Aprire il cuore a Dio

Aprire il cuore a Dio

A volte è più facile negare l’evidenza che rinunciare alle proprie idee

“Non ti lapidiamo per un’opera buona, ma per una bestemmia: perché tu, che sei uomo, ti fai Dio”.

Gesù aveva appena detto loro: «Io e il Padre siamo una cosa sola». Agli occhi di quei Giudei la bestemmia è evidente, e Gesù non può difendersi da essa che attirando l’attenzione sulle opere che Egli compie, che mostrano quale speciale sintonia ci sia tra Lui e il Padre.

Ma i Giudei non si convincono nemmeno di fronte all’evidenza dei fatti, non aprono gli occhi neppure davanti alle opere straordinarie di Gesù.

Quando il cuore è chiuso, quando il cervello è ottenebrato dall’ideologia, nessun miracolo può aiutare.

Per molte persone è più facile negare la realtà dei fatti che mettere in discussione le proprie idee.

Chiediamo al Signore di liberare la nostra mente da tutto ciò che gli impedisce di illuminare la nostra vita.

Dare la giusta importanza

Dare la giusta importanza

Un consiglio che invita a guardare anche a se stessi

Oggi Gesù ci invita a non dare importanza a chi crede di averne.
Soprattutto se la prende con chi pensa di poter consigliare gli altri proponendo delle cose che non fa.
Succede anche oggi.
E’ bene non pretendere dall’altro quello che io non faccio, come regola generale.
C’è molto da imparare dagli altri, ma basandosi più su ciò che fanno che su ciò che dicono.
Quindi non presumere di essere chissà chi.
Ma anche non pretendere dall’altro chissà cosa.
Ma quand’è che come i farisei, metto sull’altro pesanti fardelli? Ogni volta che pretendo che sia diverso da quello che è.
Quando lo faccio?
Molto semplice: ogni volta che mi arrabbio con qualcuno, appunto perché vorrei che fosse diverso.
A volte si fa anche con Dio!

La Genealogia di Gesù e il numero 14

La Genealogia di Gesù e il numero 14

Nel Vangelo di Marco è scritto che da Adamo a Gesù intercorrono 3 volte 14 generazioni

Nella Bibbia ricorrono spesso alcuni numeri con un’insistenza che a noi occidentali pare curiosa.

Per gli Ebrei, e in particolare ai tempi di Gesù i numeri si intrecciano spesso con concetti e argomentazioni. Lo scopo è quello di esprimere meglio e dare forza ai concetti che si vogliono comunicare.

Nel Prologo del Vangelo di Matteo, quello rivolto principalmente ai Cristiani provenienti dall’Ebraismo, troviamo una delle genealogie di Gesù.

Va detto innanzitutto che nella scrittura troviamo anche un’altra genealogia del Figlio, che però teneva conto di un’eredità non generazionale ma di affinità. Un po’ come quando leggiamo la genealogia di un Vescovo, nella quale non c’è un passaggio padre-figlio in senso materiale, ma il succedere delle ordinazioni. Quella di Matteo è invece una genealogia a tutti gli effetti.

Notiamo che essa è sviluppata in tre fasi: da Adamo a Abramo, da Abramo a David e da David a Gesù.

In tutte e tre le sezioni si contano 14 generazioni. Coincidenza? No. E vediamo ora perché.

Il significato numerico

Nell’alfabeto dell’ebraico biblico le prime lettere rappresentano anche i numeri da 1 a 10, e dalla composizione di questi si sviluppano gli altri.

La combinazione di due o più numeri può quindi dare un significato letterale o addirittura comporre parole.

Nel caso del 14, che ricorre nelle genealogie scopriamo che è ricondotto al nome di David. In ebraico David si scrive “דוִד”, ed essendo l’ebraico una lingua consonantica, e quindi priva di vocali, si riduce a una radice di tre lettere, date per noi da D, V e ancora D, e per gli ebrei da Dalet (ד), Vau (וִ) e ancora Daleth (ד). Nella rappresentazione dei numeri ebraici Daleth è il 4, Vau il 6. Sommando le tre “lettere” abbiamo quindi il numero 14, che testimonia la ricorrenza del nome di David, dalla cui dinastia secondo le scritture deve nascere il Messia.

