La Fede non si vive solo con l’intelletto, ma col cuore

La Fede non si vive solo con l'intelletto, ma col cuore

Anche noi possiamo rivivere l’esperienza dei discepoli di Emmaus

«Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto». Egli entrò per rimanere con loro. Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero.
(Dalla liturgia).

Facciamoci caso: i due discepoli di Emmaus, Cleopa e il suo compagno, conoscevano già tutto quando, amareggiati e rancorosi, si allontanavano da Gerusalemme per andare chissà dove.

L’incontro con il viandante (che poi si è rivelato essere Gesù) non ha dato loro qualche notizia nuova. Conoscevano già la testimonianza delle donne, la tomba vuota, persino la visione degli angeli che affermano che Gesù è vivo. Sapevano già tutto. Ma questa conoscenza è stata inutile finché non hanno fatto una vera esperienza del Signore risorto.

Allora tutto è cambiato. Gesù li ha prima istruiti sulle sacre scritture, facendo loro capire come ogni passo della Bibbia è indirizzato lì, alla morte e resurrezione del Figlio di Dio, e poi ha spezzato il pane. In sostanza ha celebrato la Messa nei suoi due momenti: la liturgia della parola e quella eucaristica.

Avendo fatto una vera esperienza del Signore il cuore deluso ha ricominciato ad ardere nel petto, le loro menti si sono illuminate e i loro occhi si sono aperti, facendo loro comprendere quella realtà che era già chiara davanti a loro, ma che essi, prima di fare questa esperienza, non erano in grado di riconoscere.

Anche noi possiamo fare questa esperienza. Noi difficilmente incontreremo Gesù che cammina per strada, ma questo non è necessario. Anche noi possiamo fare un’esperienza viva e vitale del Signore innanzitutto partecipando bene alla Messa.

Se pensiamo di vivere la fede in modo soltanto intellettuale, limitandoci a ragionare su di essa, non arriveremo a nulla, ci porterà solo alla delusione e all’amarezza, come è successo ai due discepoli prima di incontrare Gesù. Ma se faremo una vera esperienza di Lui, amando Dio e i fratelli, con una vita ricca di preghiera, con una vita morale ordinata, ricevendo bene e con frequenza i sacramenti, allora anche il nostro cuore arderà nel petto e i nostri occhi si apriranno, permettendoci di comprendere il senso della nostra vita e di essere, pur nei dolori e nelle difficoltà della vita, nella pace e nella gioia di Dio.

Avere fiducia in Dio

Avere fiducia in Dio

Credere significa ascoltare e mettere in pratica

«Disse allora Gesù: “Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora conoscerete che Io Sono e che non faccio nulla da me stesso, ma parlo come il Padre mi ha insegnato”» (dalla liturgia).

«Morirete nel vostro peccato», «morirete nei vostri peccati». Per due volte Gesù ripete questa frase, che ha un qualcosa di definitivo. Come se per quei giudei non vi fosse più possibilità di redenzione.

La prima volta parla di peccato al singolare, la seconda volta al plurale. Certamente le forme di peccato sono molteplici, di diversa natura e gravità, ma tutte hanno in comune la radice: non credere nell’Io Sono del Signore Gesù, cioè non credere che Egli è Dio, e la sua parola, se ascoltata e messa in pratica, può darci la salvezza, può darci cioè la pace e la gioia nelle difficoltà di questa vita, può illuminare il senso di questa nostra esistenza terrena, e può aprirci le porte della vita eterna.

Nelle parole del Battista il legame tra Natale e Pasqua

Nelle parole del Battista il legame tra Natale e Pasqua

Ogni volta che nominiamo Gesù come Agnello di Dio, ne indichiamo nascita, morte e resurrezione.

«Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo! Egli è colui del quale ho detto: “Dopo di me viene un uomo che è avanti a me, perché era prima di me”».
(Dalla liturgia).

L’espressione usata dal Battista, «agnello di Dio», è un espressione molto famosa. Ma qual è il suo vero significato?

