La Dottrina Sociale della Chiesa, cos’è e come invece viene intesa

La Dottrina Sociale della Chiesa, cos'è e come invece viene intesa

La via della Chiesa per il convivere sociale degli uomini

Viviamo in un’epoca in cui relativismo e superficialità hanno il predominio. L’avvento dei social, invece di incentivare un desiderio di crescita culturale, ha intensificato la tentazione di accogliere le informazioni raccolte in rete a seconda delle proprie convinzioni, senza indagare sulla loro attendibilità, e senza preoccuparsi di approfondire i concetti espressi per verificarne i contenuti. In pratica internet è divenuto il mezzo per apparire senza grandi sforzi ciò che vorremmo che gli altri pensino di noi, e non per condurci ad essere ciò che siamo in realtà. In questo contesto si collocano anche i grandi problemi esistenziali, e i temi fondamentali del convivere civile.

Cos’è e cosa non è

Nello specifico, riguardo alla Dottrina Sociale della Chiesa si è detto di tutto e di più, da infinite parti e direzioni.

Vediamo allora di approfondire questo tema. Se non altro per fare un poco di chiarezza e evitare fraintendimenti che in alcuni casi possono essere anche strumentali o funzionali a strategie politiche inopportune.

Va innanzitutto chiarito un principio fondamentale: la Dottrina Sociale della Chiesa è parte della Teologia Morale. E non potrebbe essere altrimenti, visto che fa riferimento a comportamenti dettati da principi confessionali. E con questo si risponde a chi si arroga il diritto di sostenere che la Chiesa non possa intervenire nel sociale.

Non è, come molti credono sbagliando, un “sistema” ma una terza via che propone una critica a Socialismo e Capitalismo. E non è una “tecnica” ma una categoria che fa parte della Dottrina Morale.

La prospettiva della Dottrina Sociale della Chiesa non è il raggiungimento di un “paradiso in terra”, che essa stessa riconosce impossibile da acquisire. È invece un ordine sociale che permetta all’uomo di vivere nella volontà di Dio e di condurre una vita cristiana in cui realizzare le proprie aspirazioni umane e religiose in modo degno.

Si tratta di una dottrina dinamica e non statica. Infatti è in continua evoluzione. Pur essendo sempre stata presente nella Storia della Chiesa a vari livelli e più o meno affermata nei tempi e nei luoghi, è assurta a importanza capitale e palesata in modo chiaro a partire da Leone XIII con la Rerum Novarum, e prosegue senza soluzione di continuità fino a Francesco.

Nella sua evoluzione non modifica e non ha mai surrogato i valori fondamentali perché sono radicati nel Vangelo. Possono variare invece le applicazioni in funzione del contesto, anche perché è disciplina che si applica all’uomo nella sua “umanità”.

Il conflitto con la Politica

Questi motivi di fondo staccano in modo netto la Dottrina Sociale della Chiesa da qualsiasi posizione politica e ancor meno partitica.

Non è corretto altresì affermare che essa si avvicini più ad un principio politico piuttosto che ad un altro. La Dottrina Sociale della Chiesa prevede infatti soluzioni che sono incompatibili in via sostanziale con qualunque altra proposta politica. E ciò è conseguenza del fatto che l’obiettivo della Dottrina Sociale della Chiesa non mira ad un potere governativo, ma all’acquisizione di valori morali che guidino ad una presa di coscienza.

Ne sorte quindi un conflitto permanente con ogni forza politica. E ciò avviene nel momento stesso in cui l’espressione del potere privilegia l’aspetto utilitaristico a scapito di un disegno organico di formazione di una coscienza comune e di un progresso paritario.

Il concetto stesso di parità viene espresso nella Chiesa come un’esigenza che tenga conto delle insuperabili diversità. Allo stesso tempo deve però impedire che una parte soffochi l’altra.

La proprietà privata

In questa ottica si inserisce la posizione della Chiesa sulla proprietà privata. Su questo concetto le strumentalizzazioni si sono moltiplicate proprio per pressapochismo, relativismo e superficialità.

