La Genealogia di Gesù e il numero 14

La Genealogia di Gesù e il numero 14

Nel Vangelo di Marco è scritto che da Adamo a Gesù intercorrono 3 volte 14 generazioni

Nella Bibbia ricorrono spesso alcuni numeri con un’insistenza che a noi occidentali pare curiosa.

Per gli Ebrei, e in particolare ai tempi di Gesù i numeri si intrecciano spesso con concetti e argomentazioni. Lo scopo è quello di esprimere meglio e dare forza ai concetti che si vogliono comunicare.

Nel Prologo del Vangelo di Matteo, quello rivolto principalmente ai Cristiani provenienti dall’Ebraismo, troviamo una delle genealogie di Gesù.

Va detto innanzitutto che nella scrittura troviamo anche un’altra genealogia del Figlio, che però teneva conto di un’eredità non generazionale ma di affinità. Un po’ come quando leggiamo la genealogia di un Vescovo, nella quale non c’è un passaggio padre-figlio in senso materiale, ma il succedere delle ordinazioni. Quella di Matteo è invece una genealogia a tutti gli effetti.

Notiamo che essa è sviluppata in tre fasi: da Adamo a Abramo, da Abramo a David e da David a Gesù.

In tutte e tre le sezioni si contano 14 generazioni. Coincidenza? No. E vediamo ora perché.

Il significato numerico

Nell’alfabeto dell’ebraico biblico le prime lettere rappresentano anche i numeri da 1 a 10, e dalla composizione di questi si sviluppano gli altri.

La combinazione di due o più numeri può quindi dare un significato letterale o addirittura comporre parole.

Nel caso del 14, che ricorre nelle genealogie scopriamo che è ricondotto al nome di David. In ebraico David si scrive “דוִד”, ed essendo l’ebraico una lingua consonantica, e quindi priva di vocali, si riduce a una radice di tre lettere, date per noi da D, V e ancora D, e per gli ebrei da Dalet (ד), Vau (וִ) e ancora Daleth (ד). Nella rappresentazione dei numeri ebraici Daleth è il 4, Vau il 6. Sommando le tre “lettere” abbiamo quindi il numero 14, che testimonia la ricorrenza del nome di David, dalla cui dinastia secondo le scritture deve nascere il Messia.

Il significato semantico

Un’ultima considerazione va fatta sul nome di David e la sua origine. Pare che questa sia non già ebraica ma addirittura assira.

In ebraico David deriva dall radice “dod”, che è un termine fanciullesco per indicare il preferito, il “cocco”. La traduzione sarebbe quindi l’amato o il diletto. In assiro invece indicava il comandante delle truppe reali. Ecco perciò che dall’unione delle due accezioni abbiamo il “diletto che comanda l’esercito del re”.

Questa breve dissertazione funge da esempio, e conferma il fascino e la profondità del Vangelo, di cui è significativa ogni singola parola. E ciò ancor di più se lo contestualizziamo nel momento storico in cui fu scritto, per scoprire la straordinaria attualità che riveste ancora oggi.

Leggere il Vangelo con attenzione, calma e concentrazione, farsi continuamente domande sui significati, è un’abitudine che noi uomini del terzo millennio, purtroppo, soffochiamo e sacrifichiamo a vantaggio di tante altre opzioni, impiegando altrove il nostro tempo.

Santa Lucia, la ferma determinazione nell’amore di Dio

La storia di una delle sante più amate

Lucia di Siracusa nacque nella città siciliana nel 283, e visse nel pieno delle persecuzioni di Diocleziano.

Per etimologia del suo nome (lux = luce) viene invocata come protettrice del senso della vista. Non ha riscontro storico infatti la leggenda secondo cui la martire si strappò gli occhi quando sottoposta a torture dai pagani.

Il Canone romano la ricorda come una delle sette vergini.

La vita

La sua famiglia era di origini nobili e di fede cristiana, e la giovane Lucia, fin dalla tenera età, si consacrò segretamente a Cristo in verginità. Il padre, invece, la promise in sposa a un giovane pagano invaghito della sua straordinaria bellezza.

