La Domenica della Parola di Dio

La Domenica della Parola di Dio

Istituita per raccogliere il popolo di Dio attorno alla Bibbia.

Il 30 settembre 2019 Papa Francesco ha istituito la Giornata della Parola di Dio, e l’ha fissata alla terza domenica del tempo ordinario.

Si tratta di un richiamo che tocca l’ambito trinitario, in quanto si celebra con essa il Logos e la persona stessa di Cristo. Accanto all’Eucarestia, che riveste importanza salvifica, l’ascolto della Parola richiama il valore del rapporto con la Liturgia. È un aspetto che pone l’attenzione sull’identità stessa dei cristiani.

La relazione tra il Risorto, la comunità dei credenti e la Sacra Scrittura è estremamente vitale per la nostra identità. Senza il Signore che ci introduce è impossibile comprendere in profondità la Sacra Scrittura, ma è altrettanto vero il contrario: senza la Sacra Scrittura restano indecifrabili gli eventi della missione di Gesù e della sua Chiesa nel mondo. Giustamente San Girolamo poteva scrivere: «L’ignoranza delle Scritture è ignoranza di Cristo» (In Is., Prologo: PL 24,17)”.

La Domenica della Parola di Dio è quindi anche l’invito all’ascolto di Dio che ci parla. Lo fa attraverso le Scritture. Sta a noi mettere a frutto ciò che Egli semina, anche solo con un breve momento di silenzio e di meditazione personale dopo aver ascoltato Letture, Vangelo e Omelia.

Ma l’istituzione di questa giornata è anche occasione per richiamare l’importanza della collaborazione che ogni cristiano è chiamato ad avere col Signore. Una ricerca interessata alla scoperta dell’attualità della Scrittura aiuta la crescita consapevole nella Fede. “Non chi dice Signore, Signore…”.

Riscopriamo in questa occasione il significato profondo di quanto il Santo Padre ha espresso nella sua Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium: “La Parola di Dio ascoltata e celebrata, soprattutto nell’Eucaristia, alimenta e rafforza interiormente i cristiani e li rende capaci di un’autentica testimonianza evangelica nella vita quotidiana“.

Nutrirci dell’Eucarestia e della Parola di Dio è cibo per la vita eterna.

Don Enrico Giovannini nuovo Vicario Foraneo della Valle Arroscia

Don Enrico Giovannini nuovo Vicario Foraneo della Valle Arroscia

La nomina è stata ufficializzata da Mons. Guglielmo Borghetti

S.E. Monsignor Vescovo Guglielmo Borghetti, Ordinario della Diocesi di Albenga-Imperia, ha ufficializzato la nomina del nuovo Vicario Foraneo del Vicariato della Valle Arroscia.

La scelta episcopale è caduta su Don Enrico Giovannini, Parroco di Cosio d’Arroscia, Mendatica, Montegrosso Pian Latte e Rezzo.

All’impegno attualmente profuso dal nostro Parroco nelle chiese a lui affidate, dovrà ora aggiungere i compiti specifici del Vicario Foraneo che sono indicati ai canoni 553, 554 e 555 del Codice di Diritto Canonico, i quali recitano:

Can. 553 – §1. Il vicario foraneo, chiamato anche decano o arciprete o con altro nome, è il sacerdote che è preposto al vicariato foraneo.

§2. A meno che il diritto particolare non stabilisca altro, il vicario foraneo è nominato dal Vescovo diocesano, dopo aver sentito, a suo prudente giudizio, i sacerdoti che svolgono il ministero nel vicariato in questione.

Can. 554 – §1. Per l’ufficio di vicario foraneo, che non è legato all’ufficio di parroco di una parrocchia determinata, il Vescovo scelga un sacerdote che avrà giudicato idoneo, valutate le circostanze di luogo e di tempo.

§2. Il vicario foraneo venga nominato a tempo determinato, stabilito dal diritto particolare.

§3. Il Vescovo diocesano per giusta causa può rimuovere liberamente dall’ufficio il vicario foraneo, secondo il suo prudente giudizio.

Can. 555 – §1. Il vicario foraneo, oltre alle facoltà che gli attribuisce legittimamente il diritto particolare, ha il dovere e il diritto:

1) di promuovere e coordinare l’attività pastorale comune nell’àmbito del vicariato;

2) di aver cura che i chierici del proprio distretto conducano una vita consona al loro stato e adempiano diligentemente i loro doveri;

3) di provvedere che le funzioni religiose siano celebrate secondo le disposizioni della sacra liturgia, che si curi il decoro e la pulizia delle chiese e della suppellettile sacra, soprattutto nella celebrazione eucaristica e nella custodia del santissimo Sacramento, che i libri parrocchiali vengano redatti accuratamente e custoditi nel debito modo, che i beni ecclesiastici siano amministrati diligentemente; infine che la casa parrocchiale sia conservata con la debita cura.