Il significato semantico

Un’ultima considerazione va fatta sul nome di David e la sua origine. Pare che questa sia non già ebraica ma addirittura assira.

In ebraico David deriva dall radice “dod”, che è un termine fanciullesco per indicare il preferito, il “cocco”. La traduzione sarebbe quindi l’amato o il diletto. In assiro invece indicava il comandante delle truppe reali. Ecco perciò che dall’unione delle due accezioni abbiamo il “diletto che comanda l’esercito del re”.

Questa breve dissertazione funge da esempio, e conferma il fascino e la profondità del Vangelo, di cui è significativa ogni singola parola. E ciò ancor di più se lo contestualizziamo nel momento storico in cui fu scritto, per scoprire la straordinaria attualità che riveste ancora oggi.

Leggere il Vangelo con attenzione, calma e concentrazione, farsi continuamente domande sui significati, è un’abitudine che noi uomini del terzo millennio, purtroppo, soffochiamo e sacrifichiamo a vantaggio di tante altre opzioni, impiegando altrove il nostro tempo.

Santa Lucia, la ferma determinazione nell’amore di Dio

La storia di una delle sante più amate

Lucia di Siracusa nacque nella città siciliana nel 283, e visse nel pieno delle persecuzioni di Diocleziano.

Per etimologia del suo nome (lux = luce) viene invocata come protettrice del senso della vista. Non ha riscontro storico infatti la leggenda secondo cui la martire si strappò gli occhi quando sottoposta a torture dai pagani.

Il Canone romano la ricorda come una delle sette vergini.

La vita

La sua famiglia era di origini nobili e di fede cristiana, e la giovane Lucia, fin dalla tenera età, si consacrò segretamente a Cristo in verginità. Il padre, invece, la promise in sposa a un giovane pagano invaghito della sua straordinaria bellezza.

Preoccupata per la salute della madre, che soffriva di emorragie che nessuna cura, sebbene costosa le giovasse, si reco insieme alla madre Eutichia a Catania per chiedere la grazia della guarigione sulla tomba di Sant’Agata.

Giunte nella città etnea il 5 febbraio 301, le due donne si raccolsero in preghiera, quando Sant’Agata apparse a Lucia, dicendole: “Sorella mia Lucia, vergine consacrata a Dio, perché chiedi a me ciò che tu stessa puoi ottenere per tua madre? Ecco che, per la tua fede, ella è già guarita! E come per me è beneficata la città di Catania, così per te sarà onorata la città di Siracusa“.

Ripresasi dalla sorpresa, Lucia ebbe effettivamente modo di constatare la guarigione della madre, alla quale confidò in quel momento di essersi consacrata a Cristo e di voler seguire la strada della carità donando il proprio patrimonio ai poveri.

Nei tre anni successivi Lucia si dedicò a ogni tipo di opera di misericordia.

Nel frattempo il promesso sposo, indispettito e irritato per il rifiuto, cercò di dissuaderla in ogni modo. Quando si accorse di non riuscire a convincerla decise allora di denunciarla ai Romani come cristiana. Lo fece usando il termine “cristianissima”.

Al tempo della persecuzione di Diocleziano, questo bastava per arrestare un individuo, e Lucia fu sottoposta a un processo e a molte vessazioni.

Il processo

Le fu dapprima chiesto di fare sacrifici agli dèi, ma lei rifiutò. Fu allora minacciata e si arrivò a dirle che sarebbe stata mandata in un postribolo in modo che fosse profanata. Lucia rispose: “Il corpo si contamina solo se l’anima acconsente”.

Il prefetto Pascasio, che la interrogava, fu posto molte volte in difficoltà dalla risolutezza, decisione e fermezza della giovane e dal modo con cui citava le Scritture. Decise allora di farla tradurre via dall’aula, ma Lucia divenne così pesante che neppure i soldati riuscirono a muoverla.