Preoccupata per la salute della madre, che soffriva di emorragie che nessuna cura, sebbene costosa le giovasse, si reco insieme alla madre Eutichia a Catania per chiedere la grazia della guarigione sulla tomba di Sant’Agata.

Giunte nella città etnea il 5 febbraio 301, le due donne si raccolsero in preghiera, quando Sant’Agata apparse a Lucia, dicendole: “Sorella mia Lucia, vergine consacrata a Dio, perché chiedi a me ciò che tu stessa puoi ottenere per tua madre? Ecco che, per la tua fede, ella è già guarita! E come per me è beneficata la città di Catania, così per te sarà onorata la città di Siracusa“.

Ripresasi dalla sorpresa, Lucia ebbe effettivamente modo di constatare la guarigione della madre, alla quale confidò in quel momento di essersi consacrata a Cristo e di voler seguire la strada della carità donando il proprio patrimonio ai poveri.

Nei tre anni successivi Lucia si dedicò a ogni tipo di opera di misericordia.

Nel frattempo il promesso sposo, indispettito e irritato per il rifiuto, cercò di dissuaderla in ogni modo. Quando si accorse di non riuscire a convincerla decise allora di denunciarla ai Romani come cristiana. Lo fece usando il termine “cristianissima”.

Al tempo della persecuzione di Diocleziano, questo bastava per arrestare un individuo, e Lucia fu sottoposta a un processo e a molte vessazioni.

Il processo

Le fu dapprima chiesto di fare sacrifici agli dèi, ma lei rifiutò. Fu allora minacciata e si arrivò a dirle che sarebbe stata mandata in un postribolo in modo che fosse profanata. Lucia rispose: “Il corpo si contamina solo se l’anima acconsente”.

Il prefetto Pascasio, che la interrogava, fu posto molte volte in difficoltà dalla risolutezza, decisione e fermezza della giovane e dal modo con cui citava le Scritture. Decise allora di farla tradurre via dall’aula, ma Lucia divenne così pesante che neppure i soldati riuscirono a muoverla.

La morte

Fu accusata perciò di stregoneria, cosparsa d’olio e torturata con le fiamme. Il fuoco però non riusciva a lambirla. Si decise quindi di trafiggerla alla gola con una spada (jugulatio). Lucia però morì solo dopo aver ricevuto la Santa Comunione, e non prima di aver profetizzato l’imminente fine delle persecuzioni di Diocleziano e la libertà per la Chiesa.

Aveva 21 anni.

Santa Lucia fu seppellita nelle catacombe di Siracusa. Oggi le sue spoglie riposano nel Santuario di Santa Lucia a Venezia, ma il luogo del suo principale culto resta a Siracusa nella Chiesa di Santa Lucia al Sepolcro.

Il luogo dell’Avvento

Il luogo dell'Avvento

Lungo il mare di Galilea

Oggi il luogo dell’Avvento, attraverso la testimonianza dell’apostolo Andrea, è “lungo il mare di Galilea”. Il lago di Tiberiade era così grande agli occhi dei pescatori di Galilea che appariva loro come un grande “mare”.
E sulle sponde del mare-lago passa Gesù e chiama. Su quella riva accade il suo avvento, la sua venuta. E la sua venuta diventa chiamata – cioè un cambio radicale di vita – per Simone e Andrea, intenti a gettare le reti in mare: “erano infatti pescatori”.
Il luogo dell’Avvento del Signore è il lavoro, il mestiere, lo spazio professionale di Pietro e Andrea e Giacomo e Giovanni, tra barche, reti, pesca e padre. In quel luogo – lungo il mare di Galilea – Gesù invita i nostri a seguirlo: “l’appello di Gesù non colloca in uno stato, ma in un cammino” (Maggioni).
E se provassimo a vivere così il nostro luogo di vita e lavoro? Come un luogo dove il Signore si fa avvento per noi, viene e ci chiama, viene e ci offre un orizzonte di senso più ampio. Viene e ci dice che qualunque nostra vita e professione può essere vocazione.
Vieni Signore Gesù e mostraci che la sponda del nostro mare di Galilea si chiama ufficio, fabbrica, famiglia, scuola, cooperativa, campo, ospedale, banca, negozio… vieni lungo il mare di Galilea del nostro quotidiano!