Va innanzitutto detto che la Chiesa riconosce la proprietà privata come strumento indispensabile per garantire all’uomo sicurezza e dignità. Senza l’idea di poter disporre di qualcosa di proprio non sarebbe possibile garantire all’uomo un futuro sereno e scevro di oppressione.

Questo però non può e non deve autorizzare ad intendere la proprietà privata come un qualcosa di assolutamente dovuto a scapito di chi non ha propri mezzi. In questo senso la proprietà privata non è più un valore assoluto, ma deve essere strumento per consentire una dignità di base e di vita anche a chi è rimasto indietro.

Non si tratta di utopia, ma appunto di una via che si contrappone ad un modo di pensare mondano e utilitaristico. Fattori, questi, che colpiscono in modo paritario ogni cultura politica.

Conoscere la Dottrina Sociale della Chiesa

L’invito è quindi quello di informarsi circa le proposte che sono state formulate attraverso le encicliche dei pontefici che si sono susseguite. Apartire dalla Rerum Novarum del 15 maggio 1891 di Leone XIII, fino alla Fratelli Tutti del 3 ottobre 2020 di Papa Francesco, intercalate da numerosi documenti dottrinali. Solo con l’informazione si può affrontare una critica costruttiva e formarsi un’idea concreta sull’argomento, che non sia penalizzata da luoghi comuni o inesattezze. E soprattutto si raggiunge la piena libertà riguardo a colpevoli strumentalizzazioni.

Lo studio della Bibbia: critica testuale

Lo studio della Bibbia: critica testuale

Le difficoltà derivanti dalla trasmissione nei secoli del libro più letto del mondo

L a critica testuale della Bibbia è indispensabile soprattutto se prendiamo atto che questa opera non ci è giunta in copie autografe, ma in versioni derivanti da epoche differenti e su diversi supporti.

La possiamo leggere nelle lingue originali nelle quali essa è stata scritta (ebraico, aramaico, greco), ma anche nelle varie lingue di tutti i periodi storici successivi in cui è stata tradotta.

Il pericolo è quello di incorrere in versioni che abbiano modificato, in modo più o meno volontario o doloso, contenuti o parole. A ciò si aggiunga la difficoltà di interpretazione delle antiche scritture e l’intervento di eventi che abbiano potuto snaturarle o anche minimamente modificarle.

Attualmente, e ciò anche grazie ai metodi scientifici che costituiscono l’approccio indiscusso allo studio dei testi, possiamo dire che la ricerca è riuscita a dare una garanzia di fondo alla volontà di risalire ai testi originali. Per quanto consentito dalle più moderne tecniche, si può affermare che oggi possiamo avere una ragionevole certezza che quanto leggiamo sia conforme alla stesura originaria. Salvo ovviamente nuove scoperte.

Le difficoltà linguistiche e letterarie

Non ci si può nascondere però che le difficoltà sono notevoli. Sotto l’aspetto testuale stretto, le lingue semitiche, come ebraico e aramaico, non comprendono l’utilizzo di vocali. Si affidano alla scrittura delle radici consonantiche del termine, il quale nella maggior parte dei casi esprime un concetto. Nelle tradizioni semitiche antiche il modo stesso di pensare e di agire presenta delle evidenti differenze con quello occidentale. E ancora di più col pensiero occidentale moderno. Lo stesso concetto di parola è strettamente legato all’agire, e lo si può facilmente notare nella narrazione della creazione, riferito a Dio. Ne deriva che il termine “parola” assume un significato più pieno di significato rispetto a come oggi noi lo intendiamo. E ciò deriva anche dalla povertà numerica dei termini utilizzati nelle lingue antiche, unito alla necessità di esprimere comunque concetti più ampi.

Inserendo le vocali in una radice consonantica può quindi generare confusioni, attribuendo ai termini un significato o una “forza” diversa.

In passato, e precisamente tra il I e il X secolo circa, intervennero i Masoreti, ovvero degli studiosi ebraici che si occuparono di rendere la lettura di più facile accesso. La versione della Bibbia adottata oggi dall’Ebraismo è infatti un testo masoretico.

I Masoreti introdussero delle varianti significative attraverso delle note a margine o tra le righe, indicando la corretta pronuncia, ma anche la particolarità del testo.