L’agnello era la vittima sacrificale, l’animale usato per i sacrifici di espiazione. È l’innocente che paga per i peccati di altri. Le parole del Battista ci portano sul Calvario: Gesù è l’Innocente che, senza peccati, paga per le colpe di noi tutti.

Siamo nel tempo di Natale, e questa immagine ci riporta al Venerdì Santo.

Che senso ha tutto questo? In realtà il Natale rimanda alla Pasqua, le fasce in cui Maria ha avvolto Gesù richiamano il gesto con cui il corpo morto di Gesù deposto dalla croce è stato avvolto nella Sindone, Maria che depone il Figlio nella mangiatoia richiama la deposizione nella tomba. Nella Pasqua trova compimento ciò che nel Natale si è cominciato.

Vivere senza ricordare Dio

Vivere senza ricordare Dio

Gesù cita i tempi di Noè per indicarci ciò che non dobbiamo fare

«Risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina. Alleluia». (Dalla liturgia)

«Come avvenne nei giorni di Noè». E cosa avveniva di tanto particolare nei giorni di Noè?

Leggiamo: «mangiavano,bevevano, prendevano moglie, prendevano marito». Cosa c’è di male a mangiare, a bere, a prendere moglie o a prendere marito? Niente, non c’è proprio niente di male. Il male è fare tutte queste cose – che in sé sono cose belle, buone, necessarie – dimenticandosi di Dio, vivere la nostra vita normale come se Dio non esistesse, come se non gli dovessimo rendere conto di tutto quello che facciamo.

Tutto quello che facciamo, anche le cose più piccole e normali della nostra vita, devono essere fatte nella luce di Dio. Dimenticarsi di Dio, vivere come se Dio non esistesse porta alla rovina: per questo Gesù ricorda due punizioni divine esemplari: il diluvio universale e la distruzione di Sodoma.

Vivere la nostra vita quotidiana, fatta di lavoro, di affetti, di svago, viverla come piace a Dio, seguendo la sua legge, vivendo nella sua grazia. Questo significa vigilare e prepararsi all’incontro definitivo con Lui.

Fede, amore e perdono

Fede, amore e perdono

Gesù ci insegna quanto siano legati questi tre aspetti

«Se il tuo fratello commetterà una colpa, rimproveralo; ma se si pentirà, perdonagli. E se commetterà una colpa sette volte al giorno contro di te e sette volte ritornerà a te dicendo: “Sono pentito”, tu gli perdonerai». (Dalla liturgia).

«Accresci in noi la fede!». È la domanda dei discepoli.

La fede non è solo l’adesione intellettuale ad una serie di verità, innanzitutto è la fiducia che nutriamo verso Dio. E se ci fidiamo di Dio, non possiamo che credere che siano vere le cose che ci dice, che ci dice nella sacra scrittura e nella tradizione apostolica, così come interpretate dal magistero autentico della Chiesa.

E la fede non può limitarsi ad un pensiero, né tantomeno ad un’emozione, ma deve tradursi in agire concreto, per essere autentica e viva deve diventare modo abituale di pensare e di agire («la fede senza le opere è morta», ci dice la lettera di San Giacomo).

La fede e l’amore sono strettamente collegate: non si può credere in Dio senza amarlo (e quindi osservando i suoi comandi, «chi mi ama osserva i miei comandamenti», ci dice il Vangelo di Giovanni), né si può amarlo veramente se si rifiuta ciò che ci ha insegnato.

Il significato della chiamata

Il significato della chiamata

Il Signore non chiama a caso, ma con spirito d’amore

«In quei giorni, Gesù se ne andò sul monte a pregare e passò tutta la notte pregando Dio. Quando fu giorno, chiamò a sé i suoi discepoli e ne scelse dodici, ai quali diede anche il nome di apostoli». (Dalla liturgia)

«Ne scelse dodici, ai quali diede anche il nome di apostoli». La parola apostolo, nella lingua greca dalla quale questo termine deriva, significa inviato. Gli apostoli vengono identificati, anche nel nome, con la loro missione.

La missione per il Signore riguarda tutta la vita, non è un incarico part-time. Al Signore interessiamo noi, non tanto fare delle cose (che potrebbe benissimo fare Lui, e molto meglio di noi!).

