La Chiesa madre di tutte le genti

La Chiesa madre di tutte le genti

Viaggio nel significato di un concetto che non è solo una formula

La superficialità con la quale spesso viene affrontato il concetto di Chiesa intesa come madre , deriva da un allontanamento dal suo profondo significato.

Dal momento della sua istituzione, la Chiesa ha ricevuto un mandato che l’ha costituita custode della Fede e l’ha resa responsabile del suo annuncio. Un compito che investe di responsabilità tutti gli appartenenti in modo solidale, affinché il messaggio arrivi a tutti.

La prima parte della vita della Chiesa la vide impegnata soprattutto nell’evangelizzazione, attraverso la trasmissione della Parola e la testimonianza di vita. Ma già nel discorso di Pietro, subito dopo la discesa dello Spirito Santo nella Pentecoste, notiamo delle esortazioni materne, che si evidenziano nel porgere l’annuncio con dolcezza.

Nella Didaché (διδαχή, dal greco, “insegnamento”, “dottrina”) scritta tra la fine del I secolo e l’inizio del II, troviamo dei richiami all’unità del corpo mistico. È dall’unione di molti chicchi che nasce il pane eucaristico. E dallo stesso documento possiamo trarre notizia di come le prime comunità vedessero la Chiesa come “famiglia”. Al tempo però l’immagine di Chiesa-Madre era delegato probabilmente solo alla sensibilità dei singoli.

Nel VI secolo si prese coscienza della funzione generatrice della Chiesa. La madre biologica genera i figli e li nutre. Così la Chiesa genera attraverso il lavacro della rigenerazione (il Battesimo), e nutre i suoi figli attraverso la Parola e l’Eucarestia.

Fino a quel momento il Battesimo era impartito esclusivamente agli adulti. Da allora si iniziò a praticarlo ai neonati, a cui venivano impartite anche Cresima e Comunione.

Si ritenne successivamente che anche con il solo Battesimo il neonato può avere la Salvezza. Confermazione ed Eucarestia vennero quindi successivamente procrastinate. Fu il Concilio di Trento (1545-1563) a sancire la decisione. L’obbligatorietà per i genitori credenti di battezzare i figli, ancor oggi riconfermata dal Codice Canonico, si ebbe invece nel 1172.

Mater et Magistra

Mirabile è la descrizione della funzione materna della Chiesa fatta da Papa Giovanni XXIII al primo punto dell’introduzione dell’enciclica Mater et Magistra: “1. Madre e maestra di tutte le genti, la Chiesa universale è stata istituita da Gesù Cristo perché tutti, lungo il corso dei secoli, venendo al suo seno ed al suo amplesso, trovassero pienezza di più alta vita e garanzia di salvezza. A questa Chiesa, colonna e fondamento di verità, (Cf. 1 Tm 3,15) il suo santissimo Fondatore ha affidato un duplice compito: di generare figli, di educarli e reggerli, guidando con materna provvidenza la vita dei singoli come dei popoli, la cui grande dignità essa sempre ebbe nel massimo rispetto e tutelò con sollecitudine. Il cristianesimo infatti è congiungimento della terra con il cielo, in quanto prende l’uomo nella sua concretezza, spirito e materia, intelletto e volontà, e lo invita ad elevare la mente dalle mutevoli condizioni della vita terrestre verso le altezze della vita eterna, che sarà consumazione interminabile di felicità e di pace.

La Chiesa viene identificata troppo spesso nell’immaginario popolare solo come istituzione, perdendo di vista la sua vera identità di popolo, e popolo in cammino. Si tratta di un aspetto importante che non può essere ignorato dai cattolici, perché riguarda l’essenza e il significato di un progetto che parte da Cristo.

Lo scopo della Chiesa è dunque quello di essere il tramite, e di proseguire in questa accezione l’opera di mediazione di Cristo. Se Cristo è l’unico mediatore, la Chiesa de fungere da tramite. E ciò, come è facilmente intuibile, esula dalla sua struttura gerarchica, unica al mondo ad avere in cima un “Servo dei Servi di Dio”.

