Pesca miracolosa: perché Giovanni specifica che i pesci furono 153?

Pesca miracolosa: perché Giovanni specifica che i pesci furono 153?

153 era il numero dei popoli conosciuti, un’indicazione derivante dalla numerologia ebraica, o altro?

Nel Vangelo di Giovanni, Gesù risorto esorta Pietro a gettare le reti, e ne scaturisce una pesca miracolosa. La narrazione di questo evento, però, specifica addirittura che il numero di pesci che gli apostoli portarono sulla barca fu 153.

Perché Giovanni ci tiene tanto a far sapere questo dettaglio che potrebbe essere interpretato come banale?

Sappiamo che nelle Scrittura nulla è banale, tanto è vero che da millenni ogni parola viene analizzata e produce fonti inesauribili di interpretazioni calzanti.

Alcuni esegeti spiegano semplicemente che Giovanni volesse in questo modo attestare la propria presenza all’evento, tanto da essere in grado di riferire un dettaglio così particolare. Ma incuriosisce la particolarità che questo numero assume.

Altri studiosi sostengono che 153 fosse il numero delle popolazioni allora conosciute (opinione accademica molto accreditata). In questo caso il significato oltrepasserebbe l’aspetto informativo. Il riferimento passerebbe chiaramente ad essere l’evangelizzazione in tutto il mondo, superando le barriere costituite dalla convinzione giudaica circa il “popolo eletto”.

Abbiamo diverse testimonianze circa gli studi effettuati su questo argomento, alcune delle quali coinvolgono dei giganti del pensiero cristiano.

San Girolamo, per esempio, era convinto che le specie ittiche esistenti fossero proprio 153. Ma ad onor del vero occorre dire che il numero delle specie marine, secondo altri autori, potesse essere anche differente.

La riflessione di Sant’Agostino ricorse alla matematica. Il numero 153 è una cifra “triangolare” con la base costituita dal 17 (non a caso corrispondenti a 10 + 7, per gli ebrei rispettivamente moltitudine e totalità. Di conseguenza il messaggio sarebbe quello di presentazione della pienezza della Chiesa.

Cirillo di Alessandria individua invece il significato nella somma tra: 100 (i Gentili), 50 (gli ebrei) e 3 (la Trinità).

I tentativi di interpretazione non si fermano però qui.

Il biblista tedesco Heinz Kruse fece ricorso al valore numerico delle parole ebraiche e scoprì che 153 è la somma delle lettere che formano la frase “Chiesa dell’amore” (כנסיית האהבה). Le lettere ebraiche corrispondono a: “qhl h’hbh“.

Vi fu poi il teologo anglicano John A. Emerton, il quale vide un nesso con Ezechiele 47,10, verso che descrive i pescatori compresi tra le località sulle rive del Mar Morto, Enghedi ed EnEglaim. L’analogia viene colta perché stranamente anche i valori numerici dei nomi di queste località offre come risultato il numero 153.

È un profilo molto particolare della storicità dei Vangeli. Certo, essi non ignorano che gli eventi riguardanti Gesù hanno una dimensione profonda e trascendente che va oltre la realtà immediata delle cose. Tuttavia, sono anche convinti che il loro messaggio nasce da una vicenda storica, verificabile e documentabile attraverso la testimonianza diretta. Così ha fatto Giovanni a proposito del sangue e dell’acqua usciti dal costato del Cristo crocifisso (19,35) e delle vesti funebri lasciate nel sepolcro dal Cristo risorto (20,7). Il numero elevato si presterà poi a celebrare simbolicamente l’abbondanza dei frutti della missione dei discepoli, “pescatori di uomini”.

Nel 2014 Famigliacristiana.it pubblicò un interessante articolo a questo riguardo, dal quale è stato attinto molto per questo post.

La 100.a Santa Messa di Don Luciano in parrocchia

La 100.a Santa Messa di Don Luciano in parrocchia

Il nostro vicario parrocchiale taglia un traguardo simbolico importante

Con la Santa Messa celebrata questa mattina presso la Parrocchia dei Santi Nazario e Celso, a Mendatica, Don Luciano supera il traguardo delle 100 Messe in parrocchia.

