L’importanza del discernimento

L'importanza del discernimento

Giudicare le cose con intelligenza, dirittura morale e il modo di pensare di Dio

«Quando vedete una nuvola salire da ponente, subito dite: “Arriva la pioggia”, e così accade. E quando soffia lo scirocco, dite: “Farà caldo”, e così accade. Ipocriti! Sapete valutare l’aspetto della terra e del cielo; come mai questo tempo non sapete valutarlo?». (Dalla liturgia)

«Come mai questo tempo non sapete valutarlo?». È questa la domanda (che suona come un rimprovero) che Gesù rivolge alle folle che lo stavano ad ascoltare. Come mai sapete valutare gli aspetti secondari della vita (come il tempo meteorologico) e invece non siete capaci di giudicare il tempo in cui vivete?

Gesù, con queste parole, ci richiama un altro aspetto della vigilanza: valutare le cose che accadono per essere in grado di decidere ciò che è giusto e ciò che non lo è. In una parola il discernimento.

Non è la semplice osservazione delle cose, degli avvenimenti che accadono. È l’osservazione fatta con lo sguardo di chi riesce a vedere al di là delle apparenze immediate.

Per sapere vedere in questo modo non basta l’intelligenza: occorre anche la dirittura morale di chi si sforza di vivere come piace a Dio e di giudicare le cose secondo il modo di pensare di Dio.

Quando consideriamo la realtà con parametri solamente umani non andiamo lontano. Lo sguardo dell’uomo è miope. Vede poco più in là del proprio naso. Lo sguardo di Dio è ampio e penetrante, e sa dare un giudizio vero su ciò che accade.

Vigilare significa anche sforzarsi di valutare ciò che ci accade con gli occhi di Dio, l’unico che vede le cose, le persone e gli avvenimenti per quello che realmente sono e non per quello che appaiono.

Predicare la Parola di Dio, non la nostra!

Predicare la Parola di Dio, non la nostra!

L’invito esplicito che Gesù diede ai farisei, vale anche per noi

«In quel tempo, il Signore disse: “Guai a voi, che costruite i sepolcri dei profeti, e i vostri padri li hanno uccisi. Così voi testimoniate e approvate le opere dei vostri padri: essi li uccisero e voi costruite.
Per questo la sapienza di Dio ha detto: ‘Manderò loro profeti e apostoli ed essi li uccideranno e perseguiteranno’, perché a questa generazione sia chiesto conto del sangue di tutti i profeti, versato fin dall’inizio del mondo: dal sangue di Abele fino al sangue di Zaccarìa, che fu ucciso tra l’altare e il santuario. Sì, io vi dico, ne sarà chiesto conto a questa generazione.
Guai a voi, dottori della Legge, che avete portato via la chiave della conoscenza; voi non siete entrati, e a quelli che volevano entrare voi l’avete impedito”.
Quando fu uscito di là, gli scribi e i farisei cominciarono a trattarlo in modo ostile e a farlo parlare su molti argomenti, tendendogli insidie, per sorprenderlo in qualche parola uscita dalla sua stessa bocca»
(Dalla Liturgia).

«Guai a voi, dottori della Legge, che avete portato via la chiave della conoscenza; voi non siete entrati, e a quelli che volevano entrare voi l’avete impedito». I rimproveri che in questi giorni leggiamo nei confronti degli scribi e farisei sono rivolti anche a noi. Anche noi, cristiani del XXI secolo, ci macchiamo spesso delle stesse colpe di quegli uomini.

In particolare questa frase sembra diretta a chi ha un compito di insegnamento nella Chiesa: Papa e vescovi certamente, ma anche preti, insegnanti, catechisti, genitori cristiani. Quando chi deve insegnare la fede di Cristo, la dottrina cristiana, insegna qualcosa d’altro, magari solo le proprie idee, quando ripete la frase: «la Chiesa insegna questo, ma io la penso così», non solo impedisce a chi ascolta di giungere a una conoscenza piena, saporosa, efficace della novità cristiana, ma egli stesso rimane privo da quel sapere che genera amore, che diventa modo di pensare e pratica di vita, che fa vivere bene e apre la porta della vita eterna.

La Parola di Dio e la nostra relazione con gli altri

La Parola di Dio e la nostra relazione con gli altri

Non siamo noi il centro dell’universo, ma Dio

«Chi accoglierà questo bambino nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato. Chi infatti è il più piccolo fra tutti voi, questi è grande». (Dalla liturgia)

«Chi non è contro di voi, è per voi». È una frase che sembra esprimere il concetto opposto di un’altra frase, tratta dal Vangelo di Matteo; «Chi non è con me, è contro di me» (Mt. 12,30).