I testi antichi

I testi più antichi finora ritrovati risalgono al IX secolo. Siamo però in possesso di frammenti anche molto più antichi, come ad esempio quelli di Qumran. Il problema sorge circa le differenze che si evidenziano tra i vari testi ritrovati. In alcuni casi la variazioni intervengono nella misura di 1 parola su 1000. In altri casi la frequenza è maggiore.

Attualmente attraverso un complicato lavoro di catalogazione e una gerarchia delle fonti, si tende a dare preminenza ai testi più antichi. Per determinarli ci si affida alla Paleografia, la disciplina che studia non solo i materiali delle varie epoche, ma anche gli stili e i metodi di scrittura.

Esistono delle versioni privilegiate, i cosiddetti “codici”, i quali sono ritenuti più affidabili rispetto ad altri secondo ogni aspetto. Possiamo citare il Canone Vaticano, o Codice B, o Codice 03, che è attualmente il più antico testo ritrovato che sia completo da Genesi a Apocalisse. Altri codici importantissimi sono il Codex Sinaiticus e il Codex Alexandrinus, e altri ancora.

Oltre ai codici esistono singoli manoscritti su papiro o pergamena, ma anche frammenti su diversi supporti. Tutto questo “materiale” viene catalogato e indicato attraverso una classificazione che comprende lettere maiuscole o minuscole, oppure l’iniziale del supporto utilizzato. Abbiamo così dei manoscritti detti “maiuscoli” seguiti da un numero, altri “minuscoli”, o altri ancora caratterizzati da una lettera particolare.

Questo sistema aiuta i ricercatori a orizzontarsi nell’oceano dei documenti, afferrando immediatamente la tipologia a cui ci si avvicina. Molta importanza viene attribuita per esempio ai papiri, essendo tipicamente il supporto quasi sempre più antico. Ad esempio il P52, Papiro 52, anche chiamato Rylands52, conservato nella omonima biblioteca universitaria di Manchester, è un frammento di una copia del Vangelo secondo Giovanni che potrebbe essere datato tra il 125 e il 175. Riporta i brani da Gv 18,31-33,37-38.

Gli errori manuali

Ma oltre a tutto ciò dobbiamo anche tenere conto di quelli che sono stati alcuni errori manuali, anche involontari, in cui i trascrittori sono incorsi attraverso i secoli.

A riportare i testi affinché non andassero distrutti ci pensarono soprattutto gli amanuensi, per la maggior parte monaci. Dobbiamo considerare che le lingue semitiche, essendo come già detto povere di termini, utilizzavano spesso la ripetizione di intere frasi, anche più volte all’interno del medesimo periodo. Questo stile era adottato proprio per la mancanza di termini che fossero abbastanza incisivi per rendere più enfatica una frase. Nei casi in cui un amanuense avesse dovuto interrompere il lavoro, è accaduto spesso che un periodo fosse ripetuto più volte del necessario, oppure addirittura tralasciato. Senza contare ovviamente gli errori di trascrizione ponendo una lettera per un’altra. La coincidenza di vari errori (ripeto: voluti o non voluti), ha determinato versioni differenti nel momento in cui si procede alla traduzione o all’interpretazione di un concetto.

La Bibbia dei LXX

I testi masoretici hanno di fatto comunque sostituito la più antica traduzione della Bibbia di cui noi siamo oggi a conoscenza e che risale all’era tolemaica (precisamente al I secolo a.C). Si tratta della Bibbia Septuaginta, meglio conosciuta come Bibbia dei LXX.

Tolomeo II Filadelfo, Faraone d’Egitto, incaricò i saggi di Alessandria di tradurre in greco la Bibbia ebraica. A questo incarico risposero 72 rabbini, 6 per ogni antica tribù di Israele. Questa Bibbia non va però confusa con altre versioni greche importanti. Non si possono non citare le Bibbie di Aquila di Sinope, di Simmaco l’Ebionita e di Teodozione, le quali figurano anch’esse nell’Exapla di Origene.