Tutta la comunità gli si stringe attorno nella speranza di collaborare con lui per la vita religiosa (e non solo) del nostro paese.

Tanti auguri e grazie di cuore, Don Luciano. Ad maiora.

Si evangelizza solo attraverso la Parola di Dio

Si evangelizza solo attraverso la Parola di Dio

Un discepolo di Gesù non è tale se usa la logica degli uomini o le proprie interpretazioni personali

«Non prendete nulla per il viaggio, né bastone, né sacca, né pane, né denaro, e non portatevi due tuniche. In qualunque casa entriate, rimanete là, e di là poi ripartite. Quanto a coloro che non vi accolgono, uscite dalla loro città e scuotete la polvere dai vostri piedi come testimonianza contro di loro».
(Dalla liturgia).

Gesù da tre compiti ai suoi apostoli: liberare dal demonio, guarire dalle malattie e annunciare il regno di Dio. I compiti che Gesù ha dato ai suoi inviati sono i medesimi che Egli stesso ha realizzato.

L’apostolo ha Gesù come modello, la missione non è qualcosa che ha assunto di sua iniziativa, è obbedienza a un comando (è Gesù che manda), e anche il contenuto della missione è vincolato dalla parola del Signore.

L’apostolo non è mai un libero professionista: è legato ad un comando e ad una parola. Il cristiano che pensa di agire di testa propria, di annunciare un vangelo diverso, magari adattato alle proprie idee o a quelle del mondo, cessa di essere apostolo, non annuncia più Gesù ma annuncia solo se stesso. E la parola che annuncia non potrà avere efficacia, non potrà liberare dal demonio e guarire dal male, perché non è parola di Dio ma solo parola di uomini. E come tale non ha alcun potere.

Dogma, un termine che spesso spaventa

Dogma, un termine che spesso spaventa

È un principio fondamentale con basi filosofiche e dottrinali inoppugnabili

Nella prossimità della solennità dell’Assunzione di Maria Santissima al cielo, che celebra l’ascesa in paradiso della Madre di Dio in corpo e anima, dogma della Chiesa Cattolica, soffermiamoci sul significato di questo termine che continua in molti a generare perplessità dovute anche alla scarsa conoscenza del termine.

Stando alla definizione del Vocabolario Treccani, il dogma ( = domma) è: «[dal lat. dogma -ătis, gr. δόγμα -ατος «decreto, decisione», der. di δοκέω «mi sembra»] (pl. -i). – Principio fondamentale, verità universale e indiscutibile o affermata come tale: d. filosofici, politici; i d. della scienza; d. giuridico, principio teorico di un istituto giuridico, del quale costituisce il sostrato fondamentale».

Analizziamo dunque da vicino. È dogma un principio fondamentale (quindi senza il quale si perderebbe fondamento), verità decretata in modo ampio da ritenersi indiscutibile all’interno di una dottrina, che viene affermata (e di conseguenza riconosciuta) da un’analisi filosofica, teologica (in ambito religioso), ma anche politico, scientifico e giuridico in altri campi.

Un dogma non è perciò un qualcosa che dobbiamo capire a tutti i costi, ma accettare per fede dopo che è stato vagliato attentamente e soppesato in ogni suo aspetto, e senza il quale non potrebbero essere tutti gli altri aspetti delle fede che invece hanno un riscontro evidente.

In altre parole, il Papa, decretando ad esempio il dogma dell’Assunzione di Maria Santissima, non l’ha fatto per devozione, ma perché senza riconoscere la sua ascesa in questo modo, non potremmo neanche credere che essa sia la Madre del Figlio di Dio.

Ne deriva che se crediamo nella Madonna, la conseguenza è quella di non mettere in dubbio la sua Assunzione.

Credere e dare credibilità a un dogma non è altro che essere Cristiani. Se non riconoscessimo Maria come Madre di Gesù non riconosceremmo neppure che Egli è il Figlio di Dio, e dunque non saremmo Cristiani.

Il dogma è allora facile da definire: esso è «verità soprannaturale contenuta, in modo implicito e esplicito, nella Rivelazione, e proposta dalla Chiesa come verità di fede, oggettiva e immutabile» (Vocabolario Treccani).