Il bassorilievo del 1380, un tesoro storico e artistico

Il bassorilievo del 1380, un tesoro storico e artistico

Campeggia sulla facciata della parrocchiale da 640 anni

Tra i tesori artistici e i beni culturali di cui Mendatica è custode e depositaria c’è un simbolo silenzioso, quasi ritroso, ma significativo e confortante. Esso vigila dall’alto la vita del nostro paese. Si tratta del bassorilievo posto sulla facciata della chiesa parrocchiale dei Santi Nazario e Celso.

Questo simbolo cristiano, raffigurante l’Agnus Dei è presente in paese da più di 110 anni prima della scoperta dell’America e ha assistito i mendaighini attraverso gli ultimi 7 secoli di storia. È sempre stato chiamato dagli abitanti “L’agnello di San Giovanni”, riferendosi sapientemente allo stendardo che esso regge.

Non solo ha conosciuto tutte le generazioni che si sono avvicendate sotto il campanile della chiesa così come la vediamo ora, ma evidentemente era presente anche sulla chiesa romanica.

La storia

L’edificazione della chiesa di Mendatica fu terminata infatti nel 1380, e il 16 luglio di quell’anno fu consacrata e intitolata ai Santi Nazario e Celso, che circa 1000 anni prima evangelizzarono la zona.

Un ampliamento e una riedificazione della chiesa furono necessari già pochi decenni dopo. La comunità si dimostrò molto devota e il 4 gennaio 1451 la chiesa parrocchiale venne riconsacrata dopo aver svolto ingenti lavori. A testimonianza dell’importanza di questo luogo di culto, si registra in quell’occasione la presenza a Mendatica del Vescovo Cornelio di Claramonte. Fu accompagnato da Monsignor Gasparo di Licenzio e da Pietro Paolo Arcidiacono e Luogotenente della Diocesi di Albenga.

Come sappiamo seguirà nel XVIII secolo un’altra importante ristrutturazione che renderà l’estetica della chiesa come oggi possiamo ammirarla.

Anticamente l’ingresso della chiesa era posto dove ora sorge il coro. L’abside era invece posto in corrispondenza dell’attuale scalinata sulla piazza.

Il bassorilievo fu sempre recuperato e ora sorge nella posizione in cui possiamo ammirarlo, al centro della facciata.

L’Agnus Dei è uno dei simboli più densi di significato dell’intera cristianità. Si riferisce a Gesù Cristo nel suo ruolo di vittima sacrificale per la redenzione dei peccati dell’umanità, ed è raffigurato mentre regge una croce o uno stendardo crociato. Importante dal punto di vista storico è il fatto che l’Agnus Dei non sia presente nel rito ambrosiano. Questo sta a significare che molto probabilmente nel XIV secolo la chiesa di Mendatica aderiva già al rito latino in quanto appartenente alla Chiesa Locale di Genova. Precedentemente si può addurre l’ipotesi che appartenesse invece al rito ambrosiano perché facente parte della regione Aemilia-Liguria, con capitale Milano.

Questo articolo è stato redatto sulla base degli studi e delle ricerche di Celestino Lanteri e Emilia Lantrua.

Tanti auguri al nostro Parroco Don Enrico

Tanti auguri al nostro Parroco Don Enrico

Grazie Don Enrico perché non guardi a chi non ti comprende, ma a chi non comprende la Parola di Dio

Oggi è un’occasione propizia per ringraziare il nostro Parroco Don Enrico Giovannini e augurargli un buon compleanno.

Don Enrico, è Parroco della nostra Parrocchia dei Santi Nazario e Celso, ma anche delle Parrocchie di San Pietro a Cosio d’Arroscia, di San Biagio a Montegrosso Pian Latte e di San Martino a Rezzo.

È uno dei tanti “sacerdoti di frontiera” che annunciano il Vangelo con mille difficoltà ambientali e talvolta anche meteorologiche, a cui questa pandemia ha portato mille difficoltà in dimensioni maggiori che a qualunque altro sacerdote.

Col suo carattere esuberante e positivo è sempre stato di aiuto alla comunità, anche nei momenti più grigi dell’alluvione che si è sommata alla pandemia. Il suo modo di “sentirsi addosso l’odore delle proprie pecorelle” segue in modo impeccabile l’esortazione fatta in questo senso da Papa Francesco.

