero ad altarem, ad manum o ad ostiam. Nel primo caso il candidato scrive di suo pugno un impegno solenne e lo deposita sull’altare. La professio ad amanum è invece quella che si consegna, e con essa ci si consegna, nelle mani di un abate o di un superiore dell’Ordine che accoglie. C’è infine la professio ad ostiam che è quella pronunciata prima di ricevere l’Eucarestia. Quest’ultima fu introdotta dai Gesuiti ed estesa ora anche ad altri Ordini.

In questo stato di vita si pratica in modo diretto la fraternità e la condivisione dei fratelli all’interno del proprio convento. Nel caso dei Benedettini l’assegnazione ad un luogo può essere anche perenne. In questo caso il monaco resta per tutta la vita nel medesimo convento.

Esistono diverse spiritualità che approcciano i diversi ambiti della fede. Ci sono coloro che esaltano la Passione di Nostro Signore, altri che vivono più intensamente il carisma della carità, altri ancora che privilegiano l’orazione, spesso condivisa con il lavoro manuale, e così via.

Ogni specifica spiritualità però, non è intesa come esclusiva. I religiosi infatti vivono nella pienezza del rispetto evangelico. Questo aspetto evidenzia il fatto che il Vangelo può essere vissuto in modo completo e totale anche in questa vita.

I carismi e voti di castità, obbedienza e povertà hanno molte accezioni, ma tra esse alcune si evidenziano in modo particolare.

La castità indica un totale dono, anche di tutto sé stesso, al Signore. La povertà è l’abbandono totale alla Provvidenza del Signore, la quale non fa mancare ciò che serve. Infine l’obbedienza dovuta ai superiori indica la mitezza di cuore che deve plasmare l’anima del cristiano. Con essa ci si rende disponibili come il grano e i chicchi di grano si offrono mansueti alla trasformazione in pane e vino che saranno corpo e sangue di Gesù. È il simbolo dell’unione trasformante che ci fa figli di Dio e membra del suo corpo.

Pensiamo a queste cose ogni volta che incontriamo un frate o una suora. Pensiamo anche che sono uomini e donne che si sono offerti al Signore, ma che restano mortali e di questo mondo. Un loro eventuale peccato, come i peccati dei laici, non tolgono nulla alla santità della Chiesa (corpo mistico del Cristo), né al concetto dell’offerta della loro vita.

L’angolo del monaco: “Non avete ancora fede?”

L'angolo del monaco: "Non avete ancora fede?"

Tratto dalla pagina Facebook del Monastero di Finalpia

20 Giugno 2021

La frase di questa domenica è: “Non avete ancora fede?”