§2. Il vicario foraneo nell’àmbito del vicariato affidatogli:

1) si adoperi perché i chierici, secondo le disposizioni del diritto particolare, partecipino nei tempi stabiliti alle lezioni, ai convegni teologici o alle conferenze a norma del can. 279, p 2;

2) abbia cura che siano disponibili sussidi spirituali per i presbiteri del suo distretto ed abbia parimenti la massima sollecitudine per coloro che si trovano in situazioni difficili o sono angustiati da problemi.

§3. Il vicario foraneo abbia cura che i parroci del suo distretto, che egli sappia gravemente ammalati, non manchino di aiuti spirituali e materiali e che vengano celebrate degne esequie per coloro che muoiono; faccia anche in modo che durante la loro malattia o dopo la loro morte, non vadano perduti o asportati i libri, i documenti, la suppellettile sacra e ogni altra cosa che appartiene alla chiesa.

§4. Il vicario foraneo è tenuto all’obbligo di visitare le parrocchie del suo distretto secondo quanto avrà determinato il Vescovo diocesano.

Inutile sottolineare la soddisfazione nella nostra parrocchia per un incarico così prestigioso.

Un’appartenenza “convinzionale”, e non “convenzionale”

Un'appartenenza "convinzionale", e non "convenzionale"

Un neologismo in aiuto della nuova evangelizzazione

È ormai assodato che stiamo vivendo in un’epoca in cui regna il relativismo. Benedetto XVI ne ha denunciato i pericoli. Francesco sta “picconando” questa concezione della vita e della cultura che tende a sminuire ogni valore.

Il non cercare il significato delle cose è un aspetto che è entrato nel comune modo di pensare, non solo nella vita quotidiana, ma anche aggredendo concetti che finora avevano meritato un’attenzione più profonda. Questo stato di cose si è ripercosso infatti pesantemente sul comportamento dei cristiani.

Da più parti arrivano i segnali di un senso di appartenenza alla Chiesa, sempre più labile. La Chiesa stessa è ormai intesa come “istituzione” e non per quello che in effetti rappresenta, ovvero la comunità dei credenti.

Essere membri della Chiesa sta purtroppo diventando, nel comune pensare, una “convenzione”. Andare alla Messa è adempiere ad un dovere, e poco importa l’attenzione che si riserva.

Possiamo prendere ad esempio alcuni Sacramenti. Il Battesimo, la Cresima, la Prima Comunione, il Matrimonio, sono ormai diventati una “festa” e non sono intesi come celebrazione significativa di un rito che rimanda a qualcosa di più importante. L’aspetto “convenzionale” ha praticamente annullato i significati.

Si apre quindi un nuovo fronte, una vera e propria sfida che si propone alla Evangelizzazione.

Conoscere è amare

L’obiettivo deve essere il recupero dell’interesse per la formazione. Conoscere è amare. Non a caso il verbo “conoscere” in senso biblico, grazie alla forza che gli conferisce la sua radice ebraica, significa qualcosa di più che “venire a sapere”. Indica infatti un rapporto di tipo carnale.

Lo sprono alla conoscenza può limitare la tendenza a fare le cose per abitudine. Acquisire coscienza di ciò che si fa, permette di superare luoghi comuni, dubbi, perplessità, e apre un mondo nuovo.

Questo concetto è valido per tutti gli ambiti culturali, ma è fondamentale nella religione cattolica. La nostra non è una Fede fatta di simboli vuoti, ma di richiami significativi che con i Sacramenti ci portano al Mysterion della Salvezza. Una religione “rivelata”, ma della quale nulla è stato detto che con l’intelletto non si possa per lo meno iniziare a comprendere. Non cercare di capire è quindi una colpa, non una giustificazione.

In questo cammino di conoscenza emerge la vera importanza della Chiesa che Cristo ha voluto come custode della Fede. Ancora recentemente Francesco ha ribadito quanto emerge dalle Scritture in modo roboante: “Non ci si salva da soli”.

Occorre quindi modificare unicamente una lettera, per passare dal modello “convenzionale” a quello “convinzionale”.

Motu Proprio “Spiritus Domini”, evangelizzazione e carismi

Motu Proprio "Spiritus Domini", evangelizzazione e carismi

La necessaria modifica del canone 230 §1

Con la sua Lettera Apostolica “Spiritus Domini”, in forma di Motu Proprio, Papa Francesco è intervenuto a chiarire e sistemare sotto l’aspetto del significato e della forma, una situazione che presentava alcune contraddizioni.

In pratica il Sommo Pontefice ha aperto anche alle donne la possibilità di accedere ai ministeri laicali.

Si tratta di un argomento che va affrontato nell’ottica teologica e anche considerando quanto un fedele laico deve intendere un proprio diritto e un proprio obbligo.