Ti ringraziamo Don Enrico, perché non guardi a chi non ti capisce, ma a chi non capisce la Parola del Salvatore.

Il nostro grazie e il nostro augurio è anche un auspicio affinché il Signore voglia ricolmare Don Enrico di ogni grazia, per poter continuare a svolgere la sua preziosa missione in Valle Arroscia.

Il Vangelo di domenica 20 dicembre 2020

Il Vangelo di domenica 20 dicembre 2020

Quarta domenica di Avvento

Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallègrati, piena di grazia: il Signore è con te».
A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».
Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio».
Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l’angelo si allontanò da lei.

Parola del Signore

13 dicembre, Santa Lucia: la santa della luce

13 dicembre, Santa Lucia: la santa della luce

Martire del IV secolo

Santa Lucia è una tra le sante più amate dalla gente e maggiormente ricordate dalla tradizione popolare. Non tutti però conosco la vita di questa giovinetta che fu martirizzata nel IV secolo.

Nacque a Siracusa nel 283 e fu vittima delle persecuzioni di Diocleziano il 13 dicembre del 303. Il richiamo del proprio nome (Lucia in greco, lux in latino) la accostano alla “vita”, di cui diviene la protettrice.

Lucia proveniva da famiglia cristiana, e rimase orfana di padre all’età di 5 anni.

Promessa sposa a un giovane della sua città, Lucia si reca in pellegrinaggio presso la tomba di S.Agata a Catania, per invocare la guarigione della madre Eutychia, affetta da emorragie. Tornata a Siracusa e ottenuta la grazia, Lucia decide di rinunciare al matrimonio e dona i suoi beni ai poveri. Il fidanzato per vendetta la denuncia come cristiana al governatore Pascasio.

Interrogata, minacciata e lusingata in mille modi, Lucia non abiura la fede cristiana e viene condannata a morte. Fu sepolta nelle catacombe di Siracusa che portano il suo nome. Le sue spoglie riposano ora nella Chiesa di Santa Lucia al Sepolcro in Venezia.

Santa Lucia viene spesso invocata anche a protezione e guarigione dei problemi legati alla vista. viene venerata dalla Chiesa Cattolica e da quella Ortodossa.

Non trova riscontri storici la leggenda che narra che le furono cavati gli occhi, o che ella stessa li avrebbe cavati. Figura invece una testimonianza scritta di un evento miracoloso che pose fine alla carestia in Sicilia nel 1646. Fu vista volteggiare una quaglia all’interno del Duomo di Siracusa, e quando questa si poggiò sul soglio episcopale si udì una voce che annunciava l’ingresso in porto di una nave carica di frumento. La gente vide in quell’evento la risposta di Santa Lucia alle numerose preghiere che le erano state rivolte.

Il popolo, affamato corse al porto e per la gran fame consumò il frumento senza macinarlo, ma solo bollito.

Dante Alighieri affermò nella sua nota opera Convivio di aver sofferto in gioventù di problemi agli occhi dovuti alle prolungate letture, e di essere stato guarito per intercessione di Santa Lucia. Nella Divina Commedia, il sommo poeta, nel riferirsi alla santa all’interno del Paradiso, fa trasparire chiaramente la capacità di Lucia di coniugare in sé contemporaneamente qualità celesti e umane, e la pone a simbolo della grazia illuminante.

Vangelo di domenica 13 dicembre 2020

Vangelo di domenica 13 dicembre 2020

Dal Vangelo secondo Giovanni

Venne un uomo mandato da Dio:
il suo nome era Giovanni.
Egli venne come testimone
per dare testimonianza alla luce,
perché tutti credessero per mezzo di lui.
Non era lui la luce,
ma doveva dare testimonianza alla luce.
Questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e levìti a interrogarlo: «Tu, chi sei?». Egli confessò e non negò. Confessò: «Io non sono il Cristo». Allora gli chiesero: «Chi sei, dunque? Sei tu Elia?». «Non lo sono», disse. «Sei tu il profeta?». «No», rispose. Gli dissero allora: «Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?». Rispose: «Io sono voce di uno che grida nel deserto: Rendete diritta la via del Signore, come disse il profeta Isaìa».
Quelli che erano stati inviati venivano dai farisei. Essi lo interrogarono e gli dissero: «Perché dunque tu battezzi, se non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?». Giovanni rispose loro: «Io battezzo nell’acqua. In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, colui che viene dopo di me: a lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo».
Questo avvenne in Betània, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando.

