Per accogliere Gesù occorre la «circoncisione del cuore»

Per accogliere Gesù occorre la «circoncisione del cuore»

Nessun miracolo può portarci a credere se non purifichiamo il cuore

«Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme dicendo: “Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo”» (Dalla liturgia).

Natanaele (chiamato anche Bartolomeo) era una persona onesta. La sua naturale sincerità, la sua rettitudine di vita lo rendeva naturalmente aperto alla rivelazione del Signore. È bastato poco («ti ho visto quando eri sotto l’albero di fichi», gli aveva detto il Signore) per riconoscere in Gesù il Figlio di Dio e il Re di Israele.

Se pensiamo che i capi dei Giudei hanno deciso definitivamente di uccidere Gesù dopo un miracolo clamoroso, avvenuto pubblicamente, dopo cioè che Egli aveva fatto risorgere Lazzaro già da quattro giorni cadavere, questo ci fa capire che nessun segno del Cielo può illuminare la nostra mente né riscaldare il nostro cuore se non abbiamo un animo ben disposto ad accoglierlo.

La libertà dei figli adottivi di Dio

La libertà dei figli adottivi di Dio

L’amore di Dio va oltre ogni confine, come la libertà che ci ha donato.

«Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero» (Dalla liturgia).

«Imparate da me, che sono mite e umile di cuore». Il Signore non impone il suo insegnamento in modo autoritario.

Le parole di Cristo sono spirito e vita, si impongono da sé, perché sono parole di verità.

Gesù insegna, non dà consigli. Ci invita sì ad imparare da Lui, ma non lo fa con durezza del comando che obbliga, bensì con la dolcezza della persuasione che convince.

Accogliere l’insegnamento di Gesù non significa piegarsi ad un’autorità che vuole imporci la sua legge, ma ricevere una parola di verità che, se accolta ed obbedita, rende la vita migliore.

Non conta la linea di sangue, ma la Fede

Non conta la linea di sangue, ma la Fede

La salvezza è per tutti

«Signore, il mio servo è in casa, a letto, paralizzato e soffre terribilmente». Gli disse: «Verrò e lo guarirò».
Ma il centurione rispose: «Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, ma di’ soltanto una parola e il mio servo sarà guarito
» (Dalla liturgia).

Il miracolo di Gesù beneficia il servo del centurione. Il centurione è un romano, un pagano, probabilmente simpatizza per la religione del Dio di Israele, ma è comunque un estraneo al popolo eletto. Eppure Gesù lo beneficia, gli fa avere quello che vuole.

Con Gesù cade la barriera tra il popolo eletto di Dio e gli altri: la salvezza è per tutti. Ciò che fa la differenza non è la stirpe, neanche il culto: è la fede.

Il discorso del centurione è un discorso fatto da uno che ha fede: come io comando ai miei subalterni, e ottengo ciò che comando perché ho il potere di farlo, così Tu puoi fare tutto quello che vuoi, perché hai il potere di farlo.

Il centurione esprime una fede solida, piena, nella divinità di Gesù, anche se probabilmente non l’ha ancora compreso del tutto. Ma sa che Gesù può, e si fida di Lui. E quando la potenza di Dio incontra la fede dell’uomo – ci dicono i padri della Chiesa – i risultati non tardano a mostrarsi.

Gesù richiama la fermezza

Gesù richiama la fermezza

La misericordia non esclude la giustizia e la coerenza

«Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso!» (Dalla liturgia).

Oggi, molto spesso, siamo tentati di proporre un cristianesimo riveduto, addolcito, politicamente corretto, che non è nemmeno una brutta copia di quello vero.

Una caratteristica di questo pseudo-cristianesimo, di questa religione così diversa da quella del Vangelo, è immaginare che il cristiano – sul piano dei principi – possa e debba andare d’accordo con tutti. Anche con coloro che esplicitamente rifiutano il messaggio di Gesù e hanno una concezione della vita assolutamente diversa.

L’importante, si sente talvolta dire, è evitare le polemiche, le discussioni, i disaccordi, le lotte. L’importante è non passare per intolleranti, per fanatici, per retrogradi. L’importante, si dice, è cercare ciò che ci unisce, non sottolineare ciò che ci divide. L’importante è la pace, a qualunque costo, anche a costo di rinunciare alle nostre convinzioni o di nasconderle.

Gesù, dal Vangelo di oggi, sembra pensarla in maniera diversa. Ci dice infatti: «pensate che io sia venuto a portare la pace sulla terra? No vi dico. Sono venuto a portare la divisione». Il destino della verità è questo: da qualcuno è abbracciata e difesa, da qualcun altro è respinta e combattuta.