Va innanzitutto chiarito che Lettorato e Accolitato vengono chiamati “ministeri” in quanto formalmente riconosciuti e istituiti dalla Chiesa. Sono inoltre strumenti che sono stati messi a disposizione della comunità, e ne costituiscono la specifica missione.

Essi non sono compresi nell’Ordine Sacro, il quale costituisce un altro e ben diverso ministero. Fanno tuttavia parte del Sacerdozio battesimale, e sono inseriti nel Sacerdozio comune dei fedeli, invocato anche nella Santa Messa quando si dice: “Ti ringraziamo Signore per averci ammesso a svolgere il servizio sacerdotale”.

La differenza con l’Ordine è evidente: il Presbitero agisce in persona Christi, immagine viva di Gesù capo e buon pastore.

Lo stesso canone 230 del Diritto Canonico, che Francesco ha modificato nel paragrafo 1, conferma nel §2 che “I laici possono assolvere per incarico temporaneo la funzione di lettore nelle azioni liturgiche […]. A differenza del paragrafo 1, qui non si specifica distinzione di genere. E proseguendo: “… così pure TUTTI i laici possono esercitare le funzioni di commentatore, cantore, o altre ancora a norma del diritto”.

Proprio in funzione del paragrafo 2, finora, sia uomini che donne, col permesso del Sacerdote Celebrante, hanno potuto accostarsi alla lettura dei brani che precedono il Vangelo. Si trattava quindi, in pratica, di una “concessione” da parte del presbitero, e non dello svolgimento di un diritto-dovere.

Papa Francesco ha ricordato col suo Motu Proprio, che tutti i fedeli sono uniti al Sacerdozio comune dal Battesimo. Il canone 230 §1 viene quindi così modificato: “I laici che abbiano l’età e le doti determinate con decreto dalla Conferenza Episcopale, possono essere assunti stabilmente, mediante il rito liturgico stabilito, ai ministeri di lettori e di accoliti; tuttavia tale conferimento non attribuisce loro il diritto al sostentamento o alla rimunerazione da parte della Chiesa”.

In passato le donne hanno ricoperto numerosi ruoli e incarichi. In un certo periodo ci sono anche state delle Diaconesse, anche se i loro compiti non emergono e non sono specificati.

Queste indicazioni teologiche vengono anche incontro a un’esigenza che si è sentita da sempre. In modo spontaneo o in riconoscimento di specifici carismi, abbiamo visto comunemente svolgere funzioni di Accolito a uomini e donne che si sono prestati a preparare ciò che è necessario per la celebrazione della Santa Messa. E ciò senza che si creasse scandalo o contestazione.

Il testo completo della Lettera Apostolica in forma di Motu Proprio “Spiritus Domini” si può leggere e scaricare dal sito vaticano, oppure cliccando QUI.

Le mansioni di Lettore e di Accolito

A questo punto vanno però precisati quali sono i compiti del Lettore e dell’Accolito. È un passaggio indispensabile per evitare che ci si senta investiti di “poteri” o mansioni che non fanno parte di questi ministeri.

Rappresentano rispettivamente il primo e il secondo grado dei ministeri laicali. L’Accolito, in particolare, è il più elevato dei gradi raggiungibili da un laico prima dell’Ordinazione.

I Lettori indossano una veste liturgica approvata, mentre per il lettore di fatto questo obbligo non sussiste. Nella processione all’altare il Lettore avanza precedendo il Sacerdote, e tenendo il Libro delle Scritture leggermente elevato.

È compito dell’Accolito preparare e predisporre tutto quanto serve per le celebrazioni. Indica e distribuisce gli incarichi da svolgere per la celebrazione.

Gli Accoliti e i Lettori possono impartire alcune specifiche Benedizioni per le quali non è necessaria l’Ordinazione, ma hanno anche dei limiti molto circostanziati nelle mansioni che competono ai Diaconi e in modo particolare ai Presbiteri.

I ministeri laicali vengono conferiti mediante un Rito Liturgico apposito, dopo un’adeguata preparazione.

Per leggere o scaricare quali sono i compiti di Lettori e Accoliti cliccare QUI.

La linea di Papa Francesco prosegue sulla scia del Concilio

La linea di Papa Francesco prosegue sulla scia del Concilio

Bergoglio continua l’opera di tutti i Papi post-conciliari

“Non ci si salva da soli”. “I Sacramenti sono le mani del Cristo vivo che continuano a toccarci attraverso spazio e tempo”. Sono solo due delle accezioni significative emerse dalle meditazioni teologiche del Concilio Vaticano II. E sono anche le espressioni più caratterizzanti degli apostolati di tutti i Papi che si sono succeduti dalla chiusura del Concilio.

Papa Francesco sta portando avanti la linea conciliare in un’ortodossia perfetta, che armonizza il pensiero teologico all’indiscutibile necessità di attualizzazione.