Un dogma è anche quello della Trinità, o anche della Immacolata Concezione, tutti concetti profondi e inesplorabili dalle capacità umane, ma che si raggiungono nella percezione attraverso una logica stringente e di apertura alla fede.

È curioso infatti vedere come molti fedeli o semplici praticanti non si pongano il problema della Trinità, molto più complesso, e si fissino invece sulla figura di Maria, dimenticando un tratto fondamentale per ogni credente in qualsiasi dottrina: «nulla è impossibile a Dio».

Venerdì 28 luglio la nostra comunità in festa

Venerdì 28 luglio la nostra comunità in festa

Festa patronale e Sante Cresime impartite da Mons. Vescovo Borghetti

Quest’anno la nostra festa patronale, che ricorda i potenti patroni di Mendatica, Santi Nazario e Celso, sarà celebrata con una coincidenza di eventi significativi.

Per Camilla Bianchi, Aurora Gelso e Francesco Bianchi, sarà il giorno della Sacra Confermazione, in cui dalle mani di S. E. Monsignor Guglielmo Borghetti riceveranno il Sacramento della Cresima.

La funzione sarà integrata nella Santa Messa solenne che avrà inizio alle ore 10.30 celebrata appunto dal Vescovo, e concelebrata dal Parroco Don Enrico Giovannini, dal Vice Parroco Don Luciano Massaferro e dal Parroco di Santo Stefano di Villanova d’Albenga, Don Giancarlo Aprosio.

Alle ore 17.30 la recita del Vespro presso la Parrocchia dei Santi Nazario e Celso, cui seguirà la processione alla quale parteciperà la Confraternita di Santa Caterina Vergine e Martire di Mendatica. È prevista la partecipazione di almeno 11 altre confraternite della zona e l’animazione da parte della banda.

Al termine ci si ritroverà tutti in piazza per un momento di gioia e convivialità.

La nostra comunità si stringe quindi attorno al suo Vescovo, ai suoi pastori e in questo giorno di felicità soprattutto ai cari Aurora, Camilla e Francesco.

La crisi ambientale è connessa a quella umana

La crisi ambientale è connessa a quella umana

Papa Francesco, ecologia e cultura dello scarto

Più volte e a tutti i livelli, Papa Francesco si è dimostrato preoccupato circa le condizioni del nostro pianeta e di conseguenza dell’habitat in cui l’uomo vive.

La denuncia è stata portata anche all’ONU e dunque all’attenzione dei potenti della Terra.

Nelle riflessioni del Papa emerge una stretta attinenza anche con l’aspetto spirituale e religioso. Bergoglio ha rilevato infatti quello che nella sua enciclica Laudato Sì traspare come “Vangelo della creazione”.

In Genesi, ricorda il Papa, i protagonisti della creazione sono tre: Dio, l’uomo e la terra. Le constatazioni oggettive sono due:

  1. Dio è stato escluso, e non figura né nei progetti né nelle considerazioni progettuali
  2. Il rapporto tra uomo e ambiente è divenuto conflittuale.

Si è affermato un utilitarismo dalla vista corta, ovvero poco attento alle implicazioni future, che mira esclusivamente al tornaconto immediato.

C’è inoltre da rilevare che questo “tornaconto” coincide con quello dei potenti, i quali, grazie alle disponibilità economiche possono pilotare scelte politiche, sociali e, naturalmente economiche.

Lo scienziato John Freeman Dyson ebbe a dire, tra il provocatorio e l’amaro, che la scienza sta diventando il produttore di giocattoli per ricchi, e che invece di soddisfare i bisogni, li crea. Un esempio? I viaggi su Marte per turisti.

Nel rapporto conflittuale tra uomo e natura si verificano delle situazioni innaturali. Le risorse (il nome dovrebbe evocare fattori positivi) sono divenute (invece) un problema. Si è affermata la “Cultura dello scarto”, la quale non si limita a gettare risorse, ma viene applicata anche agli uomini: chi non ha voce (feto, malati, disabili, anziani, ecc.) viene soffocato all’altare di un utilitarismo egoista. La vita diviene un accessorio da indossare o dismettere come meglio si crede.

