Il pellegrinaggio a Oropa della nostra Confraternita

Il pellegrinaggio a Oropa della nostra Confraternita

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La nostra Confraternita di Santa Caterina si è unita a molte altre confraternite provenienti da ogni parte d’Italia, al pellegrinaggio presso il Santuario della Madonna del Monte, conosciuta ai più come la Madonna di Oropa, o Madonna nera.

In occasione del V centenario dell’Incoronazione della Venerata Statua, i fedeli si sono dati appuntamento al Santuario per un ciclo di festeggiamenti. Si proceduto alla sostituzione della Corona, come avviene ormai tradizionalmente ogni cento anni, con una nuova Incoronazione. Quest’anno era prevista anche l’apposizione di un manto che è composto dalle stoffe offerte dai fedeli di tutto il mondo.

La Parrocchia dei Santi Nazario e Celso di Mendatica è stata rappresentata da una rappresentanza nutrita della nostra Confraternita di Santa Caterina, guidata dal Parroco Don Enrico Giovannini.

Pubblichiamo alcune tra le fotografie scattate per l’occasione.

V centenario dell’Incoronazione della Madonna di Oropa

Madonna di Oropa

Omaggio delle Confraternite

Il coordinamento delle Confraternite piemontesi ha reso noto il programma dell’omaggio delle Confraternite di Piemonte, Liguria e Lombardia, alla Regina del Monte di Oropa, nell’ambito del V centenario dell’Incoronazione della Madonna di Oropa.

Riguardo alla partecipazione delle Confraternite della Valle Arroscia, è stata sorteggiata la Confraternita della Santissima Annunziata di Montegrosso, che quindi parteciperà all’importante evento. La giornata sarà quella di sabato 4 settembre.

Il programma prevede:

Ore 14.30: Accoglienza sul piazzale antistante la Basilica Superiore, con registrazione delle Confraternite partecipanti.

Ore 15.30: Recita del Santo Rosario, presso la Basilica Superiore.

Ore 16.30: Santa Messa celebrata da S. E. Mons. Roberto Farinella, Vescovo di Biella.

Al termine della celebrazione le Confraternite si recheranno singolarmente ai piedi della Madonna di Oropa Incoronata, per un gesto di ringraziamento e di omaggio alla Vergine Bruna.

Ore 18.00: Conclusione.

Tutta la cerimonia sarà improntata sull’osservanza delle norme e disposizioni vigenti Anti Covid.

Si ricorda che secondo le medesime disposizioni non è necessario il green pass per entrare in Chiesa.

Il Profeta, il messaggero che ascolta

Il Profeta, il messaggero che ascolta

La vera funzione del Profeta

Nella convinzione più diffusa prevale l’idea che un profeta sia colui che è in grado di predire il futuro.

In realtà, nell’ambito religioso ebraico e cristiano, il termine si riferisce ad una persona, scelta da Dio, che ascolta la Parola del Padre.

In ebraico il verbo שְׁמַע‎ (shemà=ascoltare) è costitutivo dell’identità di Israele, e permette la relazione con Dio, la quale non si esaurisce con la domanda del fedele. Un esempio significativo nel Nuovo Testamento è San Francesco, il quale seppe ricondurre al Vangelo.

Ecco quindi che avviciniamo un nuovo verbo ebraico importante, ovvero שוב (shub=ritornare), da cui apprendiamo che il profeta è colui che riconduce a Dio.

La voce del profeta diviene più incisiva nei periodi bui del popolo di Dio, e si manifesta quando emergono tre tipologie di situazione, che corrispondono a altrettanti riduzionismi:

  1. L’ascolto si riduce ad un apparato rituale, per esempio quando la Liturgia diviene solo formalismo perdendo il suo significato vero (Farisei).
  2. Chi governa soffoca la vita umana riducendola ad un’ideologia (servilismo del potere).
  3. La voce di Dio è soffocata dal formalismo, perché alla dottrina deve seguire l’amore.

Occorre tenere presente tutte queste cose quando ci si riferisce ai “falsi profeti”. Queste figure sono in effetti coloro che tentano di sviare il progetto di Dio e cercano di allontanare il popolo dal Padre, anche attraverso distrazioni a favore della forma sminuendo la sostanza.