Parola del Signore

10 dicembre: Beata Maria Vergine di Loreto

10 dicembre: Beata Maria Vergine di Loreto

La ricorrenza che celebra la casa in cui l’Angelo diede l’Annuncio a Maria.

Tra i tanti santuari mariani quello di Loreto costituisce un unicum di notevole valore devozionale.

La tradizione narra che per l’indegnità sopravvenuta nei luoghi di origine, la casa in cui Maria ricevette a Nazareth l’annuncio da parte dell’Angelo Gabriele, scomparve improvvisamente lasciando solo la traccia delle proprie fondamenta.

Nel 1291 apparve miracolosamente su una pubblica strada di Loreto. L’evento creò molta suggestione, e prima di accettarne il significato il Vescovo di Loreto volle indagare sull’accaduto. Effettuate le misurazioni si constatò che l’edificio apparso a Loreto era esattamente sovrapponibile alle fondamenta restate a Nazareth.

Nel 1310, Papa Clemente V, confortato dal parere dei tecnici e dei costruttori dell’epoca, ne sancì l’autenticità con una bolla papale.

La casa

La casa è molto semplice e consta di sole tre pareti, a significare l’apertura al mondo. Recenti studi hanno stabilito che le pietre della costruzione sono state lavorate secondo l’uso dei Natabei, diffuso nella Galilea ai tempi di Gesù. I numerosi graffiti che si presentano sulle pareti sono stati parimenti oggetto di studio da parte degli esperti. Ne è risultato che sono di chiara origine giudeo-cristiana e la malta di costruzione impiegata risulterebbe estranea agli usi edilizi marchigiani.

La casa attualmente conservata a Loreto ha, come abbiamo detto, tre pareti. Costituisce la sezione che si appoggiava sulla parte scavata nella roccia della casa originaria, che è venerata nella Basilica dell’Annunciazione di Nazareth.

Miracolo o trasporto?

Ancora oggi ci si chiede come sia stato possibile il trasporto di una reliquia di questo tipo. La spiegazione che siano stati degli Angeli deriva anche dalla constatazione che fisicamente la casa appare ad occhio nudo come se NON FOSSE STATA RICOSTRUITA.

Una cronaca del 1465 redatta dal Teramano riferisce: “…dopo che quel popolo di Galilea e di Nazareth abbandonò la fede in Cristo e accettò la fede di Maometto, allora gli Angeli levarono dal suo posto la predetta chiesa e la trasportarono nella Schiavonia. Ma lì non fu affatto onorata come si conveniva alla Vergine… Perciò da quel luogo la tolsero nuovamente gli Angeli e la portarono attraverso il mare, nel territorio di Recanati”.

È stata avanzata un’ipotesi, avvalorata dall’antico codice Chartularium culisanense: gli angeli della tradizione a cui è attribuita la traslazione, sarebbero i componenti della nobile famiglia bizantina dell’Epiro degli Angeli. Nel XIII secolo furono proprio loro, infatti, a mettere in salvo via mare dalla furia saracena il venerato sacello. L’unica eccezione a questa teoria resta il perfetto stato di assemblaggio e di conservazione delle pietre, che ha mantenuto viva un’interpretazione del trasporto aperta al soprannaturale.

Insieme alla Beata Maria Vergine di Loreto, oggi, 10 dicembre, si commemorano anche San Mauro Martire e San Gregorio III Papa.

Il presepe parrocchiale

La comunità di Mendatica nella visione teologica cristocentrica

La comunità di Mendatica nella visione teologica cristocentrica

Si può chiamare “presepe” o “presepio”, entrambi i termini sono corretti. È una tradizione tardo medievale nata in Italia.

