La «necessità» della Croce

La «necessità» della Croce

L’amore di Dio per ognuno di noi è eterno come Lui

Vi era lì un vaso pieno di aceto; posero perciò una spugna, imbevuta di aceto, in cima a una canna e gliela accostarono alla bocca. Dopo aver preso l’aceto, Gesù disse: «È compiuto!». E, chinato il capo, consegnò lo spirito.
(Dalla liturgia).

Dopo aver ascoltato la narrazione della passione e della morte di Gesù viene da chiederci: ma perché è stato necessario tutto questo? Perché il Figlio di Dio ha patito ed è morto sulla croce?

Sappiamo bene che è la natura umana di Gesù che ha sofferto ed è morta, quella natura umana creata ed assunta dalla persona divina del Figlio, generato e non creato della stessa sostanza del Padre. Dio non può né soffrire né morire. D’accordo. Questo è vero. Ma Gesù, nella sua natura umana, ha sofferto nel suo corpo, è stato oltraggiato, vilipeso nella sua dignità, ed è morto nel fiore degli anni, all’apice del successo, quando un uomo normale e sano non ha proprio voglia di morire!

Perché Gesù ha accettato una fine così tragica? Lo sappiamo: per riconciliarci con Dio, offeso dal peccato dei progenitori e da tutti i peccati degli uomini. Ma, ci viene da chiederci, era proprio necessario tutto questo? Che razza di Dio è un Dio che per placare la propria sete di giustizia pretende un sacrificio umano, la morte di una persona innocente, il sacrificio, peraltro, del proprio Figlio unigenito, generato e non creato della stessa sua sostanza, e che se non ha sofferto come Dio, come uomo ha patito eccome?

È stato necessario per due motivi: il primo è che ogni peccato è anzitutto un atto contro Dio, ed è pertanto necessario che per eliminarne le conseguenze intervenga Dio stesso. Riflettiamo su questo noi che con colpevole superficialità infrangiamo tanto spesso quella legge che il Signore, nella sua misericordia, si è degnato di darci!

Il secondo motivo è che nulla più della croce manifesta la giustizia, la misericordia e l’amore di Dio: anzitutto la giustizia, perché il peccato dei progenitori e tutti i peccati degli uomini sono stati espiati attraverso la morte dolorosa e infamante di un uomo; la misericordia, perché Dio ha caricato Se stesso della punizione che gli uomini si erano meritati; l’amore, perché non c’è amore più grande di chi dona la vita per i propri amici.

Anche nei momenti più difficili, penosi e dolorosi della vita guardiamo il crocifisso: è la dimostrazione più vera che Dio ci ama e che siamo davvero importanti per Lui.

Gesù si rivela ma non viene accolto

Gesù si rivela ma non viene accolto

«… e il verbo era presso Dio …»

Allora i Giudei gli dissero: «Non hai ancora cinquant’anni e hai visto Abramo?». Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: prima che Abramo fosse, Io Sono».
Allora raccolsero delle pietre per gettarle contro di lui; ma Gesù si nascose e uscì dal tempio
(Dalla liturgia).

“Chi credi di essere?” chiedono sprezzanti i Giudei a Gesù. La risposta di Gesù è netta: “prima che Abramo fosse, Io Sono”.

Le pietre cadute dalle mani degli accusatori della donna adultera, disarmati dalla parola di Gesù, ora sono scagliate contro Gesù…

I Giudei dimenticano che essere figli di Abramo non è “possesso” ma dono, toccati dall’iniziativa di Dio che trasforma la vita di un popolo in una promessa, un cammino e non un privilegio…

Gesù riaffermando il suo “io sono” ricorda che a partire da lui il cammino di Abramo riprende e giunge a pienezza: ora ci è aperta la strada per essere figli di Abramo, eredi della promessa.

Quando nella notte di Pasqua rinnoveremo le nostre promesse battesimali in realtà ci viene detto e ricordato che viviamo di una vita che è il compimento di tutte le promesse. È donata in noi una vita di pienezza, di comunione con il Padre.

L’”io sono” di Gesù risuona e si riflette in noi. Abramo ha raggiunto la terra della promessa!

Gesù non condanna: ama. Il nostro impegno è di non peccare più

Gesù non condanna: ama. Il nostro impegno è di non peccare più

L’accusa all’adultera serviva anche per mettere in difficoltà il messaggio di misericordia di Gesù

Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo. Allora Gesù si alzò e le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». Ed ella rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù disse: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più» (Dalla liturgia).

La scena di questo brano di Vangelo si apre nel tempio di Gerusalemme. Gesù sta insegnando quando, all’improvviso, compare un gruppo di scalmanati: sono scribi e farisei che hanno trovato una donna mentre stava tradendo il marito, e non sembra loro vero di poterla usare per mettere in difficoltà Gesù. Questa donna si trova in grave imbarazzo: evidentemente è colpevole, viene umiliata, messa in mezzo. Si trova in una situazione di grave disagio.