Sembra facile, ma non lo è. Gli uomini si riempiono la bocca di parole, alcune delle quali sono frutto di esperienze, queste parole hanno i loro segni sulla pelle dell’uomo stesso. E queste parole sono inequivocabili e universalmente comprensibili.
Poi ci sono quelle parole che tutti usano e di cui solo pochissimi, forse, ne hanno un segno, ma la rarità fa apparire tali uomini come statisticamente poco credibili.
Una delle parole, o forse la parola più difficile da comprendere è “fede”. Che cosa vuol dire? San Tommaso d’Aquino sosteneva che essa è la disposizione ad accogliere come vere le informazioni di cui non si ha una conoscenza diretta.
Ma anche essere leali, mantenere la parola data; essa nel Buddismo, per esempio, assomiglia, per certi versi, all’illuminazione.
E ancora, è illuminante la lezione di Sant’Agostino il quale sosteneva che tutte le nostre conoscenze si fondano sulla fede. Infatti solo dopo averle credute come ammissibili esercitiamo su di esse l’attività critica e riflessiva del nostro intelletto (credo ut intelligam) e a sua volta il comprendere aiuta ad interiorizzare, a far proprio ciò che prima avevamo accolto ciecamente con un semplice atto di fede (intelligo ut credam).
Quindi, alla base di ogni nostro pensiero e di ogni nostra azione c’è il processo di fede, che ci aiuta in quella zona spaziotemporale nella quale non abbiamo la certezza della scienza o la certezza di una fede profonda.
Quando Gesù rimprovera i suoi discepoli di non aver “ancora” fede, li accusa di non applicare alle azioni quotidiane quell’idea che, per alcuni, sembra solo fatalistica, ma che per molti è il motore della nostra esistenza.
Anche nell’episodio della pesca miracolosa essi mettono in dubbio la loro fede, vista l’esperienza che avevano fatto. Così ritroviamo lo stesso rimprovero anche nell’Ultima Cena.
Insomma Gesù cerca di educare alla fede i suoi amici che, nella loro ignoranza di uomini del volgo, non sanno cosa rispondere alle “provocazioni” in avanti di quel Rabbi che cerca di dimostrare come la logica della Torah debba essere ribaltata.
Si deve perdonare fino a settanta volte sette, non più occhio per occhio, pregare per i nemici, gli ultimi saranno i primi, sono queste alcune delle “provocazioni” che i discepoli non comprendono, ma sulle quali si basa la nuova dottrina che il Figlio dell’Uomo è venuto ad insegnare agli uomini di buona volontà.
E c’è un passo che ci spiazza tutti quanti, quando Gesù dice “Ma il Figlio dell’Uomo quando verrà, troverà la fede sulla terra?”. È la grande paura di Gesù.
La fede è un movimento totale con il quale l’uomo si consegna al Dio dell’alleanza, appunto, anche contro ogni evidenza, azione che spinge Gesù a essere fedele e a mantenere le sue promesse.
Abramo, chiamato il “Padre dei credenti” ne è il capostipite.
Kierkegaard ci descrive molto bene il movimento con il quale l’uomo sta responsabilmente davanti a Dio.
Così come l’episodio di Giobbe ci dice che la fede deve essere mantenuta contro ogni evidenza perché solo in questo modo si possono vincere le seduzioni del maligno. Infatti ad Auschwitz chi ha vinto sono stati coloro che hanno mantenuto la loro fede, la lucidità della loro sorte contro la barbarie dell’uomo accecato dalla sete di violenza.
Anche oggi, nei diversi teatri di guerra, in Africa, in Medio Oriente, in Asia troviamo resistenti che non si piegano alle violenze del potere.
Pensiamo anche a Martin Luther King e a Gandhi e alla loro lotta di liberazione basandosi solo sulla non violenza.
È da deboli usare la violenza perché vuol dire che la propria fede non è creduta così forte e che quindi c’è bisogno di un supporto di violenza per portare a compimento i nostri disegni.
Per questo oggi da più parti, all’interno della Chiesa, si alza il grido di combattere contro il potere del denaro, contro la sopraffazione della logica del tutto e subito.
La Chiesa non deve aver paura di aprirsi all’altro, di perdere il suo potere temporale o i suoi tesori perché Gesù vuole azzerare tutto il ciarpame che non può essere portato con noi nell’altra vita, non vuole adottare l’uguaglianza valore/tesori, ma vuole che il credente si doti di quei beni che invece costituiscono il segno della fede.
Vince chi soffre per la pesantezza della sua umanità, ma è leggero grazie alla forza della sua spiritualità. Chi cade nel fango del peccato e si rialza è meno sporco di colui che invece si ammanta di abiti lussuosi e che usa passerelle per non farsi sporcare dal fango del prossimo.
Il mio invito oggi è quello di avere fede, soprattutto nelle tempeste della vita, nelle cadute dentro ai nostri peccati abituali, perché maggiore è la gioia quando riusciamo a rialzarci.
Avere la fede di chi sta seduto nei primi banchi e non si gira indietro a guardare la sozzura del mondo ed è poco propenso a sporcarsi le mani, beh quelli Gesù dice che sono come il fariseo che guardava con superiorità il pubblicano.
Il penitente fedele è colui che anche se si abbassa si erge come il più alto dei monti, se anche si impoverisce acquista maggior ricchezza di Creso. Chiediamo alla Madonna di Pia la ricchezza del cuore, che quella del conto in banca è inutile.

Monastero di Finalpia

Nella foto l’interno della Cappella

Il cammino della Chiesa

Il cammino della Chiesa

La Chiesa come Gesù la vuole

Nel corso della Storia la concezione che i fedeli hanno avuto della Chiesa è cambiato a seconda della cultura e delle tendenze dominanti.

La Chiesa Personalizzata simbolicamente

La prima Chiesa intesa come aggregazione di fedeli fu quella nata spontaneamente al momento dell’uscita di Pietro dal cenacolo a Pentecoste. Una Chiesa eroica, che affrontò ben presto le persecuzioni.

Ne nacque ben presto un modello di Chiesa che gli studiosi chiamano “Personalizzata simbolicamente”.

Era una Chiesa in relazione frontale con Gesù, come in un rapporto di coppia. Fu tipica della Patristica e dell’Alto Medioevo. I primi Padri infatti si affidarono alle Scritture e ne sortì una sua visione come di una vergine o di una fidanzata, e poi di una sposa e madre dei viventi.

C’era già una nozione del corpo mistico di Cristo, che è il capo, e delle sue membra.

La Chiesa Pietrificata

Con l’editto di Costantino e quello di Teodosio, il Cristianesimo divenne religione di Stato. Presto la situazione si capovolse, e ad essere perseguitati finirono i non cristiani.

La Chiesa crebbe in potere anche in ambito civile, in un mondo conosciuto che era praticamente tutto cristiano.

Il potere, divenuto poi anche temporale, sfociò nelle lotte con l’imperatore. L’aspetto mistico si allontanò notevolmente da quello giuridico.

Intervenne a questo punto la rottura con la Riforma, che piazzò un grave colpo ai danni dei Sacramenti, cui seguì la Controriforma nel tentativo di recuperare gli aspetti spirituali.

Il risultato fu un’immagine di Chiesa esclusivamente vista come aspetto gerarchico. La stessa che per disinformazione ci portiamo dietro ancora oggi.

La Chiesa Comunicante

Fu necessario che trascorressero 400 anni per arrivare a una correzione di questa impostazione. E ciò avvenne col Concilio Vaticano II.