La morte

Fu accusata perciò di stregoneria, cosparsa d’olio e torturata con le fiamme. Il fuoco però non riusciva a lambirla. Si decise quindi di trafiggerla alla gola con una spada (jugulatio). Lucia però morì solo dopo aver ricevuto la Santa Comunione, e non prima di aver profetizzato l’imminente fine delle persecuzioni di Diocleziano e la libertà per la Chiesa.

Aveva 21 anni.

Santa Lucia fu seppellita nelle catacombe di Siracusa. Oggi le sue spoglie riposano nel Santuario di Santa Lucia a Venezia, ma il luogo del suo principale culto resta a Siracusa nella Chiesa di Santa Lucia al Sepolcro.

Il luogo dell’Avvento

Il luogo dell'Avvento

Lungo il mare di Galilea

Oggi il luogo dell’Avvento, attraverso la testimonianza dell’apostolo Andrea, è “lungo il mare di Galilea”. Il lago di Tiberiade era così grande agli occhi dei pescatori di Galilea che appariva loro come un grande “mare”.
E sulle sponde del mare-lago passa Gesù e chiama. Su quella riva accade il suo avvento, la sua venuta. E la sua venuta diventa chiamata – cioè un cambio radicale di vita – per Simone e Andrea, intenti a gettare le reti in mare: “erano infatti pescatori”.
Il luogo dell’Avvento del Signore è il lavoro, il mestiere, lo spazio professionale di Pietro e Andrea e Giacomo e Giovanni, tra barche, reti, pesca e padre. In quel luogo – lungo il mare di Galilea – Gesù invita i nostri a seguirlo: “l’appello di Gesù non colloca in uno stato, ma in un cammino” (Maggioni).
E se provassimo a vivere così il nostro luogo di vita e lavoro? Come un luogo dove il Signore si fa avvento per noi, viene e ci chiama, viene e ci offre un orizzonte di senso più ampio. Viene e ci dice che qualunque nostra vita e professione può essere vocazione.
Vieni Signore Gesù e mostraci che la sponda del nostro mare di Galilea si chiama ufficio, fabbrica, famiglia, scuola, cooperativa, campo, ospedale, banca, negozio… vieni lungo il mare di Galilea del nostro quotidiano!

Vangelo di Marco: la guarigione del paralitico di Cafarnao

Vangelo di Marco: la guarigione del paralitico di Cafarnao

Il miracolo, lo scandalo dei farisei e la tradizione rituale ebraica

La guarigione di Cafarnao è uno degli eventi riportati da tutti e tre i Vangeli sinottici, e precisamente in Mc2,1-12; Lc5,17-26; Mt9,1-8.

Questo testimonia l’importanza attribuita dagli evangelisti sinottici a questo fatto, che nella sostanza è rivelatore di molti aspetti della missione terrena di Gesù.

Come sappiamo, ognuno degli evangelisti ha selezionato fatti, eventi e circostanze da trattare in modo più approfondito. E ciò per evidenziare ognuno a suo modo determinati aspetti della Rivelazione.

La guarigione di Cafarnao determina inoltre uno degli scontri più aspri con i farisei. Gesù infatti, osservando la fede del paralitico e degli uomini che lo calavano dall’alto scoperchiando il tetto della casa in cui Gesù si trovava, prima ancora di guarire l’infermo gli rimette i peccati.

Occorre considerare quindi il contesto ebraico del tempo. Per gli ebrei, la remissione dei peccati, quando ancora esisteva il tempio, avveniva durante lo yom kippur (יום כפור), il giorno dell’espiazione. Il Sommo Sacerdote si recava al tempio in pomposa processione, dopo essersi purificato. Veniva trasportato su una portantina, in modo che non avesse contatto minimamente con ciò che possa essere impuro. Più tardi, e precisamente durante il capodanno ebraico, il Rosh Hashanah (ראש השנה), Dio apriva i “libri della vita” e, Lui solo, poteva rimettere i peccati. Nel frattempo i fedeli avevano 10 giorni di tempo per redimere le questioni di conflitto con i fratelli.