Le soluzioni che vengono proposte, non comprendendo Dio, si basano pesantemente sulla denatalità. Si pensa infatti di risolvere tutto cercando di restare in pochi.

Questa mentalità è pericolosamente contraria ad ogni espressione di libertà e di fratellanza, e di conseguenza (in politica) mina anche l’aspetto democratico.

Il Papa ha anche invocato più volte il ricorso alla sussidiarietà. Lo sviluppo, e ancor più uno sviluppo che sia anche sostenibile, è necessario, ma non può oggettivamente essere imposto. La strada è dunque quella della sussiedarietà, ovvero il mettere in grado tutti di potersi gestire in modo autonomo.

In questo tipo di futuro sostenibile, devono entrare tutti, perché lo squilibrio nella società favorisce anche lo squilibrio in natura, e quest’ultimo distrugge l’ambiente.

Aiutare i popoli a raggiungere la capacità di sviluppo, con spirito cristiano e recuperando Dio, non è elemosina, ma una convenienza per tutti.

Questa Chiesa da amare e conoscere

Questa Chiesa da amare e conoscere

Prendendo spunto dal titolo del libro di Giuseppe Militello

Il titolo del libro del professor Don Giuseppe Militello, docente di Ecclesiologia, (“Questa Chiesa da amare e conoscere“) offre molti spunti di riflessione.

Se si ascoltano i numerosi commenti che la gente rilascia per strada, nelle discussioni, e soprattutto sui social, dove la “barriera” di schermo e tastiera garantisce uno “scudo” dietro cui sentirsi al riparo dall’essere osservati, emerge che l’idea che si ha della Chiesa è distorta ed è molto distante da quando potrebbe essere se la si conoscesse o la si frequentasse.

In genere si intende “Chiesa” l’edificio di mattoni o pietra, o in molti casi l’istituzione romana.

Queste convinzioni sono totalmente errate. Per capire veramente e in modo corretto cos’è la Chiesa occorre far riferimento al suo nome stesso, che deriva da ἐκκλησία (ekklēsìa) termine greco che si traduce in “assemblea”.

La Chiesa è dunque l’assemblea, ovvero la riunione dei fedeli, i quali svolgono il compito di adorare, ringraziare, pregare, invocare Dio, per compiere il percorso terreno in vista della soluzione escatologica (la vita eterna).

Tutte le critiche rivolte eventualmente a Papi, Vescovi, Sacerdoti o diaconi, sono personali, e quindi non intaccano il significato di Chiesa.

Il Papa è il Vicario di Cristo, successore dell’apostolo Pietro a cui Gesù ha affidato la custodia della Chiesa e della Fede, ma non ha accezioni divine. In quanto uomo il Papa può sbagliare, ma gli eventuali errori non vanno attribuiti alla “assemblea” dei fedeli, e quindi alla Chiesa.

Gesù non ha abbandonato la sua “assemblea”, ma ha promesso che avrebbe mandato lo Spirito Santo, e lo ha fatto.

Confondere quindi la Chiesa con opere degli uomini, soprattutto quando non capiamo i motivi di certe scelte delle istituzioni, è un grave errore e di riflesso mette in dubbio l’opera dello Spirito Santo.

L’incarico dato da Cristo alla Chiesa non è affatto banale, e la responsabilità dei Papi è pesante. La Chiesa deve convogliare verso Cristo le richieste umane di mediazione, in quanto con l’Incarnazione, Gesù è l’unico mediatore di Salvezza.

Questo è il fondamentale: indirizzare verso la Salvezza. Non è saggio dunque fermarsi a discutere su come l’istituzione vaticana intende svolgere questo compito, ma è importante invece concentrarsi sull’obiettivo.

Un’altra accusa che viene rivolta alla Chiesa è quella inerente a certi comportamenti deprecabili e a volte anche imperdonabili di qualche suo membro istituzionale. Fermo restando che il peccato perpetrato da chi dovrebbe essere da esempio è più grave che altri, questo resta un peccato fatto da un uomo. Sarebbe assurdo contestare l’idea per colpa dell’uomo. Sarebbe come ripudiare la democrazia nel caso in cui un Presidente o un Re fossero infedeli.