Il cattolico deve tendere a Dio attraverso l’insegnamento di Gesù che privilegiò il messaggio alla forma. Di quest’ultima va conservato solo quanto il Signore ha compiuto in gesti, opere e parole. Affidarsi al Magistero è l’unico modo che abbiamo per seguire correttamente il volere di Dio.

Le eresie: il pericolo del relativismo

Le eresie: il pericolo del relativismo

Ricorrenze nella storia della Chiesa e nelle dissertazioni teologiche

In ogni filosofia, tesi (scientifica o di pensiero), proposta esistenziale, e a maggior ragione anche nelle religioni, il pericolo di fraintendere è altissimo.

Questo aspetto emerge ogni qualvolta vengono proposte teorie che esulano da un contesto generale, o si allontanano da elementi fondanti di un’ideologia o di un semplice pensiero.

Nel caso del Cristianesimo, e nello specifico nel Cattolicesimo, si sono verificati casi di questo tipo in moltissime occasioni. Anche a partire dai primi anni dopo la morte di Cristo.

Al contrario di quanto comunemente si potrebbe pensare, la Chiesa, come istituzione gerarchica, non ha mai trascurato le opposizioni di pensiero. Le ha sempre valutate con attenzione, studio, approfondimenti, e addirittura aprendo dei Sinodi o dei Concilii.

Possiamo suddividere le varie eresie in contrapposizione al Magistero della Chiesa in varie categorie. Due sono però fondamentali, e si suddividono in base agli aspetti teologici o morali.

Una differenza sostanziale

Se nei primi tempi del Cristianesimo prevalsero discussioni che riguardavano ad esempio la Trinità, la natura di Cristo o la continuità con l’Antico Testamento, successivamente ci si affidò soprattutto al giudizio sul comportamento morale dei membri della Chiesa. Passando quindi dall’aspetto teologico a quello comportamentale.

Nel primo caso, inoltre, il dibattito si svolse tra dotti, quasi tutti molto informati sulle Scritture. Le diatribe erano quindi concettuali e avevano alla base dei contenuti teologici. Nel secondo invece si riscontra una diffusione prevalente tra il ceto di cultura media o bassa. Nella fattispecie si tiene prevalentemente conto di aspetti estetici o etico-morali individuali.

Nel corso del secolo XI si avvertì infatti un forte bisogno di recuperare la purezza del Vangelo e del ritorno a una coerenza comportamentale più adeguata. Sorsero infatti molte esigenze e altrettante proposte. Si assistette alla nascita di diversi ordini religiosi che per contenuti sono stati compresi nell’ortodossia cattolica e integrati nella Chiesa.

Con attente valutazioni sono state scartate quindi altre proposte mancanti in modo evidente di questi contenuti.

I motivi di questi rifiuti sono dovuti esclusivamente al fatto che esse si discostavano da elementi fondativi della fede, o a pretese di modifiche che non sono attinenti. La regola di fondo dei Valdesi, per esempio, fu approvata e elogiata da Papa Alessandro III, in quanto votata a povertà e castità. Vi era però la pretesa di predicazione, senza aver dimostrato alcuna competenza nello studio delle Scritture. Al rifiuto in relazione alla funzione predicativa, i Valdesi si staccarono da Roma, e confluirono poi tra i Protestanti, disconoscendo anche i voti di castità.

I fraintendimenti possono quindi essere di varia natura.

Ai nostri giorni assistiamo a un ritorno della esigenza di una purezza evangelica e una richiesta forte di coerenza ai principi di base. La speranza è che non si ripetano gli errori del passato.

Per giudicare o chiedere delle riforme o anche solo per valutare le decisioni del Magistero, occorre competenza specifica. Non basta una generale conoscenza del Vangelo o delle Scritture, senza aver approfondito aspetti teologici e esegetici.

La conoscenza delle Scritture esula infatti dalla sola lettura, in quanto l’interpretazione non dipende solo dal periodo letterario che si legge, ma si lega concettualmente a tutta la Scrittura.

La Bibbia, sia il Vecchio che il Nuovo Testamento, comprende una grande differenza di generi letterari che si incastrano tra essi. La redazione dei primi libri deriva da una scrittura effettuata nel V secolo a.C. sulla base della tradizione orale tramandata da almeno mille anni prima. Spesso questa tradizione affonda le radici nelle prime scintille di spiritualità derivanti dai popoli mesopotamici (non a caso Abramo viene fatto risalire a Ur).

