Accogliere il regno di Dio come lo accoglie un bambino

Accogliere il regno di Dio come lo accoglie un bambino

L’immagine che Gesù evoca è quella della fiducia che nutre verso i genitori

Gesù, al vedere questo, s’indignò e disse loro: «Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite: a chi è come loro infatti appartiene il regno di Dio. In verità io vi dico: chi non accoglie il regno di Dio come lo accoglie un bambino, non entrerà in esso».
(Dalla liturgia).

«Chi non accoglie il regno di Dio come lo accoglie un bambino, non entrerà in esso». Cosa hanno di così speciale i bambini? Non la generosità: sappiamo che i bambini non gradiscono condividere le loro cose con gli altri. Non la bontà: spesso i bambini sanno anche essere cattivi con chi è in difficoltà. Non la purezza: non c’è alcun merito ad essere puri quando non si ha ancora avuto lo sviluppo sessuale.

Quello che di particolare ha il bambino è che si fida dell’adulto. È questo che il Signore vuole da noi: che ci fidiamo di Lui. Non ciecamente, non stupidamente, ma ragionevolmente. Vuole che ci fidiamo di Dio con la fiducia che un bimbo ha verso suo papà.

L’affidamento a Maria e di Maria

L'affidamento a Maria e di Maria

Le ultime parole di Gesù hanno un senso ecclesiologico

Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco tuo figlio!». Poi disse al discepolo: «Ecco tua madre!». E da quell’ora il discepolo l’accolse con sé.
Dopo questo, Gesù, sapendo che ormai tutto era compiuto, affinché si compisse la Scrittura, disse: «Ho sete». Vi era lì un vaso pieno di aceto; posero perciò una spugna, imbevuta di aceto, in cima a una canna e gliela accostarono alla bocca. Dopo aver preso l’aceto, Gesù disse: «È compiuto!». E, chinato il capo, consegnò lo spirito.

(Dalla liturgia).

Gesù in croce, prima di morire, affida il discepolo, affida ciascuno di noi, affida la Chiesa a sua madre. «Ecco tua madre».

Dopo la morte, un soldato, con un colpo di lancia, spezza il cuore di Gesù, e vi fuoriescono acqua e sangue, che i Padri hanno sempre visto come simbolo del Battesimo e dell’Eucaristia, più in generale dei sacramenti.

Gesù, quando stava per spirare e non poteva dilungarsi in dettagli, ci affida a sua madre, e affida sua madre a noi. La devozione, l’amore per Maria non è qualcosa di opzionale, di facoltativo: ci è stato comandato da Gesù nel suo ultimo fiato di vita terrena.

Noi siamo stati affidati a Maria: Ella ci introduce alla vita della Chiesa, ci accompagna ai sacramenti, ci aiuta nel ricevere la Grazia di Dio.

Maria è la strada per andare verso Gesù, unico salvatore del mondo. È attraverso di lei che Dio è venuto a noi, quando il Figlio di Dio si è fatto uomo, ed è attraverso di lei che vuole che noi andiamo verso Dio.

Maria, madre del Capo, Cristo, non può che essere anche madre del corpo, la Chiesa. Non abbiamo paura ad invocarla nei momenti di difficoltà, nei momenti in cui la nostra fede sembra venire meno. Una madre non abbandona i suoi figli.

Essere amici di Dio vuol dire essere realmente noi stessi

Essere amici di Dio vuol dire essere realmente noi stessi

Il significato della proposta d’amore di Gesù

«Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici».
(Dalla liturgia).

Oggi la Chiesa festeggia San Mattia, l’apostolo che ha preso il posto di Giuda dopo il tradimento e il suicidio.

Del vangelo di oggi consideriamo questa frase: «voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando». Non è un concetto di amicizia molto simpatico: sei mio amico se fai quello che dico io!

Certamente il nostro rapporto con Dio non è un rapporto tra eguali. Ma Dio ci vuole bene davvero, e ci vuole bene come a persone intelligenti, non come a degli stupidi. Infatti dice che non ci chiama più servi, ma amici.

Il servo riceve l’ordine del padrone senza una spiegazione: «fai questo; non fare quello». Cristo invece ci chiama amici perché a noi ha detto tutto: ci ha fatto conoscere tutto ciò che di Dio è possibile conoscere su questa terra alla nostra natura umana.

Dio ci ha dato una legge per il nostro bene. I comandi del Signore infatti non sono un peso inutile, un ulteriore gravame in una vita spesso già pesante di suo. Se il Signore ci comanda qualcosa lo fa perché noi possiamo vivere meglio: nella vita eterna ma anche in questa vita.

La legge di Dio, anche quando ci chiede sacrifici o rinunce, è fatta su misura per noi, perché noi possiamo vivere pienamente la nostra vita. Per questo Gesù ci chiede di rispettare la sua legge, anzi, ci dice che entriamo nella sua amicizia solo quando la osserviamo. Ed essere amici con Dio, per noi che siamo stati creati a sua immagine e somiglianza, significa essere veramente noi stessi. E quando ci allontaniamo da Dio con il peccato noi ci allontaniamo anche da noi stessi. E ci allontaniamo dalla possibilità di essere davvero felici.