Il cristiano che in tutte le questioni che contano, in tutti i problemi etici e sociali, la pensa come con chi cristiano non è, che si trova molto spesso d’accordo anche con chi combatte la nostra religione, deve chiedersi seriamente se sia davvero un discepolo del Signore.

Se il denaro è il centro di interesse si perde di vista l’essenziale

Se il denaro è il centro di interesse si perde di vista l'essenziale

L’obiettivo è il Regno di Dio

Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà? Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio (Dalla liturgia).


Il brano del Vangelo di oggi ci parla di una vicenda di una lite per un’eredità. È una cosa purtroppo molto comune, spesso gli eredi litigano per le questioni legate alla successione di un defunto. Per questo la legge di Mosè, al pari delle moderne legislazioni, regolamentava nel dettaglio le questioni ereditarie, ed era normale che le persone si rivolgessero agli esperti della legge, ai rabbì, per avere luce su questi affari.

Dunque un uomo si avvicina a Gesù e gli dice che il fratello non vuole dividere con lui l’eredità. E Gesù gli risponde: «Cosa vuoi da me? Non mi interessa». Come? A Gesù non interessa la giustizia? Non gli interessa aiutare una persona che ha subito un sopruso? Non gli sta a cuore la sorte di chi è stato derubato dall’egoismo degli altri? No, certo che no. Ma senz’altro a Gesù sta più a cuore che non si facciano confusioni, gli sta a cuore che si capisca che il suo messaggio è innanzitutto l’annuncio del Regno di Dio, e non la sistemazione delle cose di questo mondo.

La potenza del Santo Rosario

La potenza del Santo Rosario

Una preghiera che porta vantaggi immensi

Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l’angelo si allontanò da lei.
(Dalla liturgia).

Celebriamo oggi la festa della Madonna del Rosario. La liturgia della Chiesa ci fa meditare la pagina dell’Annunciazione dell’Angelo a Maria Vergine. Questo episodio (che è poi il primo dei misteri del Rosario) segna l’inizio della nostra redenzione.

Il Rosario è questo: contemplare, con gli occhi della Vergine Maria, i misteri della redenzione. La continua ripetizione della preghiera aiuta ad entrare nel mistero che si contempla.

L’Ave Maria si compone di tre parti: una prima parte riprende proprio le parole dell’Angelo alla Vergine, che abbiamo appena ascoltato, la seconda parte si compone delle parole che S. Elisabetta ha rivolto a Maria nell’episodio della Visitazione, e l’ultima parte inizia ricordando il primo dei dogmi mariani, quando invochiamo Maria come «Madre di Dio», e termina chiedendole di pregare per noi, nella nostra triste condizione di peccatori, adesso e in quel momento fondamentale per la vita di ciascuno che è quello della morte.

Tutti i misteri cominciano con la preghiera del Signore, il Padre Nostro, e terminano con l’invocazione alla Trinità eterna nel Gloria.

Il Rosario è sì una preghiera rivolta a Maria, ma è anzitutto una preghiera rivolta a Cristo, contemplando gli eventi della sua vita, morte e resurrezione. L’importanza e l’efficacia straordinaria di questa preghiera sono state ricordate da molti santi, che anche dalla preghiera del Rosario hanno tratto la forza di camminare con decisione sulla via indicata dal Signore, e dalla stessa Vergine Maria, a Fatima.

È una preghiera pensata per le persone normalmente impegnate nel lavoro e nella famiglia, una preghiera che si può recitare a pezzi, oppure anche mentre si svolge qualche altra attività. Se abbiamo la buona abitudine di recitare il Santo Rosario nella giornata, manteniamola. Se invece non l’abbiamo cominciamo a farlo, magari con una decina. Non è un impegno tanto gravoso, e i suoi vantaggi possono essere immensi.

L’uomo deve scegliere dentro di sé ciò che è buono

L'uomo deve scegliere dentro di sé ciò che è buono

Un insegnamento antropologico che indica la via di salvezza

«L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male: la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda». (Dalla liturgia)

Nel paragone dei due alberi, l’albero buono che porta frutti buoni e l’albero cattivo che da frutti cattivi, sembra che Gesù stia parlando delle opere: l’albero si giudica dai frutti, quindi, se volete essere credibili come discepoli, cercate di essere coerenti nelle vostre azioni. Sarete giudicati non dal messaggio che date, ma dalla coerenza della vostra vita.