Si trattava del momento rituale più alto del calendario ebraico. Oggi, in assenza del tempio, gli ebrei non possono svolgere questo rito e ritengono di non poter avere la certezza del perdono di Dio.

La frase di Gesù sulla remissione dei peccati, suscitò quindi uno scandalo enorme, in quanto era come se il Salvatore annunciasse pubblicamente di essere Dio («Perché costui parla così? Bestemmia! Chi può rimettere i peccati se non Dio solo?» (Mc2,7). A tutte queste considerazioni possiamo anche aggiungere che il miracolo avvenne di sabato.

Gesù, vedendo nel cuore dei farisei, li ammonisce sfidandoli: «Perché pensate così nei vostri cuori? Che cosa è più facile: dire al paralitico: Ti sono rimessi i peccati, o dire: Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina? Ora, perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere sulla terra di rimettere i peccati, ti ordino – disse al paralitico – alzati, prendi il tuo lettuccio e va a casa tua» (Marco 2,8-11).

È interessante notare come Marco e Luca si soffermino sullo scoperchiamento del tetto, mentre Matteo sorvoli su questo particolare.

Il Vangelo di Matteo è detto “Ecclesiale” e sottolinea invece la meraviglia del passaggio del potere della remissione agli uomini, attraverso Gesù-Uomo. Nella volontà di specificare l’apertura della casa dall’alto, Marco e Luca testimoniano la fatica dell’approccio dell’uomo con Dio.

Gesù indica in questo modo ciò di cui più abbiamo bisogno, che è il perdono dai nostri peccati: una necessità più urgente di quella del medico. Per questo Gesù si pone come Dio e anche come medico.

Di fondamentale importanza l’utilizzo dei termini. Nel Vangelo di Marco, Gesù si rivolge così al paralitico: «Figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati» (Mc2,5).

Il termine “figlio” aveva ed ha ancora per gli ebrei un significato e una valenza forte. Significa avere qualcosa a propria immagine e somiglianza. Anche Matteo usa questo termine. Luca invece usa il sostantivo “uomo” perché parla in termini di un universialità di una Chiesa che si apre anche ai gentili. Sottolineando inoltre la vicinanza al modo in cui Gesù ama definirsi nella sua funzione messianica: “Figlio dell’uomo”.

Comunione spirituale, opportunità e dono

Comunione spirituale, opportunità e dono

Gesù è dono gratuito per tutti

La pratica della Comunione spirituale non è diffusa né praticata quanto si dovrebbe.

Porta con sé numerosi significati e la possibilità di acquisire una vera comunione con Dio, attraverso il desiderio di riceverlo materialmente.

Chi non può per vari motivi avvicinarsi all’Eucarestia, se davvero desidererebbe accogliere in sé il Salvatore, può accostarsi infatti alla Comunione spirituale.

Il Magistero ha predisposto delle preghiere apposite per usufruire di questo dono gratuito del Signore, che possiamo trovare sul sito del Vaticano, cliccando QUI.

Si tratta dell’adempimento di una delle promesse di Gesù: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui” (Gv 14,23).

Con l’anima predisposta ad accogliere Dio, chiunque può soddisfare il desiderio di riceverlo.

Fa osservare Don Paolo Ciccotti sul suo blog: “Gli effetti che essa produce nell’anima sono gli stessi della Comunione sacramentale a seconda delle disposizioni con cui la si fa, della maggiore o minore carica di devozione sincera con cui si desidera Gesù, dell’amore con cui lo si riceve Gesù e ci si intrattiene con Lui. Certamente non può portare frutto se l’anima non è in grazia di Dio“.

Ulteriori incarichi diocesani per il nostro Parroco

Ulteriori incarichi diocesani per il nostro Parroco

Don Enrico Giovannini nominato da S.E. Mons. Borghetti, Responsabile Turismo, Sport e Tempo libero

Dopo essere stato nominato Vicario per la Valle Arroscia, il nostro Parroco Don Enrico Giovannini ha ricevuto nuovi incarichi di grande responsabilità in Diocesi.