Venne recuperata la storicità e il concetto di base nella domanda di come deve essere la Chiesa voluta da Gesù.

Una Chiesa che si impegna nella comunione tra Dio e il suo popolo: uomini e donne in cammino verso il Regno di Dio. Un popolo pellegrinante fatto di fratelli e sorelle in Cristo.

Questo tipo di partecipazione al pellegrinaggio verso la Gerusalemme celeste, infatti, non può escludere la fratellanza. E con essa emerge la coerenza nell’attenzione verso i poveri in accezione teologica. Ogni tipo di povertà: economica, morale o spirituale.

Solo in questo modo la Chiesa può essere ciò che è la sua vocazione e la sua ragione d’essere: Sacramento universale di Salvezza. Una Chiesa oggetto di fede ( “Credo LA Chiesa”), ma anche soggetto di fede: noi crediamo grazie alla Chiesa.

Non è quindi concepibile un cristiano che viva la fede individualmente.

Una, Santa, Cattolica, Apostolica: la Chiesa è Madre

Una, Santa, Cattolica, Apostolica: la Chiesa è Madre

Già Ireneo di Lione si preoccupava di difenderla dalle eresie

Le caratteristiche principali della Chiesa Cattolica sanciscono la sua unità, la sua santità, l’universalità e l’apostolicità.

Una perché corpo mistico del Signore, che si compone di un capo e delle sue membra che svolgono funzioni e cercano di conformarsi in esso. Santa perché voluta da colui che è il tre volte Santo. Cattolica perché cerca l’unità di tutto il genere umano nella fratellanza e nella comunione. E Apostolica perché fedele alla tradizione che ci è stata trasmessa dagli Apostoli.

Il termine apostolo deriva dall’aramaico saliah (שליח), che sarebbe il plenipotenziario, ma che in greco venne tradotto Apostolòs (απόστολος), ovvero inviato.

Sappiamo che la fede cattolica ritiene conclusa la Rivelazione Divina con la morte dell’ultimo testimone oculare attivo, ovvero l’ultimo degli Apostoli, Giovanni. Nulla si può aggiungere, e occorre solo cercare di capire, restando fedeli a ciò che ci è stato trasmesso.

Esistono parti immutabili, che nessuno e quindi neppure la Chiesa, può cambiare. Sono le disposizioni divine ricevute ai tempi di Gesù. Tutto il resto Nostro Signore lo ha demandato alla Chiesa. A lei spetta il deposito e la trasmissione della fede, secondo i mezzi appropriati a seconda dei tempi e dei luoghi.

Le interpretazioni che sono dettate dalle mode, da mentalità, da inclinazioni o da sensazioni di persone o culture, spesso sono anche inconsapevolmente contrarie o lontane dalla Dottrina. Sono le cosiddette eresie.

Per difendere la Fede da esse, già Ireneo da Lione nel corso del II secolo d.C. formulò una logica che aiutasse a distinguere e discernere cosa fosse giusto e canonico. Al primo posto mise proprio la Apostolicità.

Le Note Ecclesiali

Si entra quindi nel contesto della grande revisione fatta nel secolo scorso, che culminò con il Concilio Vaticano II. Giovanni XXIII prima, e Paolo VI dopo, hanno rilanciato quelle che sono chiamate “Note Ecclesiali”, ovvero queste quattro caratteristiche.

Spesso si sente, anche tra alcuni cattolici, qualche mormorazione nei confronti di decisioni prese da uno piuttosto che da un altro Papa. Va considerato che a fronte di ogni più piccola affermazione di un Pontefice stanno studi e approfondimenti che verificano l’attinenza alle Sacre Scritture e alla Sacra Tradizione, che appunto è quella apostolica.

Le Note Ecclesiali sono il programma genetico della Chiesa nel suo divenire, e la continua riforma della Chiesa (Ecclesia semper riformanda) porterà alla realizzazione del Regno di Dio. Esse sono legate tra loro come dei vasi comunicanti e si nutrono dell’intervento dello Spirito Santo che guida verso la loro realizzazione.

Ecco perché la Chiesa va conosciuta e amata, come recita il titolo di un bellissimo libro di Giuseppe Militello: “Questa Chiesa da amare e conoscere”.

Come allora interpretare il male all’interno della Chiesa?

Sant’Agostino scrisse che essa è corpus permixtum (corpo frammisto): insieme al grano vi cresce la zizzania. La Chiesa dei Giusti avrà la sua manifestazione quando Dio vorrà. Occorre quindi distinguere la santità della Chiesa da quella dei suoi membri, i quali possono anche essere peccatori.

Il baluardo e la garanzia risiedono nella fedeltà al Papa, unico successore di uno specifico Apostolo, ovvero di quel Simon-Pietro a cui Nostro Signore affidò le chiavi del Regno dei Cieli.

Questo gesto afferma più di ogni altra cosa che la Chiesa ha nelle sue mani le chiavi della Salvezza. Il Papa, Vicario di Cristo, rende visibile Cristo mediatore. E le porte degli inferi non prevarranno.