In realtà tra le due frasi non c’è contraddizione. La prima è riferita ai discepoli, la seconda a Gesù stesso. Il discepolo non può pensare di essere l’unico depositario della grazia del Signore: Dio può agire anche al di fuori dei confini delle nostre comunità, per cui tutto quello che di buono viene fatto da altri, da persone che non sono partecipi delle nostre comunità, rimane comunque una cosa buona. Mentre invece la scelta per il Signore deve essere decisa e completa.

Una via di mezzo non è concepibile: il Signore vuole tutto, come dice il Comandamento: «amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuor, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente».

Oggi noi spesso facciamo il contrario: siamo molto decisi nel criticare chi non partecipa alle attività delle nostre comunità, chi non condivide il nostro stile, o il nostro modo di ragionare o di vedere le cose, e invece siamo molto tolleranti con chi, anche pubblicamente, fa scelte contrarie all’insegnamento del Vangelo.

Il Signore ci mette in guardia da questi atteggiamenti, che tolgono centralità al Signore e al suo insegnamento e mettono noi stessi al posto di Dio.

La vera conoscenza di Dio

La vera conoscenza di Dio

Conoscere Dio VERAMENTE porta frutti di bene

«Io sono la via, la verità e la vita, dice il Signore. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me». Alleluia. (Dalla liturgia)

Erode sente parlare di Gesù, e si interroga su di Lui. Anche perché la gente ne parla tanto, facendo le ipotesi più varie.

Erode cercava di incontrare Gesù, quantomeno di vederlo. Questa è una cosa buona. Quello che non è buono è che lo fa solo per curiosità. E questo non gli permette di capire nulla di Gesù. Quando qualche anno dopo (il venerdì santo) Erode incontrerà Gesù mandatogli da Pilato, non capirà nulla di Lui. Infatti Erode rimanderà Gesù a Pilato dopo averlo sbeffeggiato.

Avvicinarsi a Gesù, alla Chiesa, alle cose di Dio solo per curiosità, non porta alcun frutto. Il desiderio autentico di conoscere le Dio, di conoscere Gesù, di conoscere le cose di Dio invece porta frutto. Perché porta alla vera conoscenza di Dio, che ci conduce a capire che ascoltare la sua parola senza tentare di metterla in pratica non serve a nulla. Solo avere la vera conoscenza di Dio genera l’amore per Lui e per il prossimo, e piano piano porta frutti di bene nella nostra vita.

Il Magistero della Chiesa, voluto da Gesù

Il Magistero della Chiesa, voluto da Gesù

Alla Chiesa, da Lui costituita, Gesù diede di conoscerei misteri del Regno

«Quello sul terreno buono sono coloro che, dopo aver ascoltato la Parola con cuore integro e buono, la custodiscono e producono frutto con perseveranza». (Dalla liturgia).

«A voi è dato conoscere i misteri del regno di Dio, ma agli altri solo con parabole, affinché vedendo non vedano e ascoltando non comprendano». C’è un modo di accostarsi alla parola di Dio, alla religione, che non serve a nulla. Che non ci apre gli occhi e la mente alla comprensione dei misteri della vita.

Agli apostoli invece è stato dato di conoscere i misteri del regno di Dio. Agli apostoli, cioè alla Chiesa, alla Chiesa cattolica e apostolica che, nel suo magistero autentico, è in grado di interpretare secondo verità la parola di Dio.

A noi è stato dato un grande dono, che è anche una grande responsabilità: quello di essere membri della Chiesa di Cristo. La Chiesa di Cristo è in grado di farci comprendere i misteri del regno di Dio, di dare una risposta alle domande fondamentali che portiamo nel nostro cuore: da dove veniamo, quale è il senso della nostra esistenza, è possibile essere felici, c’è vita oltre la morte.

Non accostiamoci in modo sterile alla parola di Dio, al magistero autentico della Chiesa, considerandoli una parola fra le tante, un’opinione magari rispettabile, ma non vincolante per la nostra vita. Se facciamo così di fronte a ciò che capita, agli avvenimenti della nostra vita, alle vicende del mondo, faremmo la fine di quelli che vedendo non vedono e ascoltando non capiscono, e ci limiteremmo a sopravvivere, non capendo il senso della nostra esistenza.

Gesù ci ha affidato a Maria

Gesù ci ha affidato a Maria

L’affidamento reciproco di Giovanni e Maria Santissima è anche un’esortazione

«In quel tempo, stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria madre di Clèopa e Maria di Màgdala.
Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: “Donna, ecco tuo figlio!”. Poi disse al discepolo: «Ecco tua madre!”. E da quell’ora il discepolo l’accolse con sé
». (Dalla Liturgia).