Vangelo di Marco: la guarigione del paralitico di Cafarnao

Vangelo di Marco: la guarigione del paralitico di Cafarnao

Il miracolo, lo scandalo dei farisei e la tradizione rituale ebraica

La guarigione di Cafarnao è uno degli eventi riportati da tutti e tre i Vangeli sinottici, e precisamente in Mc2,1-12; Lc5,17-26; Mt9,1-8.

Questo testimonia l’importanza attribuita dagli evangelisti sinottici a questo fatto, che nella sostanza è rivelatore di molti aspetti della missione terrena di Gesù.

Come sappiamo, ognuno degli evangelisti ha selezionato fatti, eventi e circostanze da trattare in modo più approfondito. E ciò per evidenziare ognuno a suo modo determinati aspetti della Rivelazione.

La guarigione di Cafarnao determina inoltre uno degli scontri più aspri con i farisei. Gesù infatti, osservando la fede del paralitico e degli uomini che lo calavano dall’alto scoperchiando il tetto della casa in cui Gesù si trovava, prima ancora di guarire l’infermo gli rimette i peccati.

Occorre considerare quindi il contesto ebraico del tempo. Per gli ebrei, la remissione dei peccati, quando ancora esisteva il tempio, avveniva durante lo yom kippur (יום כפור), il giorno dell’espiazione. Il Sommo Sacerdote si recava al tempio in pomposa processione, dopo essersi purificato. Veniva trasportato su una portantina, in modo che non avesse contatto minimamente con ciò che possa essere impuro. Più tardi, e precisamente durante il capodanno ebraico, il Rosh Hashanah (ראש השנה), Dio apriva i “libri della vita” e, Lui solo, poteva rimettere i peccati. Nel frattempo i fedeli avevano 10 giorni di tempo per redimere le questioni di conflitto con i fratelli.

Si trattava del momento rituale più alto del calendario ebraico. Oggi, in assenza del tempio, gli ebrei non possono svolgere questo rito e ritengono di non poter avere la certezza del perdono di Dio.

La frase di Gesù sulla remissione dei peccati, suscitò quindi uno scandalo enorme, in quanto era come se il Salvatore annunciasse pubblicamente di essere Dio («Perché costui parla così? Bestemmia! Chi può rimettere i peccati se non Dio solo?» (Mc2,7). A tutte queste considerazioni possiamo anche aggiungere che il miracolo avvenne di sabato.

Gesù, vedendo nel cuore dei farisei, li ammonisce sfidandoli: «Perché pensate così nei vostri cuori? Che cosa è più facile: dire al paralitico: Ti sono rimessi i peccati, o dire: Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina? Ora, perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere sulla terra di rimettere i peccati, ti ordino – disse al paralitico – alzati, prendi il tuo lettuccio e va a casa tua» (Marco 2,8-11).

È interessante notare come Marco e Luca si soffermino sullo scoperchiamento del tetto, mentre Matteo sorvoli su questo particolare.

Il Vangelo di Matteo è detto “Ecclesiale” e sottolinea invece la meraviglia del passaggio del potere della remissione agli uomini, attraverso Gesù-Uomo. Nella volontà di specificare l’apertura della casa dall’alto, Marco e Luca testimoniano la fatica dell’approccio dell’uomo con Dio.

Gesù indica in questo modo ciò di cui più abbiamo bisogno, che è il perdono dai nostri peccati: una necessità più urgente di quella del medico. Per questo Gesù si pone come Dio e anche come medico.