Gesù che torna al Padre ci indica che il nostro obiettivo non è qui

Gesù che torna al Padre ci indica che il nostro obiettivo non è qui

La gioia perfetta è un traguardo che raggiungeremo

«Sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo; ora lascio di nuovo il mondo e vado al Padre».
(Dalla liturgia).

«Chiedete e otterrete, perché la vostra gioia sia piena». Il Signore accoglie le nostre richieste se queste portano alla pienezza della gioia.

Spesso però non capiamo perché il Signore non ci concede quello che gli chiediamo, che tante volte sono cose obiettivamente giuste e gravi. È un mistero, qualcosa che non possiamo comprendere fino in fondo.

Dobbiamo però sempre ricordare che l’orizzonte di Dio non sono i giorni che trascorriamo su questa terra, ma la vita eterna. Ed è in questa prospettiva che dobbiamo ricordare che, come diceva il Manzoni, il Signore non permette mai che sia turbata la gioia dei suoi figli se non per darne loro una più certa e più grande.

Non lasciamoci scoraggiare dalle piccole o tante cose che non vanno. In questa nostra esistenza terrena è inevitabile.

Nei momenti più difficili ricordiamo sempre che l’amore del Signore non ci abbandona mai, e che siamo attesi a prendere parte alla felicità che non ha fine.

Un Cristianesimo «annacquato» è debole

Un Cristianesimo «annacquato» è debole

La nostra non è una fede faticosa, ma implica comunque degli sforzi

«Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo, ma vi ho scelti io dal mondo, per questo il mondo vi odia».
(Dalla liturgia).

«Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me». Il cristiano non deve cercare di rendersi antipatico a tutti i costi, non avrebbe senso. Deve però insospettirsi quando il mondo parla troppo bene di lui.

Spesso il mondo parla bene del cristianesimo quando questo viene annacquato, quando all’annuncio cristiano viene tolto qualche aspetto particolarmente spigoloso, oppure viene aggiunto qualcosa per renderlo accettabile al modo normale di ragionare.

Rendere la fede cristiana più gradita ad una data epoca, ad una certa temperie culturale può suscitare qualche iniziale entusiasmo, ma è cosa destinata a durare poco. Ben presto questo annuncio depotenziato mostrerà i suoi limiti, e verrà dimenticato, facendo la fine del sale senza sapore, che viene gettato via e calpestato dagli uomini.

Ed è forse quello che sta capitando ai nostri giorni.

Via, Verità e Vita: percorso e obiettivo

Via, Verità e Vita: percorso e obiettivo

Gesù, uomo e Dio, è l’unico mediatore

«Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me».
(Dalla liturgia).

«Io sono la via, la verità e la vita». Se dovessimo chiedere a più persone quale di queste tre affermazioni di Gesù sia la più importante, probabilmente quasi nessuno direbbe la via.

Si può pensare anzitutto alla vita, oppure alla verità. Ma nel contesto della frase l’affermazione più importante sembra proprio essere: «Io sono la via».

Perché questo? Perché solo attraverso Gesù possiamo giungere alla pace e alla gioia perfetta, piena ed eterna del paradiso («nessuno viene al Padre se non per mezzo di me»).

Ma non è tutto qui: è solo attraverso Gesù che noi possiamo vivere già su questa terra una vita piena di significato e comprendere il senso della nostra vita, e fare una esperienza, anche se parziale e limitata, della pace e della gioia che solo il Signore ci può dare.

Il pane della vita nutre anima e corpo

Il pane della vita nutre anima e corpo

Eucarestia e Parola: il nutrimento per la vita eterna

«In verità, in verità io vi dico: non è Mosè che vi ha dato il pane dal cielo, ma è il Padre mio che vi dà il pane dal cielo, quello vero. Infatti il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo».
(Dalla liturgia).

«Io sono il pane della vita». Cosa significa questa espressione di Gesù? Per capirlo basta porre mente a che cosa è il pane: un nutrimento, che da sostanza, che permette la vita, che da energia. Gesù ci nutre di Sé.

C’è un riferimento chiaro all’Eucaristia, ma non è solo questo. Gesù ci nutre, ci da sostanza ed energia. Con la sua parola, con il suo insegnamento, con il suo amore.

Ricambiando l’amore di Dio noi ci nutriamo di Lui, e riceviamo la sostanza per vivere. Ricambiare l’amore di Dio significa obbedire alla sua parola («chi mi ama osserva i miei comandamenti»).

Cercare di osservare i comandamenti di Dio è condizione necessaria per ricevere il nutrimento spirituale che il Signore vuole darci. E vuole darcelo perché noi possiamo vivere in pienezza, e non limitarci a sopravvivere.

Vita e fede si uniscono con la coerenza

Vita e fede si uniscono con la coerenza

«Non chi dice Signore, Signore …»

«E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie».
(Dalla liturgia)

Dio ha mandato il suo Figlio unigenito nel mondo, perché il mondo sia salvato per mezzo di Lui. Per salvarci occorre credere in Lui.

