L’infedeltà umana per comprendere la fedeltà di Dio.
Il nome del profeta Osea (הושֵעַ בֶּן-בְּאֵרִי) significa “Dio salva”. Visse nel secolo VIII a.C. e iniziò a predicare prima del 743 a.C. per terminare la sua missione attorno al 721 a.C., come possiamo dedurre dal suo libro, che descrive la caduta di Jehu e la presa di Samaria, come dati limite.
Proveniva dal Regno del Nord, che a quei tempi vedeva sul trono Roboabamo II, mentre al Sud regnava Otsia.
Il tema saliente del suo messaggio è la fedeltà, e ne prende spunto dalla narrazione delle proprie vicende familiari.
Osea sposò infatti una donna infedele, Gomer, che non si ritiene sia stata una prostituta, ma che tradì più volte il marito. La coppia aveva tre figli, a cui Osea diede nomi che rispondevano alle condizioni di Israele a quel tempo: Israel (Dio semina), Ruhamà (non amata), Lohammì (non popolo mio).
Le condizioni del paese versavano infatti in uno stato di benessere diffuso, ma erano evidenti l’oppressione sui deboli, una grande sperequazione sociale e l’ipocrisia istituzionale, praticata anche dalla classe sacerdotale. Il culto era prevalentemente esteriore e svuotato di significato.
Il libro di Osea fu salvato dalla distruzione di Samaria da parte degli Assiri, e venne conservato a Gerusalemme. A noi è giunto comprensivo di aggiunte che furono apposte nei secoli.
Si divide sostanzialmente in tre parti per un totale di 14 capitoli. La prima parte riporta la vita matrimoniale di Osea (cap. da 1 a 3), la seconda il messaggio che intende trasmettere (cap. da 4 a 11), e infine lo sviluppo dei temi.
Il messaggio consiste in brevi oracoli sulla condotta di Re e sacerdoti. Insiste sul verbo šub (ritornare), inteso come ritorno a Dio. Non dobbiamo dimenticare che le successive disgrazie di Israele, equiparate sempre alla colpa e al peccato, comprendevano anche la scelta politica dei governanti di affidarsi alle nazioni straniere, piuttosto che riporre la fiducia in Dio.
I temi ricorrenti sono quello del deserto, delle liti e della liturgia. Sono diffusi anche gli hapax legomena, ovvero espressioni che in ambito delle scritture si trovano esclusivamente in questo testo.
L’infedeltà di Gomer va quindi letta come quella del popolo. Israele, pur amata da Dio, non esita a tradirlo più volte, rivolgendosi anche a idoli e divinità straniere. Da rimarcare che l’antico popolo ebraico, prima di abbracciare il monoteismo, passò dalla monolatrìa (un solo Dio, ammettendo che ce ne siano altri) e dall’enoteismo (culto di un Dio che primeggia su altri).
Allo stesso modo il perdono concesso pazientemente da Osea riporta alla fedeltà di Dio. L’amore non emerge quindi nella sua accezione fisica, ma a livello di forza trasformante. Dio non risponde ai canoni umani: è paziente non per debolezza, ma per affermazione di libertà. Ecco quindi emergere il peccato di sfiducia di Israele, con il re Acaz che si allea con gli Egizi. Acaz viene sconfitto e c’è la caduta del Regno del Nord.
Successivamente anche la Giudea (Regno del Sud) darà prova di scarsa fiducia in Dio. Gli Egizi cercheranno l’alleanza di Ezechia e si avrà una nuova sconfitta. Gerusalemme sarà posta sotto assedio e si salverà solo per un’epidemia che si diffuse tra gli Assiri.
Il primo capitolo del libro di Osea è scritto in terza persona, e gli studiosi ritengono sia frutto dei discepoli. Il terzo capitolo sarebbe invece opera del profeta.