Lo studio e la critica testuale della Bibbia è affascinante non solo per questi aspetti tecnici, ma soprattutto per i loro risvolti teologici. Ma non si può dimenticare la dimensione romantica. Gesù leggeva (e lesse nella Sinagoga) srotolando i papiri e inserendo a memoria le vocali in una scrittura consonantica. Oggi per aiutare la lettura dei testi ebraici si ricorre ad un sistema di simboli codificati che indicano quale vocale inserire e altri sussidi per la lettura corretta.

I padri cappadoci, dottrina cristiana e filosofia

I padri cappadoci, dottrina cristiana e filosofia

L’importanza dei luminari di Cappadocia nella storia della Chiesa

La ricorrenza dei santi Basilio Magno e Gregorio di Nazianzo del 2 gennaio, fornisce una grata occasione per rinverdire la conoscenza dei padri cappadoci, annoverati tra i Dottori della Chiesa.

Costituivano un gruppo di tre dotti monaci del IV secolo, formato da Basilio, Gregorio di Nissa (suo fratello), e Gregorio detto il Nazianzieno. Provenivano dalla regione appartenente oggi alla moderna Turchia, e riuscirono tra le altre cose, a dimostrare ai letterati del loro tempo che il Cristianesimo non è una dottrina contraria alla filosofia, ma porta anche ad un nuovo stile di vita.

Basilio il Grande

Basilio, successivamente definito “il Magno”, fu certamente il più importante fra i tre. Introdotto con il fratello alla fede cristiana dalla nonna Macrina, era figlio di un noto retore e avvocato, mentre suo nonno fu un discepolo di Gregorio il Taumaturgo del Ponto che perì martire durante le persecuzioni di Diocleziano.

Nacque a Cesarea in Cappadocia nel 329. Fu ordinato presbitero all’età di 31 anni. 10 anni dopo, nel 370, alla morte del grande storico e vescovo Eusebio, fu eletto Vescovo di Cesarea, metropolita ed esarca dell’intera regione del Ponto.

Si oppose coraggiosamente e fieramente all’imperatore Valente, il quale sosteneva le tesi ariane. A lui si deve la nascita del primo ospedale della storia dell’umanità. Edificò infatti la cittadella di Basiliade, che ospitava locande, ospizi e lebbrosari.

Scrisse moltissime opere di carattere dogmatico e ascetico, oltre che omelie e discorsi. Con l’amico Gregorio di Nazianzo, col quale condivise la vita conventuale in gioventù, scrisse un importante trattato sullo Spirito Santo in cui si afferma la consustanzialità delle tre Persone della Trinità. Di notevole importanza fu anche la sua antologia origeniana, la Filocalia, anch’essa scritta con Gregorio Nazianzieno.

Altre opere di carattere fondamentale sono : Contro Eunomio, Lo Spirito Santo, Asceticon, e numerose altre.

Morì nel 379, l’anno successivo a quello in cui Teodosio elevò il Cristianesimo a religione di Stato.

Gregorio di Nissa

Gregorio, che successivamente fu definito Nisseno, fu istruito dal fratello Basilio e dopo gli studi fu colto da una crisi spirituale decidendo di non consacrarsi. Ritornato alla fede fu ordinato presbitero e entrò nel monastero di Basilio. Fu eletto Vescovo di Nissa nel 371.

Tra le poche notizie certe su di lui, sappiamo, che pur essendo il più giovane tra i tre Padri Cappadoci, fu quello che con maggiore organicità operò un’assimilazione filosofica della letteratura pagana alla fede cristiana servendosi del metodo paideutico.

Fu anch’egli autore di numerosissime opere di carattere teologico, ascetico e esegetico.

Gregorio di Nazianzo

Nacque a Nazianzo nel 329 e vi morì nel 390. Per tutta la vita fu amico di Basilio Magno. Fu incaricato di redigerne l’elogio funebre. Il padre Gregorio anch’egli, era ebreo appartenente alla setta degli Ipsistari, ma fu convertito dalla moglie Nonna e divenne Vescovo di Nazianzo.

Studiò presso il Didaskaleion e, successivamente, ad Atene fu compagno di studi del futuro imperatore Giuliano l’Apostata contro cui pubblicò l’Oratio IV. Fu Vescovo di Costantinopoli, e in tale veste partecipò al Concilio del 381. Nel 382 divenne Vescovo di Nazianzo e dopo un anno si ritirò in solitudine nella frazione di Arianzo ove morì 8 anni più tardi.