Credere, lo sappiamo, non significa solo ritenere che alcune cose (ciò che diciamo nel Credo) siano vere. Questo sì, certamente è necessario. Ma non basta. Dobbiamo cercare di compiere ciò che il Signore ci comanda.

Conoscenza e azione sono legate tra loro. Dio ci manda la luce per farci capire ciò che è bene, per farci capire che Dio ci ama e ci è vicino, ma chi opera il male questa luce non la vuole, proprio perché mostra la malvagità della propria vita.

Non possiamo illuderci di credere in Dio e vivere nel male, lontani dalla sua grazia, in una condizione abituale di peccato mortale. In questo modo finiamo per rifiutare la luce di Dio. E la rifiutiamo proprio perché mette in mostra la malvagità del nostro agire.

Chiediamo al Signore di aiutarci a vivere come piace a Lui. Dio non ha mandato il suo Figlio per condannarci ma per salvarci. Chiediamogli di aiutarci ad accogliere la sua luce nella nostra vita.

La «necessità» della Croce

La «necessità» della Croce

L’amore di Dio per ognuno di noi è eterno come Lui

Vi era lì un vaso pieno di aceto; posero perciò una spugna, imbevuta di aceto, in cima a una canna e gliela accostarono alla bocca. Dopo aver preso l’aceto, Gesù disse: «È compiuto!». E, chinato il capo, consegnò lo spirito.
(Dalla liturgia).

Dopo aver ascoltato la narrazione della passione e della morte di Gesù viene da chiederci: ma perché è stato necessario tutto questo? Perché il Figlio di Dio ha patito ed è morto sulla croce?

Sappiamo bene che è la natura umana di Gesù che ha sofferto ed è morta, quella natura umana creata ed assunta dalla persona divina del Figlio, generato e non creato della stessa sostanza del Padre. Dio non può né soffrire né morire. D’accordo. Questo è vero. Ma Gesù, nella sua natura umana, ha sofferto nel suo corpo, è stato oltraggiato, vilipeso nella sua dignità, ed è morto nel fiore degli anni, all’apice del successo, quando un uomo normale e sano non ha proprio voglia di morire!

Perché Gesù ha accettato una fine così tragica? Lo sappiamo: per riconciliarci con Dio, offeso dal peccato dei progenitori e da tutti i peccati degli uomini. Ma, ci viene da chiederci, era proprio necessario tutto questo? Che razza di Dio è un Dio che per placare la propria sete di giustizia pretende un sacrificio umano, la morte di una persona innocente, il sacrificio, peraltro, del proprio Figlio unigenito, generato e non creato della stessa sua sostanza, e che se non ha sofferto come Dio, come uomo ha patito eccome?

È stato necessario per due motivi: il primo è che ogni peccato è anzitutto un atto contro Dio, ed è pertanto necessario che per eliminarne le conseguenze intervenga Dio stesso. Riflettiamo su questo noi che con colpevole superficialità infrangiamo tanto spesso quella legge che il Signore, nella sua misericordia, si è degnato di darci!

Il secondo motivo è che nulla più della croce manifesta la giustizia, la misericordia e l’amore di Dio: anzitutto la giustizia, perché il peccato dei progenitori e tutti i peccati degli uomini sono stati espiati attraverso la morte dolorosa e infamante di un uomo; la misericordia, perché Dio ha caricato Se stesso della punizione che gli uomini si erano meritati; l’amore, perché non c’è amore più grande di chi dona la vita per i propri amici.

Anche nei momenti più difficili, penosi e dolorosi della vita guardiamo il crocifisso: è la dimostrazione più vera che Dio ci ama e che siamo davvero importanti per Lui.

Gesù si rivela ma non viene accolto

Gesù si rivela ma non viene accolto

«… e il verbo era presso Dio …»

Allora i Giudei gli dissero: «Non hai ancora cinquant’anni e hai visto Abramo?». Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: prima che Abramo fosse, Io Sono».
Allora raccolsero delle pietre per gettarle contro di lui; ma Gesù si nascose e uscì dal tempio
(Dalla liturgia).

“Chi credi di essere?” chiedono sprezzanti i Giudei a Gesù. La risposta di Gesù è netta: “prima che Abramo fosse, Io Sono”.

Le pietre cadute dalle mani degli accusatori della donna adultera, disarmati dalla parola di Gesù, ora sono scagliate contro Gesù…

I Giudei dimenticano che essere figli di Abramo non è “possesso” ma dono, toccati dall’iniziativa di Dio che trasforma la vita di un popolo in una promessa, un cammino e non un privilegio…

Gesù riaffermando il suo “io sono” ricorda che a partire da lui il cammino di Abramo riprende e giunge a pienezza: ora ci è aperta la strada per essere figli di Abramo, eredi della promessa.

Quando nella notte di Pasqua rinnoveremo le nostre promesse battesimali in realtà ci viene detto e ricordato che viviamo di una vita che è il compimento di tutte le promesse. È donata in noi una vita di pienezza, di comunione con il Padre.

L’”io sono” di Gesù risuona e si riflette in noi. Abramo ha raggiunto la terra della promessa!