Di fondamentale importanza l’utilizzo dei termini. Nel Vangelo di Marco, Gesù si rivolge così al paralitico: «Figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati» (Mc2,5).

Il termine “figlio” aveva ed ha ancora per gli ebrei un significato e una valenza forte. Significa avere qualcosa a propria immagine e somiglianza. Anche Matteo usa questo termine. Luca invece usa il sostantivo “uomo” perché parla in termini di un universialità di una Chiesa che si apre anche ai gentili. Sottolineando inoltre la vicinanza al modo in cui Gesù ama definirsi nella sua funzione messianica: “Figlio dell’uomo”.

Comunione spirituale, opportunità e dono

Comunione spirituale, opportunità e dono

Gesù è dono gratuito per tutti

La pratica della Comunione spirituale non è diffusa né praticata quanto si dovrebbe.

Porta con sé numerosi significati e la possibilità di acquisire una vera comunione con Dio, attraverso il desiderio di riceverlo materialmente.

Chi non può per vari motivi avvicinarsi all’Eucarestia, se davvero desidererebbe accogliere in sé il Salvatore, può accostarsi infatti alla Comunione spirituale.

Il Magistero ha predisposto delle preghiere apposite per usufruire di questo dono gratuito del Signore, che possiamo trovare sul sito del Vaticano, cliccando QUI.

Si tratta dell’adempimento di una delle promesse di Gesù: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui” (Gv 14,23).

Con l’anima predisposta ad accogliere Dio, chiunque può soddisfare il desiderio di riceverlo.

Fa osservare Don Paolo Ciccotti sul suo blog: “Gli effetti che essa produce nell’anima sono gli stessi della Comunione sacramentale a seconda delle disposizioni con cui la si fa, della maggiore o minore carica di devozione sincera con cui si desidera Gesù, dell’amore con cui lo si riceve Gesù e ci si intrattiene con Lui. Certamente non può portare frutto se l’anima non è in grazia di Dio“.

Ulteriori incarichi diocesani per il nostro Parroco

Ulteriori incarichi diocesani per il nostro Parroco

Don Enrico Giovannini nominato da S.E. Mons. Borghetti, Responsabile Turismo, Sport e Tempo libero

Dopo essere stato nominato Vicario per la Valle Arroscia, il nostro Parroco Don Enrico Giovannini ha ricevuto nuovi incarichi di grande responsabilità in Diocesi.

Don Enrico, già Parroco a Mendatica, Cosio, Montegrosso e Rezzo, sarà il nuovo direttore dell’Ufficio Pastorale del Turismo, sport e tempo libero.

Ecco l’elenco dei nominati e dei confermati da S.E. Mons. Vescovo Guglielmo Borghetti:

In data 29 settembre 2021 Sua Eccellenza Mons. Guglielmo Borghetti ha nominato:

  • Vicario generale della Diocesi, il Reverendo canonico Bruno Scarpino;
  • Vicario giudiziale, il Reverendo canonico Tiziano Gubetta;
  • Cancelliere vescovile, il Reverendo canonico Pablo Gabriel Aloy,
  • Vice cancelliere, il Reverendo canonico Tiziano Gubetta;
  • Presidente dell’Istituto Diocesano Sostentamento Clero il Reverendo canonico Giancarlo Cuneo;
  • Direttore dell’Ufficio per la Pastorale Liturgica il Reverendo sacerdote Antonio Cozzi, vice direttore il Reverendo sacerdote Stefano Caprile;
  • Direttore della Caritas Diocesana la signora Antonella Bellissimo, vice direttore il Reverendo sacerdote Alessio Roggero;
  • Direttore dell’Ufficio Pastorale della Salute il Reverendo sacerdote Claudio Chiozzi, vice-direttore il Reverendo sacerdote Carmelo Galeone;
  • Direttore dell’Ufficio Pellegrinaggi il Reverendo monsignore Giovanni Battista Gandolfo, vice direttore il Reverendo sacerdote Stefano Mautone;
  • Direttore dell’Ufficio Pastorale del Turismo, sport e tempo libero il Reverendo sacerdote Enrico Giovannini;
  • Direttore dell’Ufficio Pastorale Scolastica il Reverendo sacerdote Luca Gabriel, vice direttore la dottoressa Sofia Martino;
  • Direttore dell’Ufficio Pastorale della Famiglia il Reverendo sacerdote Fabrizio Contini;
  • Direttore dell’Ufficio Pastorale sociale, del lavoro, giustizia, pace e salvaguardia del creato il Reverendo sacerdote Renato Elena, vice direttore il dott. Marco Rovere;
  • Direttore dell’Ufficio per l’Ecumenismo ed il Dialogo interreligioso il Reverendo canonico Gabriele Corini;
  • Direttore dell’Ufficio per la Catechesi il Reverendo sacerdote Fabio Bonifazio, Vice – Direttore il Reverendo sacerdote don Federico Basso;
  • Direttore dell’Ufficio Migrantes il Reverendo Canonico Edmondo Bianco, vice direttore il Reverendo sacerdote Antonello Dani;
  • Direttore dell’Ufficio per la Pastorale delle Comunicazioni Sociali il Reverendo Canonico Pablo Gabriel Aloy, Vice-direttore il Reverendo sacerdote Alessio Roggero;
  • Direttore dell’Ufficio pastorale della cultura il Reverendo Canonico Ettore Barbieri;
  • Direttore dell’Ufficio per la Pastorale giovanile e vocazionale, il Reverendo Sacerdote Matteo Boschetti, vice direttore il Reverendo canonico Gatti Enrico;
  • Direttore dell’Ufficio Cooperazione Missionaria tra le chiese Reverendo Sacerdote don Stefano Caironi;
  • Responsabile diocesano della consultazione sinodale il Reverendo canonico Pierfrancesco Corsi;
  • Vice direttore del museo diocesano il Reverendo sacerdote Emanuele Carlo Caccia;

Vengono altresì confermati:

  • il Reverendo canonico Bruno Scarpino, Delegato per il Diaconato permanente;
  • il Reverendo sacerdote don Francesco Zuccon, Delegato per la Vita Consacrata;
  • il Reverendo canonico Giancarlo Aprosio, Delegato per le Confraternite;
  • il Reverendo canonico Pierfrancesco Corsi, Delegato per le aggregazioni laicali.

Tutti inizieranno il loro servizio il giorno 4 ottobre p.v.

28 settembre: 1786 anni fa l’abdicazione di Papa Ponziano

28 settembre: 1786 anni fa l'abdicazione di Papa Ponziano

Fu il secondo a dimettersi, dopo Clemente I nel 97 d.C.

Se le dimissioni di Papa Benedetto XVI hanno fatto scalpore, occorre sapere che, seppur si tratti di un evento molto raro, l’abbandono della Cattedra di Pietro è ricorsa diverse volte nel corso della storia. Se ne contano ben otto.

Clemente I

Il primo a dimettersi fu Papa Clemente I, 4° Vescovo di Roma, Santo e Padre della Chiesa, il quale rinunciò nel 97 d.C. dopo essere stato condannato all’esilio. Il suo posto fu preso da Evaristo I.

Gli eventi si deducono dalla cronologia storica, sebbene non esistano documenti che comprovino le dimissioni.

Gli annali sanciscono però che Clemente (detto Romano, per distinguerlo da Clemente Alessandrino che visse a cavallo tra il II e il III secolo e anch’egli Padre della Chiesa), lasciò la guida della Chiesa nel 97, mentre la sua morte per martirio avvenne nell’anno 99.

Ponziano

La prima abdicazione certamente documentata è però quella di Papa Ponziano, 18° Vescovo di Roma e Santo, il quale divenne Papa il 21 luglio 230 e si dimise il 28 settembre 235. Ponziano fu condannato “ad metalia” (lavori forzati) da Massimino il Trace, e lasciò il soglio papale a Papa Antero.