Scrisse una rappresentazione sacra (“La passione di Cristo”), numerosi poemi sacri, ma soprattutto 45 tra discorsi e omelie e 245 epistole che ci trasmettono il suo pensiero. Nel 1568 fu proclamato Dottore della Chiesa da Papa Pio V.

 

La Chiesa madre di tutte le genti

La Chiesa madre di tutte le genti

Viaggio nel significato di un concetto che non è solo una formula

La superficialità con la quale spesso viene affrontato il concetto di Chiesa intesa come madre , deriva da un allontanamento dal suo profondo significato.

Dal momento della sua istituzione, la Chiesa ha ricevuto un mandato che l’ha costituita custode della Fede e l’ha resa responsabile del suo annuncio. Un compito che investe di responsabilità tutti gli appartenenti in modo solidale, affinché il messaggio arrivi a tutti.

La prima parte della vita della Chiesa la vide impegnata soprattutto nell’evangelizzazione, attraverso la trasmissione della Parola e la testimonianza di vita. Ma già nel discorso di Pietro, subito dopo la discesa dello Spirito Santo nella Pentecoste, notiamo delle esortazioni materne, che si evidenziano nel porgere l’annuncio con dolcezza.

Nella Didaché (διδαχή, dal greco, “insegnamento”, “dottrina”) scritta tra la fine del I secolo e l’inizio del II, troviamo dei richiami all’unità del corpo mistico. È dall’unione di molti chicchi che nasce il pane eucaristico. E dallo stesso documento possiamo trarre notizia di come le prime comunità vedessero la Chiesa come “famiglia”. Al tempo però l’immagine di Chiesa-Madre era delegato probabilmente solo alla sensibilità dei singoli.

Nel VI secolo si prese coscienza della funzione generatrice della Chiesa. La madre biologica genera i figli e li nutre. Così la Chiesa genera attraverso il lavacro della rigenerazione (il Battesimo), e nutre i suoi figli attraverso la Parola e l’Eucarestia.

Fino a quel momento il Battesimo era impartito esclusivamente agli adulti. Da allora si iniziò a praticarlo ai neonati, a cui venivano impartite anche Cresima e Comunione.

Si ritenne successivamente che anche con il solo Battesimo il neonato può avere la Salvezza. Confermazione ed Eucarestia vennero quindi successivamente procrastinate. Fu il Concilio di Trento (1545-1563) a sancire la decisione. L’obbligatorietà per i genitori credenti di battezzare i figli, ancor oggi riconfermata dal Codice Canonico, si ebbe invece nel 1172.

Mater et Magistra

Mirabile è la descrizione della funzione materna della Chiesa fatta da Papa Giovanni XXIII al primo punto dell’introduzione dell’enciclica Mater et Magistra: “1. Madre e maestra di tutte le genti, la Chiesa universale è stata istituita da Gesù Cristo perché tutti, lungo il corso dei secoli, venendo al suo seno ed al suo amplesso, trovassero pienezza di più alta vita e garanzia di salvezza. A questa Chiesa, colonna e fondamento di verità, (Cf. 1 Tm 3,15) il suo santissimo Fondatore ha affidato un duplice compito: di generare figli, di educarli e reggerli, guidando con materna provvidenza la vita dei singoli come dei popoli, la cui grande dignità essa sempre ebbe nel massimo rispetto e tutelò con sollecitudine. Il cristianesimo infatti è congiungimento della terra con il cielo, in quanto prende l’uomo nella sua concretezza, spirito e materia, intelletto e volontà, e lo invita ad elevare la mente dalle mutevoli condizioni della vita terrestre verso le altezze della vita eterna, che sarà consumazione interminabile di felicità e di pace.

La Chiesa viene identificata troppo spesso nell’immaginario popolare solo come istituzione, perdendo di vista la sua vera identità di popolo, e popolo in cammino. Si tratta di un aspetto importante che non può essere ignorato dai cattolici, perché riguarda l’essenza e il significato di un progetto che parte da Cristo.