Il nome deriva dal latino “praesepe” e indicava dapprima la sola mangiatoia, ma ha finito poi per indicare tutta la rappresentazione scenica della Natività di Nostro Signore.

Ci si sbizzarrisce spesso per dare al presepe forme sempre più sofisticate. Ciò indica la devozione che si nutre per l’evento principe di tutta la storia dell’umanità: la nascita del Salvatore.

Gli elementi che compongono il presepe sono tratti dai 180 versetti dei Vangeli di Matteo e di Luca, detti “dell’infanzia” proprio perché trattano la nascita di Gesù. Altri componenti sono liberamente assunti dai vangeli apocrifi, soprattutto dal Protovangelo di Giacomo.

Il contesto storico è quello tra l’anno 7 e l’anno 4 a.C. Numerosi riscontri storici, tra cui lo svolgimento del noto censimento, il passaggio della cometa o la morte di Erode, collocano la nascita di Yoshua ben Yosef (Gesù), proprio in quel breve lasso temporale.

La data del Natale è stata fissata probabilmente nel 336, e si è sempre pensato che fosse convenzionale per sostituirla alla festività del Sol Invictus che veniva celebrato il 25 dicembre in pieni Saturnalia.

Rcentemente numerosi storici si sono concentrati sui dati storiografici raccolti circa la visita della Vergine Maria presso Santa Elisabetta. Da alcuni incroci si ricaverebbe che tale incontro fosse avvenuto proprio nel periodo che oggi definiamo come la fine del mese di marzo, proprio 9 mesi prima del 25 dicembre. Anche qui ci sarebbe una coincidenza tra la data tradizionalmente assunta con l’Annunciazione (25 marzo).

Come ogni anno la nostra parrocchia ha voluto comporre questo simbolo, cercando di interpretare i tempi, dimostrando l’attenzione ai temi umani e spirituali che hanno caratterizzato l’anno che sta per terminare, ma anche l’attesa speranzosa del Bambino Divino.

Il 2020 è stato un anno che ha colpito la comunità di Mendatica sotto vari aspetti. Oltre alla diffusione del covid, il paese è stato martoriato da un’ennesima alluvione che pareva voler mettere in ginocchio la tempra degli abitanti.

Tutto ciò non poteva mancare nell’omaggio di speranza che la nostra Parrocchia vuole vivere nel periodo dell’Avvento.

Quest’anno la grotta che ospiterà il Bambino, è stata posta al centro. Papa Francesco insiste in modo appassionato sulla visione cristocentrica e sugli aspetti teologici di questo atteggiamento. L’invito e il messaggio sono quelli di porre Gesù al centro di tutto.

A fare da contorno alla figura di Gesù Bambino, sono state posti alcuni segni che simboleggiano il paese di Mendatica: le cascatelle delle Canalette, gli amati piloni, la fontanella che resta viva col suo umile getto d’acqua, e infine il mulino, quest’anno fermo e simbolo della ferita che il 2020 ha inferto alla comunità.

Tutto ciò racchiuso in un segno di offerta che la nostra parrocchia vuole offrire al Signore che nasce.

Buon Natale a tutti, nella speranza di un anno che medichi le ferite del cuore e dell’anima e ci trovi pronti e uniti nell’accogliere Cristo che nasce per noi.

Vangelo della Festività dell’Immacolata Concezione

Vangelo della Festività dell'Immacolata Concezione

Lc 1, 26-38

Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallègrati, piena di grazia: il Signore è con te».
A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».
Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio».
Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l’angelo si allontanò da lei.

Sant’Ambrogio di Milano

Sant'Ambrogio di Milano

La vita del  funzionario, vescovo, teologo e scrittore Aurelio Ambrogio

Aurelio Ambrogio, meglio noto come Sant’Ambrogio di Milano, santo e Padre della Chiesa, nacque a Augusta Treverorum, città romana nella regione della Mosella, ovvero nella Germania sud-occidentale, nei pressi di Lussemburgo, in una data incerta tra il 339 e il 340, quando quella zona era definita Gallia belgica.