I social trasmettono il disagio di molte persone, ma la prudenza insegna e consiglia che le prese di posizione individuali sono da ritenere altamente pericolose. La historia magistra vitae può essere di aiuto a saggezza e umiltà. Viene richiesta infatti anche ai teologi la prudenza pur nella libertà di espressione delle risultanze dei loro studi. Sarebbe quindi impensabile sostenere che un giudizio superficiale sulle decisioni del Magistero sia attinente alla Verità.

La vita religiosa

La vita religiosa

Dimostra come è possibile vivere pienamente il Vangelo.

La vita religiosa è fondamentale in una comunità cristiana pienamente instaurata. I teologi arrivano a sostenere che una comunità non può dirsi completamente formata se all’interno di essa non è presente un esempio di vita religiosa.

Pur non essendo un Sacramento, ma un patto solenne assunto col Signore attraverso un rito molto suggestivo. Il Magistero ha regolamentato questo stato di vita in modo mirabile, con un’attenzione di prudenza verso chi è intenzionato ad accedervi.

Le suore o i frati, prima della professione solenne e perpetua, osservano un lungo periodo di noviziato e di formazione all’interno dell’Ordine prescelto. Successivamente c’è la pronuncia dei voti provvisori, che solitamente dura tre anni. All’interno di questo periodo, il candidato è tenuto al rispetto pieno dei tre voti di castità, obbedienza e povertà.

Solo dopo aver superato queste fasi, e quindi aver acquisito piena scienza e coscienza del passo che si vuole intraprendere, c’è la pronuncia dei voti perpetui.

Il rito può compiersi in tre diverse modalità, ovvero ad altarem, ad manum o ad ostiam. Nel primo caso il candidato scrive di suo pugno un impegno solenne e lo deposita sull’altare. La professio ad amanum è invece quella che si consegna, e con essa ci si consegna, nelle mani di un abate o di un superiore dell’Ordine che accoglie. C’è infine la professio ad ostiam che è quella pronunciata prima di ricevere l’Eucarestia. Quest’ultima fu introdotta dai Gesuiti ed estesa ora anche ad altri Ordini.

In questo stato di vita si pratica in modo diretto la fraternità e la condivisione dei fratelli all’interno del proprio convento. Nel caso dei Benedettini l’assegnazione ad un luogo può essere anche perenne. In questo caso il monaco resta per tutta la vita nel medesimo convento.

Esistono diverse spiritualità che approcciano i diversi ambiti della fede. Ci sono coloro che esaltano la Passione di Nostro Signore, altri che vivono più intensamente il carisma della carità, altri ancora che privilegiano l’orazione, spesso condivisa con il lavoro manuale, e così via.

Ogni specifica spiritualità però, non è intesa come esclusiva. I religiosi infatti vivono nella pienezza del rispetto evangelico. Questo aspetto evidenzia il fatto che il Vangelo può essere vissuto in modo completo e totale anche in questa vita.

I carismi e voti di castità, obbedienza e povertà hanno molte accezioni, ma tra esse alcune si evidenziano in modo particolare.

La castità indica un totale dono, anche di tutto sé stesso, al Signore. La povertà è l’abbandono totale alla Provvidenza del Signore, la quale non fa mancare ciò che serve. Infine l’obbedienza dovuta ai superiori indica la mitezza di cuore che deve plasmare l’anima del cristiano. Con essa ci si rende disponibili come il grano e i chicchi di grano si offrono mansueti alla trasformazione in pane e vino che saranno corpo e sangue di Gesù. È il simbolo dell’unione trasformante che ci fa figli di Dio e membra del suo corpo.

Pensiamo a queste cose ogni volta che incontriamo un frate o una suora. Pensiamo anche che sono uomini e donne che si sono offerti al Signore, ma che restano mortali e di questo mondo. Un loro eventuale peccato, come i peccati dei laici, non tolgono nulla alla santità della Chiesa (corpo mistico del Cristo), né al concetto dell’offerta della loro vita.

L’angolo del monaco: “Non avete ancora fede?”

L'angolo del monaco: "Non avete ancora fede?"

Tratto dalla pagina Facebook del Monastero di Finalpia

20 Giugno 2021

La frase di questa domenica è: “Non avete ancora fede?”