Lo scopo della Chiesa è dunque quello di essere il tramite, e di proseguire in questa accezione l’opera di mediazione di Cristo. Se Cristo è l’unico mediatore, la Chiesa de fungere da tramite. E ciò, come è facilmente intuibile, esula dalla sua struttura gerarchica, unica al mondo ad avere in cima un “Servo dei Servi di Dio”.

Il bassorilievo del 1380, un tesoro storico e artistico

Il bassorilievo del 1380, un tesoro storico e artistico

Campeggia sulla facciata della parrocchiale da 640 anni

Tra i tesori artistici e i beni culturali di cui Mendatica è custode e depositaria c’è un simbolo silenzioso, quasi ritroso, ma significativo e confortante. Esso vigila dall’alto la vita del nostro paese. Si tratta del bassorilievo posto sulla facciata della chiesa parrocchiale dei Santi Nazario e Celso.

Questo simbolo cristiano, raffigurante l’Agnus Dei è presente in paese da più di 110 anni prima della scoperta dell’America e ha assistito i mendaighini attraverso gli ultimi 7 secoli di storia. È sempre stato chiamato dagli abitanti “L’agnello di San Giovanni”, riferendosi sapientemente allo stendardo che esso regge.

Non solo ha conosciuto tutte le generazioni che si sono avvicendate sotto il campanile della chiesa così come la vediamo ora, ma evidentemente era presente anche sulla chiesa romanica.

La storia

L’edificazione della chiesa di Mendatica fu terminata infatti nel 1380, e il 16 luglio di quell’anno fu consacrata e intitolata ai Santi Nazario e Celso, che circa 1000 anni prima evangelizzarono la zona.

Un ampliamento e una riedificazione della chiesa furono necessari già pochi decenni dopo. La comunità si dimostrò molto devota e il 4 gennaio 1451 la chiesa parrocchiale venne riconsacrata dopo aver svolto ingenti lavori. A testimonianza dell’importanza di questo luogo di culto, si registra in quell’occasione la presenza a Mendatica del Vescovo Cornelio di Claramonte. Fu accompagnato da Monsignor Gasparo di Licenzio e da Pietro Paolo Arcidiacono e Luogotenente della Diocesi di Albenga.

Come sappiamo seguirà nel XVIII secolo un’altra importante ristrutturazione che renderà l’estetica della chiesa come oggi possiamo ammirarla.

Anticamente l’ingresso della chiesa era posto dove ora sorge il coro. L’abside era invece posto in corrispondenza dell’attuale scalinata sulla piazza.

Il bassorilievo fu sempre recuperato e ora sorge nella posizione in cui possiamo ammirarlo, al centro della facciata.

L’Agnus Dei è uno dei simboli più densi di significato dell’intera cristianità. Si riferisce a Gesù Cristo nel suo ruolo di vittima sacrificale per la redenzione dei peccati dell’umanità, ed è raffigurato mentre regge una croce o uno stendardo crociato. Importante dal punto di vista storico è il fatto che l’Agnus Dei non sia presente nel rito ambrosiano. Questo sta a significare che molto probabilmente nel XIV secolo la chiesa di Mendatica aderiva già al rito latino in quanto appartenente alla Chiesa Locale di Genova. Precedentemente si può addurre l’ipotesi che appartenesse invece al rito ambrosiano perché facente parte della regione Aemilia-Liguria, con capitale Milano.

Questo articolo è stato redatto sulla base degli studi e delle ricerche di Celestino Lanteri e Emilia Lantrua.

Tanti auguri al nostro Parroco Don Enrico

Tanti auguri al nostro Parroco Don Enrico

Grazie Don Enrico perché non guardi a chi non ti comprende, ma a chi non comprende la Parola di Dio

Oggi è un’occasione propizia per ringraziare il nostro Parroco Don Enrico Giovannini e augurargli un buon compleanno.

Don Enrico, è Parroco della nostra Parrocchia dei Santi Nazario e Celso, ma anche delle Parrocchie di San Pietro a Cosio d’Arroscia, di San Biagio a Montegrosso Pian Latte e di San Martino a Rezzo.