Provenne da una famiglia autorevole appartenente alla gens Aurelia. Il padre era infatti prefetto del pretorio delle Gallie. La madre, anch’ella di nobili origini, discendeva dai Simmaci, imparentata in via stretta con l’oratore Quinto Aurelio Simmaco. La sua famiglia era da tempo convertita al Cristianesimo: la sorella Marcellina e il fratello Satiro sono pure venerati come santi.

La sua vita da funzionario

Ambrogio fu avviato agli studi per abbracciare come il padre la carriera amministrativa. Frequentò gli studi del Trivium e del Quadrivium, e nonostante la morte prematura del padre, partecipò attivamente alla vita politica di Roma.

Esercitò per cinque anni l’avvocatura nell’attuale Serbia, e precisamente nella città di Sremska Mitrovica, dopodiché fu nominato governatore dell’Italia Annonaria per la regione Aemilia et Liguria con capitale Milano. In quel ruolo accrebbe notevolmente il suo prestigio per le doti diplomatiche dimostrate anche nell’ambito della disputa tra ariani e cattolici, soddisfacendo entrambe le fazioni.

Alla morte del Vescovo di Milano Aussenzio, l’equilibrio tra le due parti fu in pericolo. Ambrogio si recò in chiesa per redimere alcune animate discussioni. Il suo biografo Paolino scrisse che dal pubblico si levò la voce di un bimbo che urlò “Ambrogio Vescovo!”. A quella voce si unì tutto il popolo. Milano voleva infatti un vescovo cattolico, ma Ambrogio rifiutò. Come avveniva spesso in quel periodo, Ambrogio non aveva ancora ricevuto il Battesimo. Addusse anche il motivo di non aver mai frequentato studi di Teologia.

Dietro alle insistenti richieste Ambrogio cercò anche di macchiare la propria fama invitando delle prostitute a casa sua e ordinando la tortura ad alcuni condannati. Nonostante tutto ciò, il popolo non recedette, e per scongiurare l’ordinazione Ambrogio fuggì.

Il popolo si rivolse quindi direttamente all’Imperatore Flavio Valentiniano, anch’egli estimatore di Ambrogio. Dietro ordine dell’Imperatore, Ambrogio accettò ritenendo che ciò fosse anche il volere di Dio. Fu battezzato al Battistero di Santo Stefano alle Fonti e il 7 dicembre 374 fu ordinato Vescovo di Milano.

La sua opera da Vescovo

Uno dei suoi primi atti fu quello di donare tutti i suoi beni ai bisognosi, fatta eccezione per quanto avesse potuto servire al sostentamento della sorella Marcellina. Adottò uno stile di vita ascetico.

La sua coerenza e la sua fede furono determinanti nel 398 per la conversione di Sant’Agostino. Alle sue ispirazioni si devono i ritrovamenti dei corpi dei Santi martiri Gervasio e Protasio nel 386, che fu determinante nella disputa con gli ariani, e dei corpi dei santi patroni della nostra Parrocchia, Nazario e Celso, nel 395.

Oltre alla lotta contro l’Arianesimo, Ambrogio fu assertore del primato d’onore del Vescovo di Roma, opponendosi ad altri vescovi, come ad esempio Palladio, che lo ritenevano pari a loro.

Avversò fieramente il paganesimo ufficiale della corte romana, che persistette tra l’editto di Milano fino all’editto di Tessalonica. Arrivò anche a scontrarsi col cugino Quinto Aurelio Simmaco per opporsi al ripristino della statua e dell’altare dedicato alla dea Vittoria nella Curia Romana.

Fu precettore dell’Imperatore Graziano, al quale chiese di indire il Concilio di Costantinopoli del 381. Si oppose successivamente all’Imperatore Teodosio reo di aver ordinato un massacro, e arrivò ad escluderlo dai sacramenti. Teodosio fece ammenda e fu riammesso nella chiesa il 25 dicembre del 388.

Le sue posizioni teologiche furono convintamente orientate verso l’ortodossia della fede. Intervenne praticamente in ogni disputa teologica a difesa delle Scritture.

Ambrogio rese l’anima a Dio il 4 aprile del 397, e fu sepolto nella basilica che porta il suo nome accanto ai corpi di Gervasio e Protasio.