Don Enrico, già Parroco a Mendatica, Cosio, Montegrosso e Rezzo, sarà il nuovo direttore dell’Ufficio Pastorale del Turismo, sport e tempo libero.

Ecco l’elenco dei nominati e dei confermati da S.E. Mons. Vescovo Guglielmo Borghetti:

In data 29 settembre 2021 Sua Eccellenza Mons. Guglielmo Borghetti ha nominato:

  • Vicario generale della Diocesi, il Reverendo canonico Bruno Scarpino;
  • Vicario giudiziale, il Reverendo canonico Tiziano Gubetta;
  • Cancelliere vescovile, il Reverendo canonico Pablo Gabriel Aloy,
  • Vice cancelliere, il Reverendo canonico Tiziano Gubetta;
  • Presidente dell’Istituto Diocesano Sostentamento Clero il Reverendo canonico Giancarlo Cuneo;
  • Direttore dell’Ufficio per la Pastorale Liturgica il Reverendo sacerdote Antonio Cozzi, vice direttore il Reverendo sacerdote Stefano Caprile;
  • Direttore della Caritas Diocesana la signora Antonella Bellissimo, vice direttore il Reverendo sacerdote Alessio Roggero;
  • Direttore dell’Ufficio Pastorale della Salute il Reverendo sacerdote Claudio Chiozzi, vice-direttore il Reverendo sacerdote Carmelo Galeone;
  • Direttore dell’Ufficio Pellegrinaggi il Reverendo monsignore Giovanni Battista Gandolfo, vice direttore il Reverendo sacerdote Stefano Mautone;
  • Direttore dell’Ufficio Pastorale del Turismo, sport e tempo libero il Reverendo sacerdote Enrico Giovannini;
  • Direttore dell’Ufficio Pastorale Scolastica il Reverendo sacerdote Luca Gabriel, vice direttore la dottoressa Sofia Martino;
  • Direttore dell’Ufficio Pastorale della Famiglia il Reverendo sacerdote Fabrizio Contini;
  • Direttore dell’Ufficio Pastorale sociale, del lavoro, giustizia, pace e salvaguardia del creato il Reverendo sacerdote Renato Elena, vice direttore il dott. Marco Rovere;
  • Direttore dell’Ufficio per l’Ecumenismo ed il Dialogo interreligioso il Reverendo canonico Gabriele Corini;
  • Direttore dell’Ufficio per la Catechesi il Reverendo sacerdote Fabio Bonifazio, Vice – Direttore il Reverendo sacerdote don Federico Basso;
  • Direttore dell’Ufficio Migrantes il Reverendo Canonico Edmondo Bianco, vice direttore il Reverendo sacerdote Antonello Dani;
  • Direttore dell’Ufficio per la Pastorale delle Comunicazioni Sociali il Reverendo Canonico Pablo Gabriel Aloy, Vice-direttore il Reverendo sacerdote Alessio Roggero;
  • Direttore dell’Ufficio pastorale della cultura il Reverendo Canonico Ettore Barbieri;
  • Direttore dell’Ufficio per la Pastorale giovanile e vocazionale, il Reverendo Sacerdote Matteo Boschetti, vice direttore il Reverendo canonico Gatti Enrico;
  • Direttore dell’Ufficio Cooperazione Missionaria tra le chiese Reverendo Sacerdote don Stefano Caironi;
  • Responsabile diocesano della consultazione sinodale il Reverendo canonico Pierfrancesco Corsi;
  • Vice direttore del museo diocesano il Reverendo sacerdote Emanuele Carlo Caccia;

Vengono altresì confermati:

  • il Reverendo canonico Bruno Scarpino, Delegato per il Diaconato permanente;
  • il Reverendo sacerdote don Francesco Zuccon, Delegato per la Vita Consacrata;
  • il Reverendo canonico Giancarlo Aprosio, Delegato per le Confraternite;
  • il Reverendo canonico Pierfrancesco Corsi, Delegato per le aggregazioni laicali.