È uno dei tanti “sacerdoti di frontiera” che annunciano il Vangelo con mille difficoltà ambientali e talvolta anche meteorologiche, a cui questa pandemia ha portato mille difficoltà in dimensioni maggiori che a qualunque altro sacerdote.

Col suo carattere esuberante e positivo è sempre stato di aiuto alla comunità, anche nei momenti più grigi dell’alluvione che si è sommata alla pandemia. Il suo modo di “sentirsi addosso l’odore delle proprie pecorelle” segue in modo impeccabile l’esortazione fatta in questo senso da Papa Francesco.

Ti ringraziamo Don Enrico, perché non guardi a chi non ti capisce, ma a chi non capisce la Parola del Salvatore.

Il nostro grazie e il nostro augurio è anche un auspicio affinché il Signore voglia ricolmare Don Enrico di ogni grazia, per poter continuare a svolgere la sua preziosa missione in Valle Arroscia.

Il Vangelo di domenica 20 dicembre 2020

Il Vangelo di domenica 20 dicembre 2020

Quarta domenica di Avvento

Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallègrati, piena di grazia: il Signore è con te».
A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».
Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio».
Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l’angelo si allontanò da lei.

Parola del Signore

13 dicembre, Santa Lucia: la santa della luce

13 dicembre, Santa Lucia: la santa della luce

Martire del IV secolo

Santa Lucia è una tra le sante più amate dalla gente e maggiormente ricordate dalla tradizione popolare. Non tutti però conosco la vita di questa giovinetta che fu martirizzata nel IV secolo.

Nacque a Siracusa nel 283 e fu vittima delle persecuzioni di Diocleziano il 13 dicembre del 303. Il richiamo del proprio nome (Lucia in greco, lux in latino) la accostano alla “vita”, di cui diviene la protettrice.

Lucia proveniva da famiglia cristiana, e rimase orfana di padre all’età di 5 anni.

Promessa sposa a un giovane della sua città, Lucia si reca in pellegrinaggio presso la tomba di S.Agata a Catania, per invocare la guarigione della madre Eutychia, affetta da emorragie. Tornata a Siracusa e ottenuta la grazia, Lucia decide di rinunciare al matrimonio e dona i suoi beni ai poveri. Il fidanzato per vendetta la denuncia come cristiana al governatore Pascasio.

Interrogata, minacciata e lusingata in mille modi, Lucia non abiura la fede cristiana e viene condannata a morte. Fu sepolta nelle catacombe di Siracusa che portano il suo nome. Le sue spoglie riposano ora nella Chiesa di Santa Lucia al Sepolcro in Venezia.

Santa Lucia viene spesso invocata anche a protezione e guarigione dei problemi legati alla vista. viene venerata dalla Chiesa Cattolica e da quella Ortodossa.

Non trova riscontri storici la leggenda che narra che le furono cavati gli occhi, o che ella stessa li avrebbe cavati. Figura invece una testimonianza scritta di un evento miracoloso che pose fine alla carestia in Sicilia nel 1646. Fu vista volteggiare una quaglia all’interno del Duomo di Siracusa, e quando questa si poggiò sul soglio episcopale si udì una voce che annunciava l’ingresso in porto di una nave carica di frumento. La gente vide in quell’evento la risposta di Santa Lucia alle numerose preghiere che le erano state rivolte.

Il popolo, affamato corse al porto e per la gran fame consumò il frumento senza macinarlo, ma solo bollito.

Dante Alighieri affermò nella sua nota opera Convivio di aver sofferto in gioventù di problemi agli occhi dovuti alle prolungate letture, e di essere stato guarito per intercessione di Santa Lucia. Nella Divina Commedia, il sommo poeta, nel riferirsi alla santa all’interno del Paradiso, fa trasparire chiaramente la capacità di Lucia di coniugare in sé contemporaneamente qualità celesti e umane, e la pone a simbolo della grazia illuminante.