Sembra facile, ma non lo è. Gli uomini si riempiono la bocca di parole, alcune delle quali sono frutto di esperienze, queste parole hanno i loro segni sulla pelle dell’uomo stesso. E queste parole sono inequivocabili e universalmente comprensibili.
Poi ci sono quelle parole che tutti usano e di cui solo pochissimi, forse, ne hanno un segno, ma la rarità fa apparire tali uomini come statisticamente poco credibili.
Una delle parole, o forse la parola più difficile da comprendere è “fede”. Che cosa vuol dire? San Tommaso d’Aquino sosteneva che essa è la disposizione ad accogliere come vere le informazioni di cui non si ha una conoscenza diretta.
Ma anche essere leali, mantenere la parola data; essa nel Buddismo, per esempio, assomiglia, per certi versi, all’illuminazione.
E ancora, è illuminante la lezione di Sant’Agostino il quale sosteneva che tutte le nostre conoscenze si fondano sulla fede. Infatti solo dopo averle credute come ammissibili esercitiamo su di esse l’attività critica e riflessiva del nostro intelletto (credo ut intelligam) e a sua volta il comprendere aiuta ad interiorizzare, a far proprio ciò che prima avevamo accolto ciecamente con un semplice atto di fede (intelligo ut credam).
Quindi, alla base di ogni nostro pensiero e di ogni nostra azione c’è il processo di fede, che ci aiuta in quella zona spaziotemporale nella quale non abbiamo la certezza della scienza o la certezza di una fede profonda.
Quando Gesù rimprovera i suoi discepoli di non aver “ancora” fede, li accusa di non applicare alle azioni quotidiane quell’idea che, per alcuni, sembra solo fatalistica, ma che per molti è il motore della nostra esistenza.
Anche nell’episodio della pesca miracolosa essi mettono in dubbio la loro fede, vista l’esperienza che avevano fatto. Così ritroviamo lo stesso rimprovero anche nell’Ultima Cena.
Insomma Gesù cerca di educare alla fede i suoi amici che, nella loro ignoranza di uomini del volgo, non sanno cosa rispondere alle “provocazioni” in avanti di quel Rabbi che cerca di dimostrare come la logica della Torah debba essere ribaltata.
Si deve perdonare fino a settanta volte sette, non più occhio per occhio, pregare per i nemici, gli ultimi saranno i primi, sono queste alcune delle “provocazioni” che i discepoli non comprendono, ma sulle quali si basa la nuova dottrina che il Figlio dell’Uomo è venuto ad insegnare agli uomini di buona volontà.
E c’è un passo che ci spiazza tutti quanti, quando Gesù dice “Ma il Figlio dell’Uomo quando verrà, troverà la fede sulla terra?”. È la grande paura di Gesù.
La fede è un movimento totale con il quale l’uomo si consegna al Dio dell’alleanza, appunto, anche contro ogni evidenza, azione che spinge Gesù a essere fedele e a mantenere le sue promesse.
Abramo, chiamato il “Padre dei credenti” ne è il capostipite.
Kierkegaard ci descrive molto bene il movimento con il quale l’uomo sta responsabilmente davanti a Dio.
Così come l’episodio di Giobbe ci dice che la fede deve essere mantenuta contro ogni evidenza perché solo in questo modo si possono vincere le seduzioni del maligno. Infatti ad Auschwitz chi ha vinto sono stati coloro che hanno mantenuto la loro fede, la lucidità della loro sorte contro la barbarie dell’uomo accecato dalla sete di violenza.
Anche oggi, nei diversi teatri di guerra, in Africa, in Medio Oriente, in Asia troviamo resistenti che non si piegano alle violenze del potere.
Pensiamo anche a Martin Luther King e a Gandhi e alla loro lotta di liberazione basandosi solo sulla non violenza.
È da deboli usare la violenza perché vuol dire che la propria fede non è creduta così forte e che quindi c’è bisogno di un supporto di violenza per portare a compimento i nostri disegni.
Per questo oggi da più parti, all’interno della Chiesa, si alza il grido di combattere contro il potere del denaro, contro la sopraffazione della logica del tutto e subito.
La Chiesa non deve aver paura di aprirsi all’altro, di perdere il suo potere temporale o i suoi tesori perché Gesù vuole azzerare tutto il ciarpame che non può essere portato con noi nell’altra vita, non vuole adottare l’uguaglianza valore/tesori, ma vuole che il credente si doti di quei beni che invece costituiscono il segno della fede.
Vince chi soffre per la pesantezza della sua umanità, ma è leggero grazie alla forza della sua spiritualità. Chi cade nel fango del peccato e si rialza è meno sporco di colui che invece si ammanta di abiti lussuosi e che usa passerelle per non farsi sporcare dal fango del prossimo.
Il mio invito oggi è quello di avere fede, soprattutto nelle tempeste della vita, nelle cadute dentro ai nostri peccati abituali, perché maggiore è la gioia quando riusciamo a rialzarci.
Avere la fede di chi sta seduto nei primi banchi e non si gira indietro a guardare la sozzura del mondo ed è poco propenso a sporcarsi le mani, beh quelli Gesù dice che sono come il fariseo che guardava con superiorità il pubblicano.
Il penitente fedele è colui che anche se si abbassa si erge come il più alto dei monti, se anche si impoverisce acquista maggior ricchezza di Creso. Chiediamo alla Madonna di Pia la ricchezza del cuore, che quella del conto in banca è inutile.