Silverio

Per avere le terze dimissioni occorre attendere fino all’11 marzo 537, giorno in cui Papa Silverio, martire e Santo, fu costretto a rimettere l’incarico a causa di una tresca ordita dall’imperatrice Teodora. Al suo posto divenne papa Vigilio.

Benedetto IX e Gregorio VI

Più complicata la vicenda legata a Benedetto IX, ovvero Teofilatto dei conti di Tuscolo. Siamo nel 1045 e regna un Papa di giovanissima età, per alcuni di 12, per altri di 18, e per altri ancora di 25 anni: proprio Benedetto IX. Nei primi mesi dell’anno viene cacciato da Roma e sostituito da Silvestro III. Il 10 aprile Benedetto tornò a Roma e riprese il papato grazie all’appoggio della sua famiglia e dei Crescenzi. Pochi giorni dopo Benedetto rassegnò le dimissioni, ma in realtà vendette il papato per 2.000 librae al futuro Giovanni dei Graziani, detto Graziano, che salì al soglio pontificio col nome di Gregorio VI.

Lo stesso Gregorio VI dopo circa un anno venne costretto alle dimissioni perché si scoprì la simonia.

Celestino V

E veniamo quindi al 13 dicembre 1294, giorno in cui furono rese le dimissioni papali più note della storia, ovvero quelle di Celestino V. Pietro da Morrone, monaco e Santo, poco esperto di strategie politiche lasciò la Cattedra di Pietro per ritirarsi nuovamente in convento. Il suo “rifiuto” fu cantato da Dante nella Divina Commedia, e comportò l’ascesa a Papa di Benedetto Caetani, il Bonifacio VIII a cui il sommo poeta riservòi. un posto all’inferno quando il Papa era ancora in vita.

Gregorio XII

L’ultima vicenda, prima di quella che ha visto protagonista Joseph Ratzinger, risale al 4 luglio 1415, quando ci furono le dimissioni di Gregorio XII che ratificarono la fine dello scisma Avignonese. Una curiosità: fu l’ultimo Papa ad essere sepolto fuori Roma, e precisamente a Recanati.

È giusto precisare che le dimissioni di un Papa sono ammesse ai sensi del canone 332 § 2 del Codice di Diritto Canonico.

Conosciamo i profeti: Osea

Conosciamo i profeti: Osea

L’infedeltà umana per comprendere la fedeltà di Dio.

Il nome del profeta Osea (הושֵעַ בֶּן-בְּאֵרִי) significa “Dio salva”. Visse nel secolo VIII a.C. e iniziò a predicare prima del 743 a.C. per terminare la sua missione attorno al 721 a.C., come possiamo dedurre dal suo libro, che descrive la caduta di Jehu e la presa di Samaria, come dati limite.

Proveniva dal Regno del Nord, che a quei tempi vedeva sul trono Roboabamo II, mentre al Sud regnava Otsia.

Il tema saliente del suo messaggio è la fedeltà, e ne prende spunto dalla narrazione delle proprie vicende familiari.

Osea sposò infatti una donna infedele, Gomer, che non si ritiene sia stata una prostituta, ma che tradì più volte il marito. La coppia aveva tre figli, a cui Osea diede nomi che rispondevano alle condizioni di Israele a quel tempo: Israel (Dio semina), Ruhamà (non amata), Lohammì (non popolo mio).

Le condizioni del paese versavano infatti in uno stato di benessere diffuso, ma erano evidenti l’oppressione sui deboli, una grande sperequazione sociale e l’ipocrisia istituzionale, praticata anche dalla classe sacerdotale. Il culto era prevalentemente esteriore e svuotato di significato.

Il libro di Osea fu salvato dalla distruzione di Samaria da parte degli Assiri, e venne conservato a Gerusalemme. A noi è giunto comprensivo di aggiunte che furono apposte nei secoli.

Si divide sostanzialmente in tre parti per un totale di 14 capitoli. La prima parte riporta la vita matrimoniale di Osea (cap. da 1 a 3), la seconda il messaggio che intende trasmettere (cap. da 4 a 11), e infine lo sviluppo dei temi.

