Amare è conoscere

Amare è conoscere

Conoscere Dio è seguire la Sua parola, e significa amarlo

«Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo. Io ti ho glorificato sulla terra, compiendo l’opera che mi hai dato da fare. E ora, Padre, glorificami davanti a te con quella gloria che io avevo presso di te prima che il mondo fosse».
(Dalla liturgia)

La vita eterna consiste dunque nel conoscere Dio? E’ solo un’operazione dell’intelletto? No. Nel linguaggio della Bibbia la conoscenza e l’amore sono legati a doppio filo: si può amare solo ciò che si conosce, e si conosce veramente solo ciò che si ama.

La conoscenza e l’amore sono due facce della stessa medaglia, tanto che per definire l’unione coniugale, che è l’unione più stretta che ci può essere tra due esseri umani, si usa la parola «conoscere».

Il nostro sforzo, in questa vita terrena, deve dunque essere duplice: conoscere Dio, attraverso la sua parola, il catechismo, e tutto ciò che ci fortifica in una sana conoscenza delle cose del Signore, e amare Dio. Come? Facendo la sua volontà: «Chi mi ama osserva i miei comandamenti». Così potremo avere, già in questa vita, un assaggio della pace e della gioia di Dio, e potremo un giorno essere accolti nella beatitudine eterna.

Credere è indispensabile, ma non basta

Credere è indispensabile, ma non basta

Cristo è venuto nel mondo affinché crediamo e mettiamo in pratica la sua Parola

«E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate». (Dalla liturgia).

Dio ha mandato il suo Figlio unigenito nel mondo, perché il mondo sia salvato per mezzo di Lui. Per salvarci occorre credere in Lui.

Credere, lo sappiamo, non significa solo ritenere che alcune cose (ciò che diciamo nel Credo) siano vere. Questo sì, certamente è necessario. Ma non basta. Dobbiamo cercare di compiere ciò che il Signore ci comanda.

Conoscenza e azione sono legate tra loro. Dio ci manda la luce per farci capire ciò che è bene, per farci capire che Dio ci ama e ci è vicino, ma chi opera il male questa luce non la vuole, proprio perché mostra la malvagità della propria vita.

Non possiamo illuderci di credere in Dio e vivere nel male, lontani dalla sua grazia, in una condizione abituale di peccato mortale. In questo modo rifiutiamo la luce di Dio. E la rifiutiamo proprio perché mette in mostra la malvagità del nostro agire. Chiediamo al Signore di aiutarci a vivere come piace a Lui.

Dio non ha mandato il suo Figlio per condannarci ma per salvarci. Chiediamogli di aiutarci ad accogliere la sua luce nella nostra vita.

La logica del Regno

La logica del Regno

Le sue vie non sono le nostre vie

«In verità, in verità io ti dico, se uno non nasce da acqua e Spirito, non può entrare nel regno di Dio. Quello che è nato dalla carne è carne, e quello che è nato dallo Spirito è spirito. Non meravigliarti se ti ho detto: dovete nascere dall’alto. Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai da dove viene né dove va: così è chiunque è nato dallo Spirito».
(Dalla liturgia).

«In verità, in verità io ti dico, se uno non nasce dall’alto, non può vedere il regno di Dio». L’affermazione di Gesù è espressa in modo molto solenne: «In verità, in verità io ti dico», è l’espressione che nei Vangeli è riservata alle grandi rivelazioni. E qual è questa rivelazione? Che per entrare nel regno di Dio occorre accogliere il modo di pensare (e quindi di agire) di Dio. C’è sicuramente un preciso riferimento al Battesimo («se uno non nasce da acqua e Spirito, non può entrare nel regno di Dio»), ma il nascere dall’alto significa anche accogliere il modo di pensare di Dio. Il primo dei doni che lo Spirito Santo ci offre è quello della sapienza, che è il dono che ci permette di vedere la realtà con gli occhi di Dio. Per questo ci viene detto: «quello che è nato dalla carne è carne, e quello che è nato dallo Spirito è spirito», perché il ragionare e il vivere in base alle sole categorie di questo mondo non ci permette di entrare nel regno di Dio. Questo non è solamente riferito alla vita eterna, ma riguarda anche la vita di quaggiù: se non riusciamo a ragionare secondo la logica di Dio, e ci ostiniamo a pensare e a vivere secondo la logica del mondo, non riusciremo ad avere luce nella nostra vita, non riusciremo a capire il senso di ciò che ci accade, non riusciremo a vivere in pienezza la nostra esistenza, ma ci limiteremo a sopravvivere, passando la vita a rincorrere ciò che non può darci né la pace né la gioia.

La Fede non si vive solo con l’intelletto, ma col cuore

La Fede non si vive solo con l'intelletto, ma col cuore

Anche noi possiamo rivivere l’esperienza dei discepoli di Emmaus

«Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto». Egli entrò per rimanere con loro. Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero.
(Dalla liturgia).

Facciamoci caso: i due discepoli di Emmaus, Cleopa e il suo compagno, conoscevano già tutto quando, amareggiati e rancorosi, si allontanavano da Gerusalemme per andare chissà dove.