Vangelo di domenica 13 dicembre 2020

Vangelo di domenica 13 dicembre 2020

Dal Vangelo secondo Giovanni

Venne un uomo mandato da Dio:
il suo nome era Giovanni.
Egli venne come testimone
per dare testimonianza alla luce,
perché tutti credessero per mezzo di lui.
Non era lui la luce,
ma doveva dare testimonianza alla luce.
Questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e levìti a interrogarlo: «Tu, chi sei?». Egli confessò e non negò. Confessò: «Io non sono il Cristo». Allora gli chiesero: «Chi sei, dunque? Sei tu Elia?». «Non lo sono», disse. «Sei tu il profeta?». «No», rispose. Gli dissero allora: «Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?». Rispose: «Io sono voce di uno che grida nel deserto: Rendete diritta la via del Signore, come disse il profeta Isaìa».
Quelli che erano stati inviati venivano dai farisei. Essi lo interrogarono e gli dissero: «Perché dunque tu battezzi, se non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?». Giovanni rispose loro: «Io battezzo nell’acqua. In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, colui che viene dopo di me: a lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo».
Questo avvenne in Betània, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando.

Parola del Signore

10 dicembre: Beata Maria Vergine di Loreto

10 dicembre: Beata Maria Vergine di Loreto

La ricorrenza che celebra la casa in cui l’Angelo diede l’Annuncio a Maria.

Tra i tanti santuari mariani quello di Loreto costituisce un unicum di notevole valore devozionale.

La tradizione narra che per l’indegnità sopravvenuta nei luoghi di origine, la casa in cui Maria ricevette a Nazareth l’annuncio da parte dell’Angelo Gabriele, scomparve improvvisamente lasciando solo la traccia delle proprie fondamenta.

Nel 1291 apparve miracolosamente su una pubblica strada di Loreto. L’evento creò molta suggestione, e prima di accettarne il significato il Vescovo di Loreto volle indagare sull’accaduto. Effettuate le misurazioni si constatò che l’edificio apparso a Loreto era esattamente sovrapponibile alle fondamenta restate a Nazareth.

Nel 1310, Papa Clemente V, confortato dal parere dei tecnici e dei costruttori dell’epoca, ne sancì l’autenticità con una bolla papale.

La casa

La casa è molto semplice e consta di sole tre pareti, a significare l’apertura al mondo. Recenti studi hanno stabilito che le pietre della costruzione sono state lavorate secondo l’uso dei Natabei, diffuso nella Galilea ai tempi di Gesù. I numerosi graffiti che si presentano sulle pareti sono stati parimenti oggetto di studio da parte degli esperti. Ne è risultato che sono di chiara origine giudeo-cristiana e la malta di costruzione impiegata risulterebbe estranea agli usi edilizi marchigiani.

La casa attualmente conservata a Loreto ha, come abbiamo detto, tre pareti. Costituisce la sezione che si appoggiava sulla parte scavata nella roccia della casa originaria, che è venerata nella Basilica dell’Annunciazione di Nazareth.

Miracolo o trasporto?

Ancora oggi ci si chiede come sia stato possibile il trasporto di una reliquia di questo tipo. La spiegazione che siano stati degli Angeli deriva anche dalla constatazione che fisicamente la casa appare ad occhio nudo come se NON FOSSE STATA RICOSTRUITA.

Una cronaca del 1465 redatta dal Teramano riferisce: “…dopo che quel popolo di Galilea e di Nazareth abbandonò la fede in Cristo e accettò la fede di Maometto, allora gli Angeli levarono dal suo posto la predetta chiesa e la trasportarono nella Schiavonia. Ma lì non fu affatto onorata come si conveniva alla Vergine… Perciò da quel luogo la tolsero nuovamente gli Angeli e la portarono attraverso il mare, nel territorio di Recanati”.

È stata avanzata un’ipotesi, avvalorata dall’antico codice Chartularium culisanense: gli angeli della tradizione a cui è attribuita la traslazione, sarebbero i componenti della nobile famiglia bizantina dell’Epiro degli Angeli. Nel XIII secolo furono proprio loro, infatti, a mettere in salvo via mare dalla furia saracena il venerato sacello. L’unica eccezione a questa teoria resta il perfetto stato di assemblaggio e di conservazione delle pietre, che ha mantenuto viva un’interpretazione del trasporto aperta al soprannaturale.

Insieme alla Beata Maria Vergine di Loreto, oggi, 10 dicembre, si commemorano anche San Mauro Martire e San Gregorio III Papa.