Monastero di Finalpia

Nella foto l’interno della Cappella

Il cammino della Chiesa

Il cammino della Chiesa

La Chiesa come Gesù la vuole

Nel corso della Storia la concezione che i fedeli hanno avuto della Chiesa è cambiato a seconda della cultura e delle tendenze dominanti.

La Chiesa Personalizzata simbolicamente

La prima Chiesa intesa come aggregazione di fedeli fu quella nata spontaneamente al momento dell’uscita di Pietro dal cenacolo a Pentecoste. Una Chiesa eroica, che affrontò ben presto le persecuzioni.

Ne nacque ben presto un modello di Chiesa che gli studiosi chiamano “Personalizzata simbolicamente”.

Era una Chiesa in relazione frontale con Gesù, come in un rapporto di coppia. Fu tipica della Patristica e dell’Alto Medioevo. I primi Padri infatti si affidarono alle Scritture e ne sortì una sua visione come di una vergine o di una fidanzata, e poi di una sposa e madre dei viventi.

C’era già una nozione del corpo mistico di Cristo, che è il capo, e delle sue membra.

La Chiesa Pietrificata

Con l’editto di Costantino e quello di Teodosio, il Cristianesimo divenne religione di Stato. Presto la situazione si capovolse, e ad essere perseguitati finirono i non cristiani.

La Chiesa crebbe in potere anche in ambito civile, in un mondo conosciuto che era praticamente tutto cristiano.

Il potere, divenuto poi anche temporale, sfociò nelle lotte con l’imperatore. L’aspetto mistico si allontanò notevolmente da quello giuridico.

Intervenne a questo punto la rottura con la Riforma, che piazzò un grave colpo ai danni dei Sacramenti, cui seguì la Controriforma nel tentativo di recuperare gli aspetti spirituali.

Il risultato fu un’immagine di Chiesa esclusivamente vista come aspetto gerarchico. La stessa che per disinformazione ci portiamo dietro ancora oggi.

La Chiesa Comunicante

Fu necessario che trascorressero 400 anni per arrivare a una correzione di questa impostazione. E ciò avvenne col Concilio Vaticano II.

Venne recuperata la storicità e il concetto di base nella domanda di come deve essere la Chiesa voluta da Gesù.

Una Chiesa che si impegna nella comunione tra Dio e il suo popolo: uomini e donne in cammino verso il Regno di Dio. Un popolo pellegrinante fatto di fratelli e sorelle in Cristo.

Questo tipo di partecipazione al pellegrinaggio verso la Gerusalemme celeste, infatti, non può escludere la fratellanza. E con essa emerge la coerenza nell’attenzione verso i poveri in accezione teologica. Ogni tipo di povertà: economica, morale o spirituale.

Solo in questo modo la Chiesa può essere ciò che è la sua vocazione e la sua ragione d’essere: Sacramento universale di Salvezza. Una Chiesa oggetto di fede ( “Credo LA Chiesa”), ma anche soggetto di fede: noi crediamo grazie alla Chiesa.

Non è quindi concepibile un cristiano che viva la fede individualmente.

Una, Santa, Cattolica, Apostolica: la Chiesa è Madre

Una, Santa, Cattolica, Apostolica: la Chiesa è Madre

Già Ireneo di Lione si preoccupava di difenderla dalle eresie

Le caratteristiche principali della Chiesa Cattolica sanciscono la sua unità, la sua santità, l’universalità e l’apostolicità.