Sono temi importanti, sui quali il carattere del Pontefice traspare proprio per la delicatezza e l’urgenza che si impongono in questo momento. Già Benedetto XVI aveva insistito sul pericolo del Relativismo. San Giovanni Paolo II aveva posto l’accento sull’importanza di una comprensione del Sacramentum come Mysterion. Laddove il mistero non è qualcosa di inaccessibile, ma che costituisce l’obiettivo per il quale abbiamo strumenti di ricerca. Ed è quanto sia San Giovanni XXIII che San Paolo VI avevano in mente durante i delicati lavori del Concilio.

“Non ci si salva da soli”

Emerge in tutta la sua forza la potenza salvifica della comunità. I cristiani sono un popolo in cammino, non esploratori solitari. La Chiesa, intesa come membra di Cristo e non come erroneamente la si intende, ovvero come “gerarchia”, svolge il suo compito di servizio, di custodia e di diffusione della Parola. Senza nulla aggiungere e nulla togliere ad una dottrina che ci è stata rivelata fino alla scomparsa dell’ultimo degli Apostoli. Da allora, da quando cioè l’ultimo testimone oculare del Cristo ha lasciato la terra, il compito è quello dell’attualizzazione.

“I Sacramenti sono le mani del Cristo vivo che continuano a toccarci attraverso spazio e tempo”

Più volte Papa Francesco ha chiesto, a chi può farlo, di inginocchiarsi davanti alla Consacrazione. È il momento del compimento. L’attimo della Transustanziazione. Il preciso istante in cui Cristo vivo si manifesta nelle sembianze del pane e del vino che l’uomo, chiamato a collaborare, ha offerto. Ecco quindi che uno dei significati più alti del Sacramento viene esplicitato. E con esso la Chiesa in cammino è il Vangelo che continua.

Mai come in questi ultimi 60 anni la continuità di intenti, di azione e di pensiero è stata così presente nella conduzione della Chiesa.

Le cornici del portale del XV secolo

Le cornici del portale del XV secolo

Sono conservate nella facciata della Parrocchiale

Secondo quanto risulta da fonti locali, la storia di Mendatica può essere fatta risalire almeno al 644. In quell’anno furono numerose le incursioni saracene che devastarono la costa ingauna. Molti abitanti si spinsero quindi nell’entroterra. Essi si distribuirono principalmente negli spazi posti alle spalle dell’attuale comune, dando vita a comunità isolate.

Successivamente, anche per esigenze legate alla pastorizia e alla coltivazione, la maggior parte si concentrarono dando vita al paese di Mendatica e lasciando numerose tracce.

Dal punto di vista architettonico la più antica prova di esistenza di un edificio destinato al culto si rileva nella Cappella di Santa Margherita, ma anche nelle prove tangibili dell’esistenza dell’antica parrocchiale dedicata al culto dei Santi Nazario e Celso eretta in tempi antichissimi.

La ristrutturazione barocca

Nel 1760, come spiegato nell’ottimo articolo di Emidia Lantrua, la chiesa subì una profonda ristrutturazione che portò alla demolizione dell’antico edificio. Le tracce di questa antica chiesa sono però integrate nella facciata dell’attuale parrocchiale.

Se si osservano le basi della facciata, proprio ai lati dell’attuale porta di ingresso principale, si possono notare le cornici dell’antico portale del XV secolo. Sono ben riconoscibili e poste in senso orizzontale. Sulle stesse, grazie alla dotta interpretazione di Celestino Lanteri, insegnante e storico locale, si sono rilevate anche tracce delle antichissime incisioni. Non si esclude che le cornici possano anche essere più datate, in quanto è provata l’esistenza di una chiesa ancora più antica locata nella medesima posizione.

Si tratta di una particolarità di estrema rilevanza. Essa va collocata anche nell’ambito peculiare del travaglio vissuto nell’adeguamento dell’estetica degli edifici di culto al gusto e al significato del Barocco, che imperava nel XVIII secolo.

La conservazione delle cornici del portale è quindi dovuta alla sensibilità del Parroco e della comunità mendaighina dell’epoca. Questo fatto storico conferma quanto Mendatica sia sempre stata, come oggi, molto restìa a rinunciare al proprio passato e alle proprie tradizioni.

Mendatica, anche grazie alla testimonianza della sua chiesa parrocchiale, conserva intatti i segni del tempo e cerca di elaborarli nell’ottica di un’evoluzione che non costringa a rinunciare alla storia.

Il compositore M° Valentino Miserachs visita la nostra parrocchia

Il compositore M° Valentino Miserachs visita la nostra parrocchia

Direttore di coro, M° emerito della Cappella Liberia di Santa Maria Maggiore in Roma, Protonotario Apostolico.