In realtà non è proprio così. Le parole di Gesù ci dicono che le nostre azioni dipendono dal nostro cuore, come i frutti dipendono dalla sostanza dell’albero. È il cuore che determina la bontà del nostro agire. È dall’interno che arrivano le azioni buone e quelle cattive. Ciò che è necessario, per essere buoni, è purificare la sorgente, il nostro cuore. Il cuore, nel linguaggio della Bibbia, non è solo il centro delle emozioni, dei sentimenti, ma è il centro di tutto l’essere umano: la sua intelligenza, la sua volontà.

Gesù ci invita, prima ancora che a seguire ciò che il cuore ci invita a fare, a purificarlo. «Vai dove ti porta il cuore» è un modo di dire che ben conosciamo. Ma se il cuore ci suggerisce qualcosa di sbagliato, seguendolo rischiamo di fare sciocchezze, anche grosse. Per cui è necessario che il cuore, cioè l’intelligenza, la volontà, tutto il nostro essere, sia in grado di comprendere e volere ciò che è giusto. Per fare questo è necessario che il cuore sia purificato continuamente.

Facciamo un semplice esempio: se in un mulino noi mettiamo del buon grano, la farina che otteniamo sarà buona. Se mettiamo del grano scadente la farina sarà cattiva. Se i discorsi che ascoltiamo e facciamo, se le nostre letture, ciò che guardiamo alla televisione e sul computer sono cose buone, il nostro cuore sarà puro e in grado di suggerirci le cose migliori. Se abitualmente invece ci perdiamo in discorsi inutili o grossolani, se ciò che leggiamo o ascoltiamo non sono cose buone, il nostro cuore non sarà in grado di indirizzarci verso il bene, ma ci porterà a fare del male, a noi e agli altri.

Il Signore ci vuole felici, per questo ci da questi suggerimenti: perché noi possiamo essere in grado di riconoscere ciò che è bene e ciò che è male, non basandoci su quello che pensa il mondo, ma basandoci solo sull’insegnamento del Signore, perché solo in esso troviamo ciò che ci serve per avere pace e gioia.

Nel nome di Maria troviamo la necessità del dogma dell’Immacolata

Nel nome di Maria troviamo la necessità del dogma dell'Immacolata

Per gli ebrei nel nome stanno le caratteristiche personali

«In quei giorni, Gesù se ne andò sul monte a pregare e passò tutta la notte pregando Dio. Quando fu giorno, chiamò a sé i suoi discepoli e ne scelse dodici, ai quali diede anche il nome di apostoli».
(Dalla liturgia).

La festa del santo nome di Maria fu concessa da Roma, nel 1513, ad una diocesi della Spagna, Cuenca. Fu soppressa dal papa san Pio V, ripristinata da papa Sisto V e poi estesa nel 1671 al Regno di Napoli e a Milano.

Il 12 settembre 1683, avendo Giovanni III Sobieski con i suoi Polacchi sconfitto i Turchi che assediavano Vienna e minacciavano la Cristianità, il beato papa Innocenzo XI, come ringraziamento, estese la festa a tutta la Chiesa, e fissò la data nella domenica compresa nell’Ottava della Natività di Maria. Il santo papa Pio X riportò la data al 12 settembre.
È una festa particolarmente legata alla Natività di Maria, che si festeggia il giorno 8 settembre.

Cosa significa celebrare il Nome di Maria? Il nome, nella Bibbia, indica le caratteristiche proprie della persona. Maria nella lingua ebraica ha diversi significati. Ma il vero nome di Maria lo ha pronunciato l’arcangelo Gabriele quando le ha portato l’annuncio: «piena di grazia». È questo l’appellativo con cui l’Arcangelo si è rivolto a Maria, e le ha causato l’iniziale turbamento.

Piena di grazia: significa piena dell’amore di Dio. Il verbo greco (la lingua in cui sono scritti i Vangeli) indica una pienezza completa, straboccante, in cui non può proprio entrare nient’altro. E in Maria non è entrato nulla che ha potuto inquinare o anche solo annacquare la Grazia di Dio. In Maria non è mai entrato il peccato, né quello originale né quelli personali. Per questo è piena dell’amore di Dio.

Essendo piena dell’amore di Dio è la creatura umana meglio riuscita: vivere nell’amore di Dio non mortifica la nostra umanità, ma la esalta, la porta a perfezione. Vivere lontano dal peccato non significa condurre un’esistenza un po’ triste, mortificata, ma vivere bene, pienamente, la nostra vita.