Una perché corpo mistico del Signore, che si compone di un capo e delle sue membra che svolgono funzioni e cercano di conformarsi in esso. Santa perché voluta da colui che è il tre volte Santo. Cattolica perché cerca l’unità di tutto il genere umano nella fratellanza e nella comunione. E Apostolica perché fedele alla tradizione che ci è stata trasmessa dagli Apostoli.

Il termine apostolo deriva dall’aramaico saliah (שליח), che sarebbe il plenipotenziario, ma che in greco venne tradotto Apostolòs (απόστολος), ovvero inviato.

Sappiamo che la fede cattolica ritiene conclusa la Rivelazione Divina con la morte dell’ultimo testimone oculare attivo, ovvero l’ultimo degli Apostoli, Giovanni. Nulla si può aggiungere, e occorre solo cercare di capire, restando fedeli a ciò che ci è stato trasmesso.

Esistono parti immutabili, che nessuno e quindi neppure la Chiesa, può cambiare. Sono le disposizioni divine ricevute ai tempi di Gesù. Tutto il resto Nostro Signore lo ha demandato alla Chiesa. A lei spetta il deposito e la trasmissione della fede, secondo i mezzi appropriati a seconda dei tempi e dei luoghi.

Le interpretazioni che sono dettate dalle mode, da mentalità, da inclinazioni o da sensazioni di persone o culture, spesso sono anche inconsapevolmente contrarie o lontane dalla Dottrina. Sono le cosiddette eresie.

Per difendere la Fede da esse, già Ireneo da Lione nel corso del II secolo d.C. formulò una logica che aiutasse a distinguere e discernere cosa fosse giusto e canonico. Al primo posto mise proprio la Apostolicità.

Le Note Ecclesiali

Si entra quindi nel contesto della grande revisione fatta nel secolo scorso, che culminò con il Concilio Vaticano II. Giovanni XXIII prima, e Paolo VI dopo, hanno rilanciato quelle che sono chiamate “Note Ecclesiali”, ovvero queste quattro caratteristiche.

Spesso si sente, anche tra alcuni cattolici, qualche mormorazione nei confronti di decisioni prese da uno piuttosto che da un altro Papa. Va considerato che a fronte di ogni più piccola affermazione di un Pontefice stanno studi e approfondimenti che verificano l’attinenza alle Sacre Scritture e alla Sacra Tradizione, che appunto è quella apostolica.

Le Note Ecclesiali sono il programma genetico della Chiesa nel suo divenire, e la continua riforma della Chiesa (Ecclesia semper riformanda) porterà alla realizzazione del Regno di Dio. Esse sono legate tra loro come dei vasi comunicanti e si nutrono dell’intervento dello Spirito Santo che guida verso la loro realizzazione.

Ecco perché la Chiesa va conosciuta e amata, come recita il titolo di un bellissimo libro di Giuseppe Militello: “Questa Chiesa da amare e conoscere”.

Come allora interpretare il male all’interno della Chiesa?

Sant’Agostino scrisse che essa è corpus permixtum (corpo frammisto): insieme al grano vi cresce la zizzania. La Chiesa dei Giusti avrà la sua manifestazione quando Dio vorrà. Occorre quindi distinguere la santità della Chiesa da quella dei suoi membri, i quali possono anche essere peccatori.

Il baluardo e la garanzia risiedono nella fedeltà al Papa, unico successore di uno specifico Apostolo, ovvero di quel Simon-Pietro a cui Nostro Signore affidò le chiavi del Regno dei Cieli.

Questo gesto afferma più di ogni altra cosa che la Chiesa ha nelle sue mani le chiavi della Salvezza. Il Papa, Vicario di Cristo, rende visibile Cristo mediatore. E le porte degli inferi non prevarranno.

La partecipazione attiva del popolo all’Eucarestia

La partecipazione attiva del popolo all'Eucarestia

Come il Concilio Vaticano II è intervenuto

Nei primi anni del Cristianesimo la partecipazione del popolo all’Eucarestia era spontanea e intrepida. Nonostante le persecuzioni che si susseguivano in modo ricorrente, e i rischi derivanti, i Cristiani si riunivano costantemente.

L’Eucarestia fu il primo rito adottato, e veniva celebrato nelle case private, con un banchetto al termine del quale si ripetevano i gesti di Gesù nell’ultima cena, e venivano distribuiti pane e vino.