La chiamata del Signore è anzitutto un segno di stima, di fiducia, immeritata. E c’è un rapporto particolare, unico, con ogni discepolo. Infatti non si dice che Gesù abbia creato un gruppo di soggetti con questa o quella caratteristica, ma chiama delle persone precise, individuate con un nome.

Al Signore, prima di quello che riusciamo a fare per Lui, interessiamo noi. A Lui interessa che noi, anzitutto, rimaniamo nella sua amicizia, nel suo amore.

L’attività apostolica è una conseguenza di questo rapporto. È dal rapporto d’amore con il Signore che nasce ogni attività ecclesiale, ogni attività di apostolato. Senza un vero rapporto con il Signore il darsi da fare per la Chiesa è solo aria fritta.

La religiosità “apparente”

La religiosità "apparente"

L’ostacolo ad un sincero rapporto con Dio, qualche volta viene da noi stessi

«Ipocriti, non è forse vero che, di sabato, ciascuno di voi slega il suo bue o l’asino dalla mangiatoia, per condurlo ad abbeverarsi? E questa figlia di Abramo, che Satana ha tenuto prigioniera per ben diciotto anni, non doveva essere liberata da questo legame nel giorno di sabato?».
(Dalla liturgia).

La donna ricurva è come legata, imprigionata da una forza a lei estranea che le impedisce di vivere bene, di vivere liberamente. Simboleggia bene l’uomo prigioniero delle astuzie del demonio.

Infatti Gesù nel guarirla usa la frase: «sei liberata dalla tua malattia». Subito i presenti si lamentano, perché così facendo Gesù ha violato la legge del sabato, che impedisce agli Ebrei di svolgere in quel giorno qualsiasi attività.

Ma Gesù ha buon gioco a rispondere e a mostrare la loro ipocrisia. Il riposo del sabato ricorda agli Ebrei la liberazione dalla schiavitù del Faraone, e ora si lamentano perché questa donna proprio di sabato è stata liberata dalla schiavitù del demonio che da tanti anni la teneva legata.

Gesù ci mostra come una religiosità apparente, che si sofferma sui dettagli e non sa andare al centro dell’insegnamento del Signore, cioè l’amore per Dio e l’amore per il prossimo, sia un ostacolo anziché un aiuto al nostro rapporto con Dio.

L’importanza del discernimento

L'importanza del discernimento

Giudicare le cose con intelligenza, dirittura morale e il modo di pensare di Dio

«Quando vedete una nuvola salire da ponente, subito dite: “Arriva la pioggia”, e così accade. E quando soffia lo scirocco, dite: “Farà caldo”, e così accade. Ipocriti! Sapete valutare l’aspetto della terra e del cielo; come mai questo tempo non sapete valutarlo?». (Dalla liturgia)

«Come mai questo tempo non sapete valutarlo?». È questa la domanda (che suona come un rimprovero) che Gesù rivolge alle folle che lo stavano ad ascoltare. Come mai sapete valutare gli aspetti secondari della vita (come il tempo meteorologico) e invece non siete capaci di giudicare il tempo in cui vivete?

Gesù, con queste parole, ci richiama un altro aspetto della vigilanza: valutare le cose che accadono per essere in grado di decidere ciò che è giusto e ciò che non lo è. In una parola il discernimento.

Non è la semplice osservazione delle cose, degli avvenimenti che accadono. È l’osservazione fatta con lo sguardo di chi riesce a vedere al di là delle apparenze immediate.

Per sapere vedere in questo modo non basta l’intelligenza: occorre anche la dirittura morale di chi si sforza di vivere come piace a Dio e di giudicare le cose secondo il modo di pensare di Dio.

Quando consideriamo la realtà con parametri solamente umani non andiamo lontano. Lo sguardo dell’uomo è miope. Vede poco più in là del proprio naso. Lo sguardo di Dio è ampio e penetrante, e sa dare un giudizio vero su ciò che accade.