Celebrare il nome di Maria significa celebrare Maria, e celebrare Maria significa ricordare che è attraverso di Lei che Dio si è fatto uomo ed è venuto a salvarci, e che è attraverso di Lei che Dio vuole che andiamo a Lui.
Non stanchiamoci di chiedere l’aiuto di Maria, nelle difficoltà materiali ma soprattutto in quelle spirituali. Ricorriamo a Lei e chiediamole di aiutarci a vivere in grazia di Dio, di aiutarci a fare la sua volontà. Perché solo nella sua volontà è la nostra pace.

Gesù si rivela nella carne e nello Spirito

Gesù si rivela nella carne e nello Spirito

Distinguere ciò che è umano da ciò che è eterno

Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui. Allora cominciò a dire loro: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato» (dalla liturgia).

Gesù dice chiaramente ai suoi concittadini che il brano del profeta Isaia che stava leggendo è riferito proprio a Lui. Che è Lui che porterà a compimento le promesse di Dio.

Per dare un senso a queste parole dobbiamo però considerare quale sia stato lo scopo principale della sua incarnazione: Gesù non si è fatto uomo per risolvere i problemi pratici del vivere, per cancellare il male e l’ingiustizia dalla terra. Se così fosse non potremmo che concludere, a duemila anni di distanza, che ha miseramente fallito.

Lo scopo della venuta del Signore è quello di liberarci dalla schiavitù del peccato, e dalla dannazione eterna che del peccato è la conseguenza, e riconquistarci l’amicizia con Dio, e quindi con i fratelli. Se leggiamo il brano in quest’ottica, le parole di Gesù diventano comprensibili, e vere. I veri poveri siamo noi: quando decidiamo di vivere nel peccato.

Il peccato ci rende poveri, ci priva della cosa più importante della vita: la grazia di Dio, cioè la vita interiore che Dio continuamente ci trasmette, e la promessa della vita eterna. Il peccato poi ci rende prigionieri, prigionieri di noi stessi, nel senso che ci ingabbia e ci rende difficile fare a meno di esso. Ci rende oppressi, perché ci toglie la gioia di vivere, e spesso ci priva di un atteggiamento di vera carità verso i nostri fratelli. Ci rende ciechi, non fisicamente, ma nel senso che chi vive nel peccato in maniera abituale perde di vista il senso della vita, non capisce più cosa sia al mondo a fare, vive nella confusione, in un tourbillon di cose inutili, perdendo di vista ciò che per cui vale davvero la pena di vivere.

Proclamare l’anno di grazia. Cos’è questo anno di grazia? È il tempo che stiamo vivendo, dopo che Gesù, con il suo sacrificio, ci ha riconciliati con il Padre e ci ha permesso di uscire dalla schiavitù del demonio, ci ha strappato dalla dannazione riaprendoci la strada per la vita eterna.

In questo tempo di grazia e di misericordia noi siamo chiamati a vivere, amando Dio e il prossimo, osservando i comandamenti del Signore, abbeverandoci a quella fonte di grazia che sono i sacramenti (in particolare la Confessione e l’Eucaristia), cercando con il suo aiuto di non perdere l’appuntamento più importante della nostra vita: la felicità piena ed eterna del paradiso.

L’ipocrisia impedisce di far emergere la sostanza

L'ipocrisia impedisce di far emergere la sostanza

L’accusa ai farisei è straordinariamente attuale

«Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che chiudete il regno dei cieli davanti alla gente; di fatto non entrate voi, e non lasciate entrare nemmeno quelli che vogliono entrare». (Dalla liturgia).

La ragione principale di queste pesanti critiche di Gesù ai farisei è l’ipocrisia. Nel mondo antico ipocrita era la parola che definiva gli attori, che nel teatro recitavano con il volto coperto da pesanti maschere di cartapesta. L’ipocrita in sostanza è uno che finge.

Farisei e dottori della legge fingevano, attraverso abili stratagemmi, di osservare fedelmente la legge di Dio. In realtà ne osservavano con scrupolo i minimi dettagli riuscendo abilmente a trasgredire i precetti fondamentali: la giustizia e la carità. Una religiosità simile non avvicina a Dio, non cambia il cuore.

Anche noi cristiani spesso ci comportiamo così: siamo attenti alle forme ma trascuriamo del tutto la sostanza.

Un simile modo di accostarsi alle cose di Dio offende gravemente il Signore, perché alla fin fine si concretizza in una presa in giro nei suoi confronti.

Chiediamo a Dio di darci un cuore semplice, pulito, che sappia amarlo e obbedirlo in modo puro e onesto, così da permettergli di riversare nella nostra vita i suoi doni di amore e di misericordia.