Tutti inizieranno il loro servizio il giorno 4 ottobre p.v.

28 settembre: 1786 anni fa l’abdicazione di Papa Ponziano

28 settembre: 1786 anni fa l'abdicazione di Papa Ponziano

Fu il secondo a dimettersi, dopo Clemente I nel 97 d.C.

Se le dimissioni di Papa Benedetto XVI hanno fatto scalpore, occorre sapere che, seppur si tratti di un evento molto raro, l’abbandono della Cattedra di Pietro è ricorsa diverse volte nel corso della storia. Se ne contano ben otto.

Clemente I

Il primo a dimettersi fu Papa Clemente I, 4° Vescovo di Roma, Santo e Padre della Chiesa, il quale rinunciò nel 97 d.C. dopo essere stato condannato all’esilio. Il suo posto fu preso da Evaristo I.

Gli eventi si deducono dalla cronologia storica, sebbene non esistano documenti che comprovino le dimissioni.

Gli annali sanciscono però che Clemente (detto Romano, per distinguerlo da Clemente Alessandrino che visse a cavallo tra il II e il III secolo e anch’egli Padre della Chiesa), lasciò la guida della Chiesa nel 97, mentre la sua morte per martirio avvenne nell’anno 99.

Ponziano

La prima abdicazione certamente documentata è però quella di Papa Ponziano, 18° Vescovo di Roma e Santo, il quale divenne Papa il 21 luglio 230 e si dimise il 28 settembre 235. Ponziano fu condannato “ad metalia” (lavori forzati) da Massimino il Trace, e lasciò il soglio papale a Papa Antero.

Silverio

Per avere le terze dimissioni occorre attendere fino all’11 marzo 537, giorno in cui Papa Silverio, martire e Santo, fu costretto a rimettere l’incarico a causa di una tresca ordita dall’imperatrice Teodora. Al suo posto divenne papa Vigilio.

Benedetto IX e Gregorio VI

Più complicata la vicenda legata a Benedetto IX, ovvero Teofilatto dei conti di Tuscolo. Siamo nel 1045 e regna un Papa di giovanissima età, per alcuni di 12, per altri di 18, e per altri ancora di 25 anni: proprio Benedetto IX. Nei primi mesi dell’anno viene cacciato da Roma e sostituito da Silvestro III. Il 10 aprile Benedetto tornò a Roma e riprese il papato grazie all’appoggio della sua famiglia e dei Crescenzi. Pochi giorni dopo Benedetto rassegnò le dimissioni, ma in realtà vendette il papato per 2.000 librae al futuro Giovanni dei Graziani, detto Graziano, che salì al soglio pontificio col nome di Gregorio VI.

Lo stesso Gregorio VI dopo circa un anno venne costretto alle dimissioni perché si scoprì la simonia.

Celestino V

E veniamo quindi al 13 dicembre 1294, giorno in cui furono rese le dimissioni papali più note della storia, ovvero quelle di Celestino V. Pietro da Morrone, monaco e Santo, poco esperto di strategie politiche lasciò la Cattedra di Pietro per ritirarsi nuovamente in convento. Il suo “rifiuto” fu cantato da Dante nella Divina Commedia, e comportò l’ascesa a Papa di Benedetto Caetani, il Bonifacio VIII a cui il sommo poeta riservòi. un posto all’inferno quando il Papa era ancora in vita.

Gregorio XII

L’ultima vicenda, prima di quella che ha visto protagonista Joseph Ratzinger, risale al 4 luglio 1415, quando ci furono le dimissioni di Gregorio XII che ratificarono la fine dello scisma Avignonese. Una curiosità: fu l’ultimo Papa ad essere sepolto fuori Roma, e precisamente a Recanati.

È giusto precisare che le dimissioni di un Papa sono ammesse ai sensi del canone 332 § 2 del Codice di Diritto Canonico.