Il celebre compositore spagnolo Mons. Valentino Miserachs sarà ospite del nostro parroco Don Enrico Giovannini nei giorni dal 9 al 11 gennaio.

Il prelato, già organista titolare della Cappella Liberiana di Santa Maria Maggiore a Roma e della Cappella Giulia in San Pietro, è curioso di scoprire le nostre piccole realtà parrocchiali. Ha espresso inoltre il desiderio di conoscere il nostro organista, M° Roberto Grasso, di cui si inizia a parlare anche a Roma.

L’incontro con la comunità di Mendatica avverrà sabato pomeriggio. La S.Messa prefestiva che celebrerà la Liturgia del Battesimo di Nostro Signore, nella Parrocchia dei Santi Nazario e Celso alle ore 17.00 sarà presieduta dall’Alto Prelato e concelebrata dal nostro Parroco. Sarà occasione inoltre per accogliere l’illustre musicista con il nostro coro parrocchiale.

Mons. Valentino Miserechs è nato nel 1943 a Sant Martí Sesgueioles in Catalogna. Manifestò già in tenera età una grande predisposizione e passione per la musica. A soli sei anni iniziò gli studi di solfeggio e della teoria. All’età di otto anni è già organista presso la propria chiesa parrocchiale e in alcune chiese del circondario.

Nel 1967 diviene sacerdote dopo aver conseguito la licenza in Teologia presso la Pontificia Università Gregoriana (equivalente alla nostra Laurea Specialistica).

Nel 1972 si laurea a pieni voti anche in Organo e Musica Organistica presso il Conservatorio Niccolò Piccinni di Bari, dove nel 1976 si laurea anche in Composizione.

Dal 1995 al 2012 è stato preside del Pontificio Istituto di Musica Sacra, de Urbe, dove è professore ordinario di alta Composizione, con insegnamento annesso di Direzione polifonica e di Lettura della partitura.

È Canonico prelato della Patriarcale Basilica di Santa Maria Maggiore in Roma. È inoltre Protonotario Apostolico sovrannumerario, riconoscimento vaticano considerato una via per il cardinalato.

La visita di Mons. Miserachs, che è anche Canonico Prelato della Patriarcale Basilica di Santa Maria Maggiore in Roma, costituisce un motivo di vanto per la nostra comunità e un riconoscimento dei meriti del nostro organista Roberto Grasso.

La Dottrina Sociale della Chiesa, cos’è e come invece viene intesa

La Dottrina Sociale della Chiesa, cos'è e come invece viene intesa

La via della Chiesa per il convivere sociale degli uomini

Viviamo in un’epoca in cui relativismo e superficialità hanno il predominio. L’avvento dei social, invece di incentivare un desiderio di crescita culturale, ha intensificato la tentazione di accogliere le informazioni raccolte in rete a seconda delle proprie convinzioni, senza indagare sulla loro attendibilità, e senza preoccuparsi di approfondire i concetti espressi per verificarne i contenuti. In pratica internet è divenuto il mezzo per apparire senza grandi sforzi ciò che vorremmo che gli altri pensino di noi, e non per condurci ad essere ciò che siamo in realtà. In questo contesto si collocano anche i grandi problemi esistenziali, e i temi fondamentali del convivere civile.

Cos’è e cosa non è

Nello specifico, riguardo alla Dottrina Sociale della Chiesa si è detto di tutto e di più, da infinite parti e direzioni.

Vediamo allora di approfondire questo tema. Se non altro per fare un poco di chiarezza e evitare fraintendimenti che in alcuni casi possono essere anche strumentali o funzionali a strategie politiche inopportune.

Va innanzitutto chiarito un principio fondamentale: la Dottrina Sociale della Chiesa è parte della Teologia Morale. E non potrebbe essere altrimenti, visto che fa riferimento a comportamenti dettati da principi confessionali. E con questo si risponde a chi si arroga il diritto di sostenere che la Chiesa non possa intervenire nel sociale.

Non è, come molti credono sbagliando, un “sistema” ma una terza via che propone una critica a Socialismo e Capitalismo. E non è una “tecnica” ma una categoria che fa parte della Dottrina Morale.

La prospettiva della Dottrina Sociale della Chiesa non è il raggiungimento di un “paradiso in terra”, che essa stessa riconosce impossibile da acquisire. È invece un ordine sociale che permetta all’uomo di vivere nella volontà di Dio e di condurre una vita cristiana in cui realizzare le proprie aspirazioni umane e religiose in modo degno.

Si tratta di una dottrina dinamica e non statica. Infatti è in continua evoluzione. Pur essendo sempre stata presente nella Storia della Chiesa a vari livelli e più o meno affermata nei tempi e nei luoghi, è assurta a importanza capitale e palesata in modo chiaro a partire da Leone XIII con la Rerum Novarum, e prosegue senza soluzione di continuità fino a Francesco.