La festa di oggi ci fa capire quanto Maria abbia condiviso, più di ogni altro essere umano, la missione redentrice di Cristo. Gesù muore sulla croce, e Maria assiste impotente allo strazio delle carni del suo divin Figlio.

Non ci può essere dolore più grave, per una madre, che assistere alla morte di un figlio. Maria è rimasta ai piedi della croce, straziata dal dolore, ma la sua fede non ha vacillato. Sapeva che Dio le promesse le mantiene. Ed è stata ripagata quando ha incontrato il suo Figlio risorto a vita nuova.

Ma c’è un altro aspetto che questo Vangelo ci suggerisce: Gesù ha voluto affidare al discepolo amato, alla Chiesa, a ciascuno di noi, la sua santissima madre, e a Maria ha affidato il discepolo amato, ha affidato ciascuno di noi. E non lo ha fatto in un momento qualunque, ma pochi istanti prima di morire. Se non fosse stato necessario per la nostra salvezza Gesù non avrebbe usato le ultime parole pronunciate prima di morire per consegnarci alla protezione amorevole di Maria.
Affidiamoci a lei nelle difficoltà, materiali e ancor più spirituali. Maria non ci abbandona, si prende cura di noi. Ella non ha mai disobbedito a Dio, non lo farà neanche questa volta.

Il riferimento è il Signore e non noi stessi

Può forse un cieco guidare un altro cieco?

Il rischio di essere ciechi o di avere una visione distorta

«Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso? Un discepolo non è più del maestro; ma ognuno, che sia ben preparato, sarà come il suo maestro». (Dalla liturgia)

Il primo paragone è quello della guida, che rischia di far cadere nel fosso chi si affida a lei. Il riferimento non è solo ai farisei del tempo di Gesù, ma è ai discepoli di tutti i tempi.

Il cieco non sa dove va. E il discepolo rischia di non sapere più dove va quando perde il punto di riferimento, quando perde di vista l’unica vera Guida: Gesù. Quando il discepolo non fa più riferimento agli insegnamenti di Gesù, al magistero della Chiesa, diventa cieco e smette di essere una guida affidabile.

La parola del discepolo non può separarsi da quella del Maestro. Il discepolo può solo cercare di spiegare quello che Gesù ha già detto, non può fare di testa sua, pena il rischio di cadere nel fosso, di rovinare cioè la propria vita e quella degli altri.

Il secondo paragone è quello della pagliuzza e della trave. Talvolta, per essere fedeli alle parole di Gesù, è necessaria la correzione fraterna, cioè dire al fratello che sta sbagliando qualcosa.

Il rischio, in questi casi, è quello di usare due pesi e due misure, di essere molto indulgenti con se stessi e puntigliosi con gli altri; di essere, nei confronti degli altri, più rigorosi di quanto lo sia Gesù stesso, e usare invece un metro eccessivamente morbido con noi stessi. È un atteggiamento ipocrita.

Il brano ci avvisa che è meglio cominciare la critica da noi stessi, perché è proprio verificando le nostre mancanze che noi riusciamo ad avere un giusto metro per valutare il comportamento degli altri. Cominciare la critica da noi stessi non è solo un modo di evitare l’ipocrisia, ma ci aiuta a capire quali siano i tempi, i modi, la gravità della correzione per gli altri. Solo chi mette in discussione se stesso ha la lucidità per vedere e per capire gli altri.

Il Signore ci vuole felici, per questo ci da questi suggerimenti: perché noi possiamo essere in grado di riconoscere ciò che è bene e ciò che è male, non basandoci su quello che pensa il mondo, ma basandoci solo sull’insegnamento del Signore, perché solo in esso troviamo ciò che ci serve per avere pace e gioia.

Quante volte siamo anche noi «farisei»?

Quante volte siamo anche noi «farisei»?

Analizziamo gli insegnamenti di Gesù su sabato.

Poi Gesù disse loro: «Domando a voi: in giorno di sabato, è lecito fare del bene o fare del male, salvare una vita o sopprimerla?». E guardandoli tutti intorno, disse all’uomo: «Tendi la tua mano!». Egli lo fece e la sua mano fu guarita.
Ma essi, fuori di sé dalla collera, si misero a discutere tra loro su quello che avrebbero potuto fare a Gesù
. (Dalla liturgia).

Gesù sa che scribi e farisei lo stanno ad osservare per poi accusarlo. Il problema stava nel fatto che Gesù faceva del bene in giorno di sabato.