Con Costantino e Teodosio la religione cristiana fu non solo ammessa, ma successivamente elevata a religione di Stato. Furono costruiti gli edifici di culto, a modello delle basiliche civili, ovvero come luoghi di riunione in assemblea.

Il Medioevo

In epoca franco-carolingia ci fu poi una grande enfatizzazione sulla Comunione e si diffuse l’impressione che assumere il Corpo di Cristo fosse qualcosa di cui pochi erano degni. A ciò si aggiunse una gestione della Penitenza che prevedeva l’assoluzione solo una volta nella vita. Per questo motivo molti fedeli pensarono di farsi battezzare e poi comunicarsi verso la fine della vita.

L’unico modo per avvicinarsi al Signore restava quindi l’Elevazione, in cui si contemplava il Corpo di Dio. E quel momento assunse un grande significato, tanto che i sacerdoti tenevano quanto più a lungo possibile l’Ostia elevata in modo che i fedeli potessero vederla. Nacque da ciò l’Adorazione Eucaristica.

Questo stato di cose perdurò a lungo, e la Chiesa prese provvedimenti. Nei secoli successivi fu riformata la Penitenza, fino ad assumere la forma che conosciamo, ma anche la concezione di Eucarestia mutò con il progresso delle conoscenze bibliche e teologiche.

Restò però un grave problema: quello che vedeva il popolo praticamente escluso dalla celebrazione della Santa Messa. Questa scarsa partecipazione era dovuta ad un’idea diffusa di netta separazione tra il Sacerdote ordinato e il popolo. L’intuizione del Sacerdozio battesimale non era ancora stata assunta.

Il rito prevedeva delle lunghe preghiere e invocazioni solitarie da parte del celebrante, espresse in latino, lingua che nel frattempo si era persa tra il popolo. Le formule erano spesso recitate sottovoce. L’assemblea quindi trascorreva praticamente tutto il tempo della Santa Messa, nella migliore delle ipotesi a pregare per conto proprio. Nella maggior parte dei casi ci si guardava attorno senza partecipare minimamente al Sacrificio.

A risolvere il problema fu il Concilio Vaticano II, che strutturò la Santa Messa in modo più consono a quello di un’assemblea orante.

Come ha operato il Concilio

Fu rivalutata la funzione del popolo in relazione alla sua mansione sacerdotale data dal Battesimo, che venne riconosciuta anche nella preghiera: “Ti ringraziamo o Signore per averci ammesso alla tua presenza a compiere il servizio sacerdotale”.

Oggi i laici sono parte attiva nella Santa Messa e dispongono anche di una preghiera specifica (la Preghiera dei Fedeli) nella quale rispondono a alcune invocazioni: è un momento aggiunto al Padre Nostro in cui il popolo si rivolge direttamente a Dio.

La riforma più grande e incisiva fu ovviamente l’introduzione delle lingue nazionali. In questo modo l’assemblea può comprendere più profondamente il significato di invocazioni e preghiere, avvicinandosi quindi con maggiore cognizione all’Eucarestia.

L’aspetto apostolico è rispettato, in quanto gli Apostoli e i primissimi cristiani non recitavano formule latine. Lo stesso Gesù per istituire l’Eucarestia non parlò in Latino. L’intento di Gesù era quello che il messaggio arrivasse e si istituisse il memoriale.

Questo spiega anche perché nei riti esistono gesti immutabili, che sono quelli di istituzione divina (spezzare il pane, distribuirlo, ecc.), e altri che invece sono mutabili nella funzione pastorale della Chiesa.

Il rito latino ha mantenuto un suo fascino, e non è proibito. La sua celebrazione va però effettuata solo in contesti atti a rinnovare il coinvolgimento spirituale, ma non può essere la regola. La Chiesa infatti consente le celebrazioni in Latino, ma solo su espressa approvazione del Vescovo diocesano.

Una volta recuperata la partecipazione attiva dei laici, la Chiesa ha anche riconosciuto la necessità di assegnare loro alcuni ministeri. Sono il Diaconato permanente, l’Accolitato, il Lettorato, la funzione di Ministro straordinario dell’Eucarestia quello del Catechista, che (Diaconato permanente a parte perché è Ordine Sacro e appartenenza ai Chierici) sono aperte a uomini e donne.