Dicevamo che scribi e farisei approfittano di questa donna per mettere in difficoltà Gesù. Perché lo mettono in difficoltà? Perché se Gesù avesse affermato che era giusto lapidarla, come previsto dalla legge di Mosè, allora si sarebbe potuto dire: «dov’è tutta la tua misericordia, il tuo amore per i peccatori?». Se invece avesse detto di lasciarla andare, allora sarebbe stato facile accusarlo di aver trasgredito la legge di Mosè.

Gesù ribalta la situazione: non risponde subito. Scrive per terra. Cosa scrive? Il Vangelo non lo dice. Alcuni commentatori dicevano che scrivesse i peccati di quegli scribi e farisei che gli avevano portato la donna. Forse invece era solo un modo per non mettere in ulteriore imbarazzo la donna, guardandola in faccia. Fatto sta che non risponde, ma rilancia l’accusa a scribi e farisei: «chi è senza peccato scagli la prima pietra».

Tutti hanno peccato, non solo quella donna, e tutti hanno bisogno della misericordia del Signore. Infatti nessuno lancia la pietra, ma se ne vanno, a cominciare dai più vecchi, forse perché avevano più peccati.

Il Signore non ha approfittato della situazione per fare una catechesi sul peccato. Ha cercato anzitutto il bene di quella donna. Per prima cosa l’ha salvata dalla lapidazione, e poi l’ha congedata senza umiliarla, senza accusarla, ma facendole comunque capire che il peccato è un male che rovina la vita a noi e agli altri, e per questo va evitato: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più».

«Neanch’io ti condanno». Il Signore non ci condanna quando pecchiamo, cerca in tutti i modi di recuperarci, finché ci è dato tempo per farlo. Il Signore vuole salvarci, non vuole che ci perdiamo nella dannazione eterna. Per questo non ci condanna. Ma per questo ci fa anche capire che dobbiamo sforzarci di cambiare, di non peccare più. «Vai e non peccare più».

Il peccato fa male, a noi, agli altri e a Dio. Uccide la grazia di Dio in noi, quel flusso d’amore e di vita che il Padre ci dona. Per questo è necessario cercare, con l’aiuto di Dio, di non peccare. Ma è necessario soprattutto stare attenti a non fare come quegli scribi e i farisei che hanno trascinato la donna da Gesù: pensare cioè che i peccatori siano solo gli altri, che noi in fondo non facciamo niente di male. Se noi pensiamo così (e noi spesso, per non dire quasi sempre, pensiamo così!) non riusciamo a pentirci e a migliorare, ma ci limitiamo a considerare i peccati degli altri senza pensare ai nostri.

Gesù ci ammonisce: non solo di non tirare le pietre, cioè di non giudicare gli altri, ma ci invita a ricordare di essere peccatori, di tenerlo presente. Non ritenersi giusti, capire che abbiamo sbagliato è il primo passo per convertirci, per cambiare, per mettere il Signore nelle condizioni di perdonarci.

Anche preghiera e altre cose buone possono vanificarsi con la superbia

Anche preghiera e altre cose buone possono vanificarsi con la superbia

Un atteggiamento di autocompiacimento rende sterile la preghiera

«Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato» (Dalla liturgia).

Il fariseo prega, ed è una cosa buona.

Prega nel tempio, nel luogo stabilito da Dio, nel luogo della preghiera pubblica, e anche questa è una cosa buona, non si affida a una religiosità «fai da te».

Ringrazia: è molto bello che nel suo cuore vi sia un sentimento di gratitudine verso Dio.

Dov’è che la preghiera del fariseo comincia a fare acqua? Quando comincia a fare paragoni e a giudicare gli altri uomini, gli altri uomini in generale e (peggio ancora!) l’altro uomo in particolare, presente accanto a lui nel tempio.

Soprattutto la preghiera del fariseo ha un grosso difetto: finge di glorificare Dio ed invece è tesa ad esaltare se stesso, in particolare paragonandosi ad altre persone e dando giudizi pesanti su di loro.

È come se una ragazza si mettesse allo specchio e dicesse: «Signore ti ringrazio perché sono davvero bella, non come le mie amiche!».

La preghiera è vera, è buona, ci fa bene, se mette al cento il Signore.

Anche la liturgia è vera, è buona e ci fa bene se celebra il Signore, e se lo celebra come Lui vuole essere celebrato.

Quando invece la preghiera, anche la preghiera della liturgia, celebra noi, celebra la nostra persona, celebra la nostra comunità, non è più preghiera, e non ci rende migliori.

Perdono e pace tra fratelli: il giudizio sarà quello che usiamo noi

Perdono e pace tra fratelli: il giudizio sarà quello che usiamo noi

«Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori»

«Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono» (Dalla liturgia).

L’atteggiamento benevolo verso gli altri uomini, il dovere di perdonare chi ci ha fatto e chi ci fa del male non nasce dal fatto che gli altri, in particolare chi ci fa del male, meritino qualcosa di buono da noi.

Spesso chi ci offende non merita proprio il nostro perdono né la nostra benevolenza.