Il messaggio consiste in brevi oracoli sulla condotta di Re e sacerdoti. Insiste sul verbo šub (ritornare), inteso come ritorno a Dio. Non dobbiamo dimenticare che le successive disgrazie di Israele, equiparate sempre alla colpa e al peccato, comprendevano anche la scelta politica dei governanti di affidarsi alle nazioni straniere, piuttosto che riporre la fiducia in Dio.

I temi ricorrenti sono quello del deserto, delle liti e della liturgia. Sono diffusi anche gli hapax legomena, ovvero espressioni che in ambito delle scritture si trovano esclusivamente in questo testo.

L’infedeltà di Gomer va quindi letta come quella del popolo. Israele, pur amata da Dio, non esita a tradirlo più volte, rivolgendosi anche a idoli e divinità straniere. Da rimarcare che l’antico popolo ebraico, prima di abbracciare il monoteismo, passò dalla monolatrìa (un solo Dio, ammettendo che ce ne siano altri) e dall’enoteismo (culto di un Dio che primeggia su altri).

Allo stesso modo il perdono concesso pazientemente da Osea riporta alla fedeltà di Dio. L’amore non emerge quindi nella sua accezione fisica, ma a livello di forza trasformante. Dio non risponde ai canoni umani: è paziente non per debolezza, ma per affermazione di libertà. Ecco quindi emergere il peccato di sfiducia di Israele, con il re Acaz che si allea con gli Egizi. Acaz viene sconfitto e c’è la caduta del Regno del Nord.

Successivamente anche la Giudea (Regno del Sud) darà prova di scarsa fiducia in Dio. Gli Egizi cercheranno l’alleanza di Ezechia e si avrà una nuova sconfitta. Gerusalemme sarà posta sotto assedio e si salverà solo per un’epidemia che si diffuse tra gli Assiri.

Il primo capitolo del libro di Osea è scritto in terza persona, e gli studiosi ritengono sia frutto dei discepoli. Il terzo capitolo sarebbe invece opera del profeta.

Conosciamo i profeti: Amos, il ruggito di Dio

Conosciamo i profeti: Amos, il ruggito di Dio

Il suo nome, Amosyah, significa “Dio solleva”.

In uno degli articoli precedenti abbiamo trattato della figura dei profeti biblici in generale. Cerchiamo ora di approfondire insieme le biografie e i messaggi teologici che essi hanno lasciato.

Teniamo conto del fatto che i profeti della Bibbia non sono da considerare indovini o veggenti. Una bella definizione la troviamo in Dt 18,18: “Io susciterò loro un profeta in mezzo ai loro fratelli e gli porrò in bocca le mie parole ed egli dirà loro quanto io gli comanderò“. Il profeta quindi, in ambito biblico differisce dalle accezioni comuni: è colui che ascolta la voce di Dio leggendo il passato e interpretando il presente. Il suo scopo è quello di riportare il popolo alla Parola di Dio, affinché non si verifichino conseguenze tragiche.

Amos nacque a Tekoa (Tequ), un villaggio situato tra Gerusalemme e Betlemme. Era un pastore che praticava anche l’arte di incisore di sicomori, e questa sua seconda attività spiega la sua propensione per il nord. È uno dei “profeti minori”, definiti tali non per minore importanza teologica, ma perché di loro abbiamo un numero inferiore di scritti.

Iniziò a profetare presumibilmente nel 760 a.C. circa. Descrive infatti il terremoto che formò la Valle di Ebron, avvenuto proprio in quell’anno.

Di lui sappiamo seppure in modo approssimato, l’anno di morte, che avvenne nel 745 a.C. circa. Si desume quindi che le sue profezie furono pronunciate in un momento in cui al nord regnava Geroboamo II, e al sud Otsia.

Era un periodo di benessere diffuso, anche se si poteva notare un’enorme sperequazione tra i ceti, tale da essere equiparata dal profeta all’idolatria.