Il libro di Militello spiega attraverso l’approfondimento della Lumen Gentium la bellezza della Chiesa, e invita soprattutto a conoscerla. Non si può amare senza conoscere, ma è altrettanto vero che senza conoscere è stupido il rifiutare.

Alla base di molte critiche e fraintendimenti c’è proprio la scarsa conoscenza, o, peggio, l’impressione di conoscere solo attraverso luoghi comuni o apparenza. Parlare bene o male, elogiare o criticare qualcosa che non si conosce non è saggio, non è corretto e forse neppure intelligente.

Maternità è collaborazione con Dio, auguri a tutte le mamme

Maternità è collaborazione con Dio, auguri a tutte le mamme

La vita come bene più prezioso

Che la vita sia un bene prezioso è una frase che non incontra contestazioni, ma che purtroppo ai nostri giorni è soggetto ad una retorica pericolosa.

Le contraddizioni che intercorrono tra considerare la vita sacra e accamparsi il diritto di scegliere se far nascere oppure no un bambino, è evidente e ricorrente.

In realtà il concetto fondante di maternità viene spesso sminuito, mentre dovrebbe facilmente essere considerato il valore più alto in assoluto presente su questa terra.

Di fatto costituisce l’esempio più chiaro e esplicito della collaborazione tra Dio e l’Umanità. La donna è stata scelta per essere la più stretta collaboratrice della volontà di Dio, che esprime di fatto nella continuazione della specie umana.

Sebbene la Chiesa abbia giustamente affiancato alla procreazione l’amore tra i coniugi, come fondamento del matrimonio cristiano, essa ricopre un ruolo fondamentale nell’universo.

Si tratta della partecipazione con consapevolezza alla prosecuzione della presenza dell’uomo sulla terra: una responsabilità che innalza l’essere umano a doveri sublimi. È di fatto l’atto che sancisce la maturazione dell’Uomo.

Un uomo e una donna maturi e consapevoli conoscono i propri doveri e li accettano.

La donna è elevata al più alto grado di considerazione e assume una posizione preminente.

Le leggi naturali che Dio ha consegnato all’Uomo assegnano alla donna il ruolo fondamentale che determina la vita, ad immagine della Santa Vergine, Mamma di tutte le mamme, che portò in grembo il Figlio di Dio pur sapendo che una spada gli avrebbe “trapassato l’anima”.

Per questo e per mille altri motivi gli auguri a tutte le mamme del mondo giungano con l’amore più sentito.

Scritture: Apocalisse non è catastrofe, Giobbe non fu paziente fino in fondo

Scritture: Apocalisse non è catastrofe, Giobbe non fu paziente fino in fondo

Approfondire le Scritture smentisce anche dei luoghi comuni

La conoscenza superficiale delle Scritture ha portato attraverso i secoli a convinzioni equiparabili a veri e propri luoghi comuni.

Complice la scarsa precisione di chi evidentemente ha utilizzato il titolo o le citazioni dei testi senza particolare puntualizzazione, in una grande fetta di credenti si sono insinuate convinzioni errate, proliferando nel tempo e divenendo scontate.

Due tra i più macroscopici esempi sono l’Apocalisse e il Libro di Giobbe. La prima costituisce l’ultimo libro del Nuovo Testamento e chiude di fatto la Rivelazione, a cui nulla si può aggiungere. Il secondo risulta al momento il più antico tra i testi della Bibbia essendo stato datato nel periodo che intercorre tra il 1900 e il 1700 a.C.

Apocalisse

Apocalisse deve il suo titolo al termine greco ἀποκάλυψις (Apokalupsis) che significa Rivelazione. Si ritiene scritto da Giovanni apostolo, ma testualmente l’autore si cita all’interno dell’opera: si chiama in effetti Giovanni e si trova nell’isola di Patmos.

Si tratta di un testo difficile e complesso sia nella traduzione che nell’interpretazione proprio perché si identifica in un genere letterario specifico (appunto “apocalittico”) che comprende una vasta simbologia, una trasmissione di concetti per immagini.