L’incontro con il viandante (che poi si è rivelato essere Gesù) non ha dato loro qualche notizia nuova. Conoscevano già la testimonianza delle donne, la tomba vuota, persino la visione degli angeli che affermano che Gesù è vivo. Sapevano già tutto. Ma questa conoscenza è stata inutile finché non hanno fatto una vera esperienza del Signore risorto.

Allora tutto è cambiato. Gesù li ha prima istruiti sulle sacre scritture, facendo loro capire come ogni passo della Bibbia è indirizzato lì, alla morte e resurrezione del Figlio di Dio, e poi ha spezzato il pane. In sostanza ha celebrato la Messa nei suoi due momenti: la liturgia della parola e quella eucaristica.

Avendo fatto una vera esperienza del Signore il cuore deluso ha ricominciato ad ardere nel petto, le loro menti si sono illuminate e i loro occhi si sono aperti, facendo loro comprendere quella realtà che era già chiara davanti a loro, ma che essi, prima di fare questa esperienza, non erano in grado di riconoscere.

Anche noi possiamo fare questa esperienza. Noi difficilmente incontreremo Gesù che cammina per strada, ma questo non è necessario. Anche noi possiamo fare un’esperienza viva e vitale del Signore innanzitutto partecipando bene alla Messa.

Se pensiamo di vivere la fede in modo soltanto intellettuale, limitandoci a ragionare su di essa, non arriveremo a nulla, ci porterà solo alla delusione e all’amarezza, come è successo ai due discepoli prima di incontrare Gesù. Ma se faremo una vera esperienza di Lui, amando Dio e i fratelli, con una vita ricca di preghiera, con una vita morale ordinata, ricevendo bene e con frequenza i sacramenti, allora anche il nostro cuore arderà nel petto e i nostri occhi si apriranno, permettendoci di comprendere il senso della nostra vita e di essere, pur nei dolori e nelle difficoltà della vita, nella pace e nella gioia di Dio.

Avere fiducia in Dio

Avere fiducia in Dio

Credere significa ascoltare e mettere in pratica

«Disse allora Gesù: “Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora conoscerete che Io Sono e che non faccio nulla da me stesso, ma parlo come il Padre mi ha insegnato”» (dalla liturgia).

«Morirete nel vostro peccato», «morirete nei vostri peccati». Per due volte Gesù ripete questa frase, che ha un qualcosa di definitivo. Come se per quei giudei non vi fosse più possibilità di redenzione.

La prima volta parla di peccato al singolare, la seconda volta al plurale. Certamente le forme di peccato sono molteplici, di diversa natura e gravità, ma tutte hanno in comune la radice: non credere nell’Io Sono del Signore Gesù, cioè non credere che Egli è Dio, e la sua parola, se ascoltata e messa in pratica, può darci la salvezza, può darci cioè la pace e la gioia nelle difficoltà di questa vita, può illuminare il senso di questa nostra esistenza terrena, e può aprirci le porte della vita eterna.

Nelle parole del Battista il legame tra Natale e Pasqua

Nelle parole del Battista il legame tra Natale e Pasqua

Ogni volta che nominiamo Gesù come Agnello di Dio, ne indichiamo nascita, morte e resurrezione.

«Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo! Egli è colui del quale ho detto: “Dopo di me viene un uomo che è avanti a me, perché era prima di me”».
(Dalla liturgia).

L’espressione usata dal Battista, «agnello di Dio», è un espressione molto famosa. Ma qual è il suo vero significato?

L’agnello era la vittima sacrificale, l’animale usato per i sacrifici di espiazione. È l’innocente che paga per i peccati di altri. Le parole del Battista ci portano sul Calvario: Gesù è l’Innocente che, senza peccati, paga per le colpe di noi tutti.

Siamo nel tempo di Natale, e questa immagine ci riporta al Venerdì Santo.

Che senso ha tutto questo? In realtà il Natale rimanda alla Pasqua, le fasce in cui Maria ha avvolto Gesù richiamano il gesto con cui il corpo morto di Gesù deposto dalla croce è stato avvolto nella Sindone, Maria che depone il Figlio nella mangiatoia richiama la deposizione nella tomba. Nella Pasqua trova compimento ciò che nel Natale si è cominciato.

Vivere senza ricordare Dio

Vivere senza ricordare Dio

Gesù cita i tempi di Noè per indicarci ciò che non dobbiamo fare

«Risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina. Alleluia». (Dalla liturgia)

«Come avvenne nei giorni di Noè». E cosa avveniva di tanto particolare nei giorni di Noè?

Leggiamo: «mangiavano,bevevano, prendevano moglie, prendevano marito». Cosa c’è di male a mangiare, a bere, a prendere moglie o a prendere marito? Niente, non c’è proprio niente di male. Il male è fare tutte queste cose – che in sé sono cose belle, buone, necessarie – dimenticandosi di Dio, vivere la nostra vita normale come se Dio non esistesse, come se non gli dovessimo rendere conto di tutto quello che facciamo.