Nella sua evoluzione non modifica e non ha mai surrogato i valori fondamentali perché sono radicati nel Vangelo. Possono variare invece le applicazioni in funzione del contesto, anche perché è disciplina che si applica all’uomo nella sua “umanità”.

Il conflitto con la Politica

Questi motivi di fondo staccano in modo netto la Dottrina Sociale della Chiesa da qualsiasi posizione politica e ancor meno partitica.

Non è corretto altresì affermare che essa si avvicini più ad un principio politico piuttosto che ad un altro. La Dottrina Sociale della Chiesa prevede infatti soluzioni che sono incompatibili in via sostanziale con qualunque altra proposta politica. E ciò è conseguenza del fatto che l’obiettivo della Dottrina Sociale della Chiesa non mira ad un potere governativo, ma all’acquisizione di valori morali che guidino ad una presa di coscienza.

Ne sorte quindi un conflitto permanente con ogni forza politica. E ciò avviene nel momento stesso in cui l’espressione del potere privilegia l’aspetto utilitaristico a scapito di un disegno organico di formazione di una coscienza comune e di un progresso paritario.

Il concetto stesso di parità viene espresso nella Chiesa come un’esigenza che tenga conto delle insuperabili diversità. Allo stesso tempo deve però impedire che una parte soffochi l’altra.

La proprietà privata

In questa ottica si inserisce la posizione della Chiesa sulla proprietà privata. Su questo concetto le strumentalizzazioni si sono moltiplicate proprio per pressapochismo, relativismo e superficialità.

Va innanzitutto detto che la Chiesa riconosce la proprietà privata come strumento indispensabile per garantire all’uomo sicurezza e dignità. Senza l’idea di poter disporre di qualcosa di proprio non sarebbe possibile garantire all’uomo un futuro sereno e scevro di oppressione.

Questo però non può e non deve autorizzare ad intendere la proprietà privata come un qualcosa di assolutamente dovuto a scapito di chi non ha propri mezzi. In questo senso la proprietà privata non è più un valore assoluto, ma deve essere strumento per consentire una dignità di base e di vita anche a chi è rimasto indietro.

Non si tratta di utopia, ma appunto di una via che si contrappone ad un modo di pensare mondano e utilitaristico. Fattori, questi, che colpiscono in modo paritario ogni cultura politica.

Conoscere la Dottrina Sociale della Chiesa

L’invito è quindi quello di informarsi circa le proposte che sono state formulate attraverso le encicliche dei pontefici che si sono susseguite. Apartire dalla Rerum Novarum del 15 maggio 1891 di Leone XIII, fino alla Fratelli Tutti del 3 ottobre 2020 di Papa Francesco, intercalate da numerosi documenti dottrinali. Solo con l’informazione si può affrontare una critica costruttiva e formarsi un’idea concreta sull’argomento, che non sia penalizzata da luoghi comuni o inesattezze. E soprattutto si raggiunge la piena libertà riguardo a colpevoli strumentalizzazioni.

Lo studio della Bibbia: critica testuale

Lo studio della Bibbia: critica testuale

Le difficoltà derivanti dalla trasmissione nei secoli del libro più letto del mondo

L a critica testuale della Bibbia è indispensabile soprattutto se prendiamo atto che questa opera non ci è giunta in copie autografe, ma in versioni derivanti da epoche differenti e su diversi supporti.

La possiamo leggere nelle lingue originali nelle quali essa è stata scritta (ebraico, aramaico, greco), ma anche nelle varie lingue di tutti i periodi storici successivi in cui è stata tradotta.

Il pericolo è quello di incorrere in versioni che abbiano modificato, in modo più o meno volontario o doloso, contenuti o parole. A ciò si aggiunga la difficoltà di interpretazione delle antiche scritture e l’intervento di eventi che abbiano potuto snaturarle o anche minimamente modificarle.

Attualmente, e ciò anche grazie ai metodi scientifici che costituiscono l’approccio indiscusso allo studio dei testi, possiamo dire che la ricerca è riuscita a dare una garanzia di fondo alla volontà di risalire ai testi originali. Per quanto consentito dalle più moderne tecniche, si può affermare che oggi possiamo avere una ragionevole certezza che quanto leggiamo sia conforme alla stesura originaria. Salvo ovviamente nuove scoperte.

Le difficoltà linguistiche e letterarie

Non ci si può nascondere però che le difficoltà sono notevoli. Sotto l’aspetto testuale stretto, le lingue semitiche, come ebraico e aramaico, non comprendono l’utilizzo di vocali. Si affidano alla scrittura delle radici consonantiche del termine, il quale nella maggior parte dei casi esprime un concetto. Nelle tradizioni semitiche antiche il modo stesso di pensare e di agire presenta delle evidenti differenze con quello occidentale. E ancora di più col pensiero occidentale moderno. Lo stesso concetto di parola è strettamente legato all’agire, e lo si può facilmente notare nella narrazione della creazione, riferito a Dio. Ne deriva che il termine “parola” assume un significato più pieno di significato rispetto a come oggi noi lo intendiamo. E ciò deriva anche dalla povertà numerica dei termini utilizzati nelle lingue antiche, unito alla necessità di esprimere comunque concetti più ampi.