Non parla di una catastrofe come lo si ritiene normalmente, tanto da far divenire il termine “apocalisse” sinonimo di immane sciagura, ma rivela in senso escatologico quanto avverrà alla fine dei tempi.

Alcune immagini sono forti e prepotentemente indicative, ma il significato complessivo porta ad un’espressione profetica e non certo negativa.

Libro di Giobbe

Quante volte noi stessi abbiamo pronunciato la frase “pazienza di Giobbe”? Ebbene, può sembrarci strano ma Giobbe fu paziente, ma non subì passivamente tutte le prove a cui fu sottoposto.

In realtà fu un uomo abbastanza sfortunato in quanto preso di mira dal demonio, dopo aver ottenuto per questo il consenso di Dio, a patto che il maligno non togliesse a Giobbe la vita.

Fu dunque sottoposto ad ogni genere di patimento sia fisico che psicologico che morale, e sopportò tutto pazientemente finché un giorno la sua rabbia esplose.

Giobbe, allora, se la prese un po’ con tutti, persino con Dio, e a nulla valsero neppure le raccomandazioni dell’Onnipotente che si presentò a lui dopo che Giobbe lo ebbe preteso.

Solo quando Dio lo mise di fronte alla sua condizione di “essere umano”, Giobbe prese coscienza del Timor di Dio e improvvisamente si tappò la bocca con le mani, per significare che a Dio non si deve e non si può replicare.

“E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi …”

"E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi ..."

La profondità del Vangelo e la difficoltà di descriverla in parole umane

Dalla lettura del Vangelo traiamo infiniti spunti: è come una miniera inesauribile. E questa realtà risulta ancora più sorprendente se consideriamo che a parole non si riesce ad esprimere tutta la profondità del messaggio.

Le varie traduzioni dai testi antichi incontrano inoltre il problema di esprimere nei verbi delle lingue nazionali tutta la forza che il redattore ha voluto concentrare sui termini usati, i quali erano probabilmente a loro volta insufficienti in relazione alla potenza del messaggio.

Prendiamo ad esempio quello che è riconosciuto come uno degli inni più sublimi dell’intera letteratura mondiale: il Prologo al Vangelo di Giovanni.

A parte i primi tre versetti, che esprimono in poche ma dense parole la pre-esistenza di Cristo e introducono il pensiero trinitario, troviamo successivamente il motivo di constatare quanto si perda nel leggere le Scritture senza un’adeguata conoscenza di esse.

Nel versetto 14 del Prologo (Gv 1,14) vengono utilizzate espressioni verbali significative. In primis constatiamo che “il Verbo SI FECE carne”. Nessun intervento esterno: è il Logos stesso, del quale ci è stato detto al versetto 1,1 che è Dio, che di sua iniziativa si incarna. Generosamente e in piena libertà.

La traduzione “venne abitare in mezzo a noi”, invece, non rende interamente giustizia al significato, in quanto il redattore intendeva qualcosa di ancora più profondo. La formula usata non è infatti “venne ad abitare”, ma un verbo che nel Nuovo Testamento figura esclusivamente qui e in 4 altri versetti dell’Apocalisse: “Eskenosen”. Si tratta dell’auristo del verbo “piantare la tenda”. L’auristo è infatti un modo verbale greco che indica un’azione conclusa nel passato, ma che protrae le sue conseguenze ancora oggi.

“Piantare la tenda” richiama l’Antico Testamento, e precisamente il momento in cui Dio decise di frequentare con il segno esterno della nube, la tenda del convegno, e di guidare il popolo eletto verso la Terra Promessa.

Nella formula utilizzata da Giovanni c’è quindi l’intenzione di farci capire che con l’Incarnazione, Gesù-Dio ci guida direttamente verso verso la Vita Eterna. Da parte nostra però è necessaria l’accoglienza. La nube si posava sulla tenda, e il popolo si arrestava nel suo cammino per riposare. Quando la nube si innalzava, il popolo la seguiva docilmente.

Nel dirci che il Verbo ha piantato la tenda in mezzo a noi, si vuole anche spiegare che è necessario restare all’interno del percorso che Dio ha tracciato.