Tutto quello che facciamo, anche le cose più piccole e normali della nostra vita, devono essere fatte nella luce di Dio. Dimenticarsi di Dio, vivere come se Dio non esistesse porta alla rovina: per questo Gesù ricorda due punizioni divine esemplari: il diluvio universale e la distruzione di Sodoma.

Vivere la nostra vita quotidiana, fatta di lavoro, di affetti, di svago, viverla come piace a Dio, seguendo la sua legge, vivendo nella sua grazia. Questo significa vigilare e prepararsi all’incontro definitivo con Lui.

Fede, amore e perdono

Fede, amore e perdono

Gesù ci insegna quanto siano legati questi tre aspetti

«Se il tuo fratello commetterà una colpa, rimproveralo; ma se si pentirà, perdonagli. E se commetterà una colpa sette volte al giorno contro di te e sette volte ritornerà a te dicendo: “Sono pentito”, tu gli perdonerai». (Dalla liturgia).

«Accresci in noi la fede!». È la domanda dei discepoli.

La fede non è solo l’adesione intellettuale ad una serie di verità, innanzitutto è la fiducia che nutriamo verso Dio. E se ci fidiamo di Dio, non possiamo che credere che siano vere le cose che ci dice, che ci dice nella sacra scrittura e nella tradizione apostolica, così come interpretate dal magistero autentico della Chiesa.

E la fede non può limitarsi ad un pensiero, né tantomeno ad un’emozione, ma deve tradursi in agire concreto, per essere autentica e viva deve diventare modo abituale di pensare e di agire («la fede senza le opere è morta», ci dice la lettera di San Giacomo).

La fede e l’amore sono strettamente collegate: non si può credere in Dio senza amarlo (e quindi osservando i suoi comandi, «chi mi ama osserva i miei comandamenti», ci dice il Vangelo di Giovanni), né si può amarlo veramente se si rifiuta ciò che ci ha insegnato.

Il significato della chiamata

Il significato della chiamata

Il Signore non chiama a caso, ma con spirito d’amore

«In quei giorni, Gesù se ne andò sul monte a pregare e passò tutta la notte pregando Dio. Quando fu giorno, chiamò a sé i suoi discepoli e ne scelse dodici, ai quali diede anche il nome di apostoli». (Dalla liturgia)

«Ne scelse dodici, ai quali diede anche il nome di apostoli». La parola apostolo, nella lingua greca dalla quale questo termine deriva, significa inviato. Gli apostoli vengono identificati, anche nel nome, con la loro missione.

La missione per il Signore riguarda tutta la vita, non è un incarico part-time. Al Signore interessiamo noi, non tanto fare delle cose (che potrebbe benissimo fare Lui, e molto meglio di noi!).

La chiamata del Signore è anzitutto un segno di stima, di fiducia, immeritata. E c’è un rapporto particolare, unico, con ogni discepolo. Infatti non si dice che Gesù abbia creato un gruppo di soggetti con questa o quella caratteristica, ma chiama delle persone precise, individuate con un nome.

Al Signore, prima di quello che riusciamo a fare per Lui, interessiamo noi. A Lui interessa che noi, anzitutto, rimaniamo nella sua amicizia, nel suo amore.

L’attività apostolica è una conseguenza di questo rapporto. È dal rapporto d’amore con il Signore che nasce ogni attività ecclesiale, ogni attività di apostolato. Senza un vero rapporto con il Signore il darsi da fare per la Chiesa è solo aria fritta.

La religiosità “apparente”

La religiosità "apparente"

L’ostacolo ad un sincero rapporto con Dio, qualche volta viene da noi stessi

«Ipocriti, non è forse vero che, di sabato, ciascuno di voi slega il suo bue o l’asino dalla mangiatoia, per condurlo ad abbeverarsi? E questa figlia di Abramo, che Satana ha tenuto prigioniera per ben diciotto anni, non doveva essere liberata da questo legame nel giorno di sabato?».
(Dalla liturgia).

La donna ricurva è come legata, imprigionata da una forza a lei estranea che le impedisce di vivere bene, di vivere liberamente. Simboleggia bene l’uomo prigioniero delle astuzie del demonio.

Infatti Gesù nel guarirla usa la frase: «sei liberata dalla tua malattia». Subito i presenti si lamentano, perché così facendo Gesù ha violato la legge del sabato, che impedisce agli Ebrei di svolgere in quel giorno qualsiasi attività.

Ma Gesù ha buon gioco a rispondere e a mostrare la loro ipocrisia. Il riposo del sabato ricorda agli Ebrei la liberazione dalla schiavitù del Faraone, e ora si lamentano perché questa donna proprio di sabato è stata liberata dalla schiavitù del demonio che da tanti anni la teneva legata.

Gesù ci mostra come una religiosità apparente, che si sofferma sui dettagli e non sa andare al centro dell’insegnamento del Signore, cioè l’amore per Dio e l’amore per il prossimo, sia un ostacolo anziché un aiuto al nostro rapporto con Dio.