Il culto risentiva di atteggiamenti ipocriti, con una religiosità soprattutto esteriore. Erano molti, inoltre, quelli che adoravano divinità straniere, come ad esempio Baàl (= il padrone).

Il messaggio di Amos suonava duro alle orecchie degli israeliti e dei giudei, e valse al profeta l’appellativo di “ruggito di Dio” (utilizzò questo verbo in relazione alla voce di Dio e del leone), e di “profeta di sventura. Tuttavia San Girolamo definì il suo stile inesperto per la presenza di impulsività e veemenza.

Si definiva “incaricato da Dio” e da questo traspare una delle caratteristiche del vero profeta, il quale non è mai auto-referenziale.

Il testo

Alcuni studiosi hanno ritenuto e altri ritengono il testo scritto interamente, o come Schökel in buona parte scritto direttamente da Amos. Tuttavia molti periodi sono incompatibili col periodo storico in cui visse il profeta.

È da rimarcare che nell’antichità la pseudo-epigrafia non era ritenuta un reato, ed era una pratica molto diffusa. Ciò fece sì che i testi antichi potessero essere integrati o approfonditi dai discepoli dell’autore.

Gli inni che si trovano ai capitoli 4, 5 e 9 sono stati certamente aggiunti dai discepoli a scopo liturgico.

Il genere letterario prevalente è quello oracolare. Troviamo però larghe tracce degli stili del paragone e della metafora che sono tipicamente sapienziali, e quindi successivi.

Non possiamo non notare l’utilizzo diffuso di tre verbi, ovvero Yadà, Šub e Daraš, ovvero conoscere, ritornare e cercare, che ci rimandano al messaggio teologico. Abbiamo inoltre un utilizzo notevole di hapax legòmina (termini utilizzati per la prima volta nelle Scritture), e di espressioni idiomatiche.

Amos si concentra sull’oppressione dei deboli, sulle scelte politiche e morali sbagliate dei re nonché sull’ipocrisia, la falsa moralità e il culto

esteriore del popolo. Riassume in queste accezioni la colpa di Israele.

Avverte che l’appartenenza al popolo di Dio non è più sufficiente per la salvezza, e occorre tornare (šub) a Dio attraverso la sua giustizia e misericordia (yadà). Il futuro va edificato sul “resto di Israele”, ovvero su coloro che hanno sempre continuato e continuano a cercare (daraš) Dio.

Il libro è strutturato in modo classico relativamente al profetismo biblico. Contiene infatti:

  1. Introduzione (cap. 1 e 2)
  2. Raccolta di oracoli contro le 7 (numero significativo) nazioni straniere, caratterizzata dalle formule “Così parla il Signore”, “Oracolo del Signore”;
  3. Raccolta di oracoli contro Israele se non si converte. La formula è: “Guai …”;
  4. Conclusione (9,11-15).

Suggestive le visioni di Amos, che il profeta vive senza cadere in estasi (oggi diremmo “trance”):

Cavallette, siccità, armi di minaccia, fine di Israele, crollo del tempio. Su queste disgrazie il profeta disse di aver potuto intervenire presso Dio affinché non avvenissero, ma che nulla aveva potuto fare per le restanti.

A completare il quadro profetico mancavano gli oracoli di salvezza, che furono aggiunti successivamente dai discepoli.

Circa 5 anni dopo la morte di Amos, scomparve Geroboamo II e gli Assiri premettero ai confini. Scoppiò la guerra Siro-Efraimitica tra gli invasori e gli Egizi, e nonostante i consigli di Isaia re Acaz si alleò con gli Egiziani e venne sconfitto. Il Regno del Nord cadde nel 722 a.C.

Successivamente la zona cadde in una crisi economica disastrosa. Re Ezechia, che governava il sud (Giudea), si alleò ancora con gli Egizi, rimediando un’altra sconfitta che portò all’assedio di Gerusalemme. Gli Assiri si ritirarono poi a causa di un’epidemia.