Dobbiamo perdonare gli altri perché Dio perdona noi. Il motivo è solo questo.

Se noi non riusciamo a capire che Dio ci perdona, perché pensiamo di non avere mai fatto nulla di grave, perché pensiamo che i peccatori siano solo gli altri (e questo oggi è un modo di pensare molto diffuso) allora non riusciremo a perdonare chi ci fa del male. Ma non riusciremo a gustare nemmeno il perdono del Signore, perché abbiamo perso il senso del peccato (quantomeno il senso del nostro peccato, perché il senso del peccato degli altri in noi è sempre vivo!) e pensiamo, a torto, di non avere nulla da farci perdonare.

Ricordiamo questo quando qualcuno ci fa qualche torto: il Signore nel giudicarci userà con noi lo stesso metro che usiamo con i nostri fratelli.

Prendere la propria croce non implica solo sofferenza

Prendere la propria croce non implica solo sofferenza

Seguire Gesù vuol dire dare gioia e pienezza alla nostra vita

«Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà. Infatti, quale vantaggio ha un uomo che guadagna il mondo intero, ma perde o rovina se stesso?» (Dalla liturgia).

«Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua».

Prendere la propria croce non significa cercare la sofferenza. Il Signore non ce lo chiede.

Prendere la propria croce significa accettare di fare nella nostra vita la volontà di Dio, anche quando significa accettare sacrifici e rinunce.

Accettare di fare la volontà di Dio spesso ci da fastidio perché noi siamo portati a voler essere autosufficienti, a non dipendere da nessuno, neanche da Dio. Non ci piace che la nostra vita sia nelle mani di un altro, fosse anche Dio.

Ma è invece accettando la volontà di Dio che la nostra vita verrà salvata, cioè potremo vivere pienamente la nostra esistenza terrena, nella pace e nella gioia, pur con tutte le limitazioni e le sofferenze che questa nostra vita talvolta ci riserva, e soprattutto potremo essere accolti nella gioia piena ed eterna del Paradiso.

Il pane dato da Gesù è eterno

Il pane dato da Gesù è eterno

Dio trasforma in bene ogni male

«Perché discutete che non avete pane? Non capite ancora e non comprendete? Avete il cuore indurito? Avete occhi e non vedete, avete orecchi e non udite? E non vi ricordate, quando ho spezzato i cinque pani per i cinquemila, quante ceste colme di pezzi avete portato via?». Gli dissero: «Dodici». «E quando ho spezzato i sette pani per i quattromila, quante sporte piene di pezzi avete portato via?». Gli dissero: «Sette». E disse loro: «Non comprendete ancora?» (Dalla liturgia).

«Non comprendete ancora?». Il Signore rimane amareggiato dall’ottusità dei discepoli, che non riescono a vedere la mano della Provvidenza in ciò che accade nella loro vita. Sono piegati sul loro problema contingente (c’è poco pane), non riescono a vedere più in là, ad un palmo del loro naso. Gesù da una parte e i discepoli dall’altra sembra che parlino con due vocabolari diversi, che non riescano proprio ad intendersi.

Anche noi tante, troppe volte, facciamo così. Siamo talmente presi dai nostri problemi quotidiani che non vediamo negli avvenimenti della nostra vita l’agire di Dio, quando sarebbe agevole accorgercene, se solo riuscissimo ad usare bene la nostra ragione! Pensiamo spesso che Dio sia lontano, che non si curi di noi. E non ci accorgiamo invece di quanto ci sia vicino, di quanto si prenda cura della nostra vita.

Anche quando viviamo situazioni difficili, magari situazioni di grande dolore, Dio ci è vicino. Può essere che non faccia quello che gli chiediamo, ma possiamo essere certi che Egli si prende cura di noi. Perché ci ama e ci vuole felici, non necessariamente in questa nostra esistenza terrena, ma certamente e per sempre nella vita eterna.

La salvezza non si ottiene per magia ma per volontà

La salvezza non si ottiene per magia ma per volontà

Gesù ci ha insegnato che per salvarci occorre entrare in contatto con Lui

«E là dove giungeva, in villaggi o città o campagne, deponevano i malati nelle piazze e lo supplicavano di poter toccare almeno il lembo del suo mantello; e quanti lo toccavano venivano salvati». (Dalla liturgia)

«Quanti lo toccavano venivano salvati». Non c’è nulla di automatico nell’agire di Gesù. Né tantomeno di magico.

Le persone che riuscivano a toccarlo, magari anche solo un lembo del mantello, venivano salvate. Ma non venivano salvate per qualche energia particolare o per qualche potenza magica che veniva sprigionata da Gesù o dal mantello, ma per la fede con la quale si erano decisi ad entrare in contatto con Lui.

Queste persone credevano che Gesù aveva veramente la possibilità di aiutarle, e la loro fede è stata ripagata. Nulla come la fede muove la potenza di Dio.

Dio non vuole agire senza il nostro desiderio, aspetta che noi davvero vogliamo ciò che gli chiediamo, e crediamo che davvero Egli ce