La Santa Messa

La partecipazione alla Santa Messa è un momento di comunione fraterna, in cui l’Assemblea si offre in unità col sacrificio di Cristo. I doni dell’offertorio rappresentano il frutto e il lavoro dell’uomo. E non a caso il vino è derivato dal sacrificio degli acini col lavoro dell’uomo, e allo stesso modo il pane è frutto della macerazione dei chicchi di grano. Ovvero materia che col suo sacrificio si trasforma in qualcosa di diverso attraverso l’intervento dell’uomo. E si trasforma ancora, successivamente in sangue e corpo di Nostro Signore con l’invocazione dell’uomo e l’intervento di Dio. In quella collaborazione che Gesù ha sempre cercato.

La Liturgia della Parola, dialogo con Dio

La Liturgia della Parola, dialogo con Dio

Approfondiamo il significato di questa parte importante della S. Messa

La celebrazione eucaristica, come sappiamo, si compone di quattro parti indissolubili, tra cui due fondamentali e imprescindibili: la Liturgia della Parola e la Liturgia Eucaristica.

Il Concilio Vaticano II ha voluto specificare che la S. Messa compie il Sacramento solo nella sua interezza. Il significato della Liturgia serve per il coinvolgimento e il motivo è dato dal fatto che la salvezza arriva anche attraverso i sensi.

È stata data inoltre una grande rilevanza alla Liturgia della Parola, nella quale l’assemblea è coinvolta molto più di quanto apparentemente possa sembrare. E purtroppo anche di quanto comunemente si pensi.

La lettura dei brani delle Scritture e successivamente del Vangelo, non svolgono esclusivamente un ruolo didattico. Si inseriscono nella Memoria del Sacrificio di Cristo. Preparano inoltre ad accogliere le fasi successive della celebrazione. È un modo per entrare in simbiosi con Cristo e per predisporci all’offerta dei doni: è Dio che parla ad ognuno di noi. E in quel momento dobbiamo attualizzare in noi il messaggio. I doni offerti sono quindi il segno della partecipazione dell’uomo al Sacrificio di Gesù.

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Il popolo in preghiera

La partecipazione da parte dell’assemblea, non si limita però al solo ascolto. Nelle risposte alle preghiere e nei salmi c’è lo svolgimento della funzione sacerdotale impressa col battesimo in ognuno di noi.

Questo aspetto sarà ricordato nella preghiera eucaristica, dopo la Consacrazione (“Ti ringraziamo o Signore per averci ammesso a svolgere il servizio sacerdotale”).

Subito dopo, con la Preghiera dei Fedeli, si concretizza l’unico momento, insieme al Pater Noster, in cui i fedeli si rivolgono direttamente a Dio.

È bene sottolineare che questa preghiera si suddivide in intenzioni e preghiera propriamente detta. Tutta la parte che viene letta dall’ambone costituisce l’intenzione. La preghiera dei fedeli al Padre consiste nella risposta (solitamente “Ascoltaci o Signore“). Abbiamo quindi un’invocazione corale del popolo di Dio che a Lui si rivolge in modo frontale. Non è quindi importante se a leggere le intenzioni sia un laico o il sacerdote: fondamentale è la preghiera, ovvero la risposta, attenta e consapevole.

I segni dell’unità del popolo sono spesso ricordati durante la S. Messa. La stessa offerta dei doni chiama l’assemblea a protagonista.

Anticamente i doni, ovvero il pane, il vino e l’acqua, erano portati da casa e poi consegnati al sacerdote, esclusivamente da coloro che facevano la Comunione. Il significato è ovviamente quello della partecipazione al banchetto. Oggi si effettua la processione offertoriale, ma l’aspetto significativo viene conservato simbolicamente con la raccolta delle offerte. Questa infatti non è semplicisticamente “la Chiesa che chiede soldi”, ma assume il senso della partecipazione eucaristica.

L’assemblea partecipa vivamente alla celebrazione eucaristica, attraverso i gesti, le risposte e con i contesti. Ecco il motivo per cui la validità dell’assolvimento del precetto si concretizza solo con l’ascolto e la partecipazione alla funzione intera. Occorre tenere presente che con l’Eucarestia ci si accosta a un Sacramento, che pur essendo ripetibile (come Penitenza, Unzione degli infermi e Matrimonio, questo in caso di vedovanza) è pur sempre una Grazia concessa da Dio.