Alcune scuole rabbiniche ammettevano che in giorno di sabato fosse possibile fare ciò che la legge non permetteva, ma solo in caso di pericolo di vita: per esempio salvarsi da un pericolo con la fuga, oppure assistere una donna colta dalle doglie del parto, o un uomo in grave pericolo di vita.

Gesù non aiuta un uomo in pericolo di vita. Con la sua azione non stabilisce un’eccezione, ma cambia il concetto teologico della norma: la norma è fatta per l’uomo, e non viceversa.

È questo che scribi e farisei non sopportano, ed Egli li sfida. Gesù non si nasconde nel compiere il miracolo, anzi da pubblicità al suo gesto, invitando l’uomo dalla mano inaridita a mettersi nel mezzo. E lo guarisce, scatenando la loro reazione.

Scribi e farisei non si curano che Gesù abbia potuto guarire un uomo con la sola parola. Si intestardiscono sul loro modo di pensare. Non rispondono alla domanda di Gesù.

Tante volte anche noi facciamo così: pensiamo che il nostro modo di vivere e di vedere le cose sia quello giusto, e non ci lasciamo interrogare né dal Vangelo né dalle cose che ci capitano nella vita. Tante volte Dio ci parla attraverso di esse, ma quando non riusciamo a liberarci dalle nostre idee preconcette e dalle nostre false sicurezze non riusciamo a cogliere ciò che la grazia di Dio ci fa capire per correggerci e vivere meglio.

Il richiamo alla coerenza

Il richiamo alla coerenza

Partendo dal rispetto del digiuno, Gesù insegna a essere conformi a ciò che conta

In quel tempo i farisei e i loro scribi dissero a Gesù: «I discepoli di Giovanni digiunano spesso e fanno preghiere, così pure i discepoli dei farisei; i tuoi invece mangiano e bevono!». Gesù rispose loro: «Potete forse far digiunare gli invitati a nozze quando lo sposo è con loro? Ma verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto: allora in quei giorni digiuneranno».
Diceva loro anche una parabola: «Nessuno strappa un pezzo da un vestito nuovo per metterlo su un vestito vecchio; altrimenti il nuovo lo strappa e al vecchio non si adatta il pezzo preso dal nuovo. E nessuno versa vino nuovo in otri vecchi; altrimenti il vino nuovo spaccherà gli otri, si spanderà e gli otri andranno perduti. Il vino nuovo bisogna versarlo in otri nuovi. Nessuno poi che beve il vino vecchio desidera il nuovo, perché dice: «Il vecchio è gradevole!».
(Dal Vangelo secondo Luca)

La pagina del Vangelo di oggi ci invita a non cercare di tenere il piede in due scarpe, di non pretendere cioè di scegliere Dio e di rimanere nel male.

Non è possibile amare Dio e voler rimanere nel peccato. Il vestito vecchio non sopporta il pezzo di stoffa nuovo, i vecchi otri non sono in grado di trattenere la vitalità del vino nuovo.

Se si sceglie di servire Dio, di vivere in amicizia con Dio non si può voler rimanere in situazioni di peccato. I risultati sarebbero drammatici per la nostra anima: ci illudiamo di vivere in grazia di Dio e viviamo invece abitualmente in stato di peccato mortale, pensiamo di fare cosa gradita a Dio e invece ci stiamo dannando l’anima. Ci si illude di amare Dio se si vive abitualmente nel peccato: «Chi mi ama osserva i miei comandamenti» (Gv 14,21).

Chiediamo al Signore la forza di saperlo amare veramente, rinunciando al peccato e cercando, con il suo aiuto, di fare la sua volontà. Solo così potremo avere pace e gioia. Solo così si apriranno per noi le porte del Paradiso.

Il combattimento contro il diavolo

Il combattimento contro il diavolo

Il primo miracolo di Gesù nel Vangelo di Luca è un esorcismo

«Io so chi tu sei: il santo di Dio!» (Dalla liturgia).

E’ il primo miracolo che viene riportato dal Vangelo di Luca. È un esorcismo.

Gesù mostra, con questo miracolo, il suo programma: liberare l’uomo dal maligno, dal peccato, dalla morte eterna. Il diavolo parla al plurale («sei venuto a rovinarci»). Ha capito che l’azione di Gesù porterà alla sconfitta del male.

Ma anche se la vittoria di Gesù è sicura, il combattimento è inevitabile: il diavolo prima di uscire da quell’uomo lo getta a terra in mezzo alla gente. Ma alla fine se ne è dovuto andare senza fargli alcun male.

Dio permette la sofferenza durante la nostra vita terrena, ma ci assicura che, se ci affidiamo a Lui, il male non potrà avere la meglio su di noi e non potrà privarci della gioia eterna del Paradiso.