Inserendo le vocali in una radice consonantica può quindi generare confusioni, attribuendo ai termini un significato o una “forza” diversa.

In passato, e precisamente tra il I e il X secolo circa, intervennero i Masoreti, ovvero degli studiosi ebraici che si occuparono di rendere la lettura di più facile accesso. La versione della Bibbia adottata oggi dall’Ebraismo è infatti un testo masoretico.

I Masoreti introdussero delle varianti significative attraverso delle note a margine o tra le righe, indicando la corretta pronuncia, ma anche la particolarità del testo.

I testi antichi

I testi più antichi finora ritrovati risalgono al IX secolo. Siamo però in possesso di frammenti anche molto più antichi, come ad esempio quelli di Qumran. Il problema sorge circa le differenze che si evidenziano tra i vari testi ritrovati. In alcuni casi la variazioni intervengono nella misura di 1 parola su 1000. In altri casi la frequenza è maggiore.

Attualmente attraverso un complicato lavoro di catalogazione e una gerarchia delle fonti, si tende a dare preminenza ai testi più antichi. Per determinarli ci si affida alla Paleografia, la disciplina che studia non solo i materiali delle varie epoche, ma anche gli stili e i metodi di scrittura.

Esistono delle versioni privilegiate, i cosiddetti “codici”, i quali sono ritenuti più affidabili rispetto ad altri secondo ogni aspetto. Possiamo citare il Canone Vaticano, o Codice B, o Codice 03, che è attualmente il più antico testo ritrovato che sia completo da Genesi a Apocalisse. Altri codici importantissimi sono il Codex Sinaiticus e il Codex Alexandrinus, e altri ancora.

Oltre ai codici esistono singoli manoscritti su papiro o pergamena, ma anche frammenti su diversi supporti. Tutto questo “materiale” viene catalogato e indicato attraverso una classificazione che comprende lettere maiuscole o minuscole, oppure l’iniziale del supporto utilizzato. Abbiamo così dei manoscritti detti “maiuscoli” seguiti da un numero, altri “minuscoli”, o altri ancora caratterizzati da una lettera particolare.

Questo sistema aiuta i ricercatori a orizzontarsi nell’oceano dei documenti, afferrando immediatamente la tipologia a cui ci si avvicina. Molta importanza viene attribuita per esempio ai papiri, essendo tipicamente il supporto quasi sempre più antico. Ad esempio il P52, Papiro 52, anche chiamato Rylands52, conservato nella omonima biblioteca universitaria di Manchester, è un frammento di una copia del Vangelo secondo Giovanni che potrebbe essere datato tra il 125 e il 175. Riporta i brani da Gv 18,31-33,37-38.

Gli errori manuali

Ma oltre a tutto ciò dobbiamo anche tenere conto di quelli che sono stati alcuni errori manuali, anche involontari, in cui i trascrittori sono incorsi attraverso i secoli.

A riportare i testi affinché non andassero distrutti ci pensarono soprattutto gli amanuensi, per la maggior parte monaci. Dobbiamo considerare che le lingue semitiche, essendo come già detto povere di termini, utilizzavano spesso la ripetizione di intere frasi, anche più volte all’interno del medesimo periodo. Questo stile era adottato proprio per la mancanza di termini che fossero abbastanza incisivi per rendere più enfatica una frase. Nei casi in cui un amanuense avesse dovuto interrompere il lavoro, è accaduto spesso che un periodo fosse ripetuto più volte del necessario, oppure addirittura tralasciato. Senza contare ovviamente gli errori di trascrizione ponendo una lettera per un’altra. La coincidenza di vari errori (ripeto: voluti o non voluti), ha determinato versioni differenti nel momento in cui si procede alla traduzione o all’interpretazione di un concetto.

La Bibbia dei LXX

I testi masoretici hanno di fatto comunque sostituito la più antica traduzione della Bibbia di cui noi siamo oggi a conoscenza e che risale all’era tolemaica (precisamente al I secolo a.C). Si tratta della Bibbia Septuaginta, meglio conosciuta come Bibbia dei LXX.

Tolomeo II Filadelfo, Faraone d’Egitto, incaricò i saggi di Alessandria di tradurre in greco la Bibbia ebraica. A questo incarico risposero 72 rabbini, 6 per ogni antica tribù di Israele. Questa Bibbia non va però confusa con altre versioni greche importanti. Non si possono non citare le Bibbie di Aquila di Sinope, di Simmaco l’Ebionita e di Teodozione, le quali figurano anch’esse nell’Exapla di Origene.