Vigilare significa anche sforzarsi di valutare ciò che ci accade con gli occhi di Dio, l’unico che vede le cose, le persone e gli avvenimenti per quello che realmente sono e non per quello che appaiono.

Predicare la Parola di Dio, non la nostra!

Predicare la Parola di Dio, non la nostra!

L’invito esplicito che Gesù diede ai farisei, vale anche per noi

«In quel tempo, il Signore disse: “Guai a voi, che costruite i sepolcri dei profeti, e i vostri padri li hanno uccisi. Così voi testimoniate e approvate le opere dei vostri padri: essi li uccisero e voi costruite.
Per questo la sapienza di Dio ha detto: ‘Manderò loro profeti e apostoli ed essi li uccideranno e perseguiteranno’, perché a questa generazione sia chiesto conto del sangue di tutti i profeti, versato fin dall’inizio del mondo: dal sangue di Abele fino al sangue di Zaccarìa, che fu ucciso tra l’altare e il santuario. Sì, io vi dico, ne sarà chiesto conto a questa generazione.
Guai a voi, dottori della Legge, che avete portato via la chiave della conoscenza; voi non siete entrati, e a quelli che volevano entrare voi l’avete impedito”.
Quando fu uscito di là, gli scribi e i farisei cominciarono a trattarlo in modo ostile e a farlo parlare su molti argomenti, tendendogli insidie, per sorprenderlo in qualche parola uscita dalla sua stessa bocca»
(Dalla Liturgia).

«Guai a voi, dottori della Legge, che avete portato via la chiave della conoscenza; voi non siete entrati, e a quelli che volevano entrare voi l’avete impedito». I rimproveri che in questi giorni leggiamo nei confronti degli scribi e farisei sono rivolti anche a noi. Anche noi, cristiani del XXI secolo, ci macchiamo spesso delle stesse colpe di quegli uomini.

In particolare questa frase sembra diretta a chi ha un compito di insegnamento nella Chiesa: Papa e vescovi certamente, ma anche preti, insegnanti, catechisti, genitori cristiani. Quando chi deve insegnare la fede di Cristo, la dottrina cristiana, insegna qualcosa d’altro, magari solo le proprie idee, quando ripete la frase: «la Chiesa insegna questo, ma io la penso così», non solo impedisce a chi ascolta di giungere a una conoscenza piena, saporosa, efficace della novità cristiana, ma egli stesso rimane privo da quel sapere che genera amore, che diventa modo di pensare e pratica di vita, che fa vivere bene e apre la porta della vita eterna.

La Parola di Dio e la nostra relazione con gli altri

La Parola di Dio e la nostra relazione con gli altri

Non siamo noi il centro dell’universo, ma Dio

«Chi accoglierà questo bambino nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato. Chi infatti è il più piccolo fra tutti voi, questi è grande». (Dalla liturgia)

«Chi non è contro di voi, è per voi». È una frase che sembra esprimere il concetto opposto di un’altra frase, tratta dal Vangelo di Matteo; «Chi non è con me, è contro di me» (Mt. 12,30).

In realtà tra le due frasi non c’è contraddizione. La prima è riferita ai discepoli, la seconda a Gesù stesso. Il discepolo non può pensare di essere l’unico depositario della grazia del Signore: Dio può agire anche al di fuori dei confini delle nostre comunità, per cui tutto quello che di buono viene fatto da altri, da persone che non sono partecipi delle nostre comunità, rimane comunque una cosa buona. Mentre invece la scelta per il Signore deve essere decisa e completa.

Una via di mezzo non è concepibile: il Signore vuole tutto, come dice il Comandamento: «amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuor, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente».

Oggi noi spesso facciamo il contrario: siamo molto decisi nel criticare chi non partecipa alle attività delle nostre comunità, chi non condivide il nostro stile, o il nostro modo di ragionare o di vedere le cose, e invece siamo molto tolleranti con chi, anche pubblicamente, fa scelte contrarie all’insegnamento del Vangelo.

Il Signore ci mette in guardia da questi atteggiamenti, che tolgono centralità al Signore e al suo insegnamento e mettono noi stessi al posto di Dio.