Lo studio e la critica testuale della Bibbia è affascinante non solo per questi aspetti tecnici, ma soprattutto per i loro risvolti teologici. Ma non si può dimenticare la dimensione romantica. Gesù leggeva (e lesse nella Sinagoga) srotolando i papiri e inserendo a memoria le vocali in una scrittura consonantica. Oggi per aiutare la lettura dei testi ebraici si ricorre ad un sistema di simboli codificati che indicano quale vocale inserire e altri sussidi per la lettura corretta.

I padri cappadoci, dottrina cristiana e filosofia

I padri cappadoci, dottrina cristiana e filosofia

L’importanza dei luminari di Cappadocia nella storia della Chiesa

La ricorrenza dei santi Basilio Magno e Gregorio di Nazianzo del 2 gennaio, fornisce una grata occasione per rinverdire la conoscenza dei padri cappadoci, annoverati tra i Dottori della Chiesa.

Costituivano un gruppo di tre dotti monaci del IV secolo, formato da Basilio, Gregorio di Nissa (suo fratello), e Gregorio detto il Nazianzieno. Provenivano dalla regione appartenente oggi alla moderna Turchia, e riuscirono tra le altre cose, a dimostrare ai letterati del loro tempo che il Cristianesimo non è una dottrina contraria alla filosofia, ma porta anche ad un nuovo stile di vita.

Basilio il Grande

Basilio, successivamente definito “il Magno”, fu certamente il più importante fra i tre. Introdotto con il fratello alla fede cristiana dalla nonna Macrina, era figlio di un noto retore e avvocato, mentre suo nonno fu un discepolo di Gregorio il Taumaturgo del Ponto che perì martire durante le persecuzioni di Diocleziano.

Nacque a Cesarea in Cappadocia nel 329. Fu ordinato presbitero all’età di 31 anni. 10 anni dopo, nel 370, alla morte del grande storico e vescovo Eusebio, fu eletto Vescovo di Cesarea, metropolita ed esarca dell’intera regione del Ponto.

Si oppose coraggiosamente e fieramente all’imperatore Valente, il quale sosteneva le tesi ariane. A lui si deve la nascita del primo ospedale della storia dell’umanità. Edificò infatti la cittadella di Basiliade, che ospitava locande, ospizi e lebbrosari.

Scrisse moltissime opere di carattere dogmatico e ascetico, oltre che omelie e discorsi. Con l’amico Gregorio di Nazianzo, col quale condivise la vita conventuale in gioventù, scrisse un importante trattato sullo Spirito Santo in cui si afferma la consustanzialità delle tre Persone della Trinità. Di notevole importanza fu anche la sua antologia origeniana, la Filocalia, anch’essa scritta con Gregorio Nazianzieno.

Altre opere di carattere fondamentale sono : Contro Eunomio, Lo Spirito Santo, Asceticon, e numerose altre.

Morì nel 379, l’anno successivo a quello in cui Teodosio elevò il Cristianesimo a religione di Stato.

Gregorio di Nissa

Gregorio, che successivamente fu definito Nisseno, fu istruito dal fratello Basilio e dopo gli studi fu colto da una crisi spirituale decidendo di non consacrarsi. Ritornato alla fede fu ordinato presbitero e entrò nel monastero di Basilio. Fu eletto Vescovo di Nissa nel 371.

Tra le poche notizie certe su di lui, sappiamo, che pur essendo il più giovane tra i tre Padri Cappadoci, fu quello che con maggiore organicità operò un’assimilazione filosofica della letteratura pagana alla fede cristiana servendosi del metodo paideutico.

Fu anch’egli autore di numerosissime opere di carattere teologico, ascetico e esegetico.

Gregorio di Nazianzo

Nacque a Nazianzo nel 329 e vi morì nel 390. Per tutta la vita fu amico di Basilio Magno. Fu incaricato di redigerne l’elogio funebre. Il padre Gregorio anch’egli, era ebreo appartenente alla setta degli Ipsistari, ma fu convertito dalla moglie Nonna e divenne Vescovo di Nazianzo.

Studiò presso il Didaskaleion e, successivamente, ad Atene fu compagno di studi del futuro imperatore Giuliano l’Apostata contro cui pubblicò l’Oratio IV. Fu Vescovo di Costantinopoli, e in tale veste partecipò al Concilio del 381. Nel 382 divenne Vescovo di Nazianzo e dopo un anno si ritirò in solitudine nella frazione di Arianzo ove morì 8 anni più tardi.

Scrisse una rappresentazione sacra (“La passione di Cristo”), numerosi poemi sacri, ma soprattutto 45 tra discorsi e omelie e 245 epistole che ci trasmettono il suo pensiero. Nel 1568 fu proclamato Dottore della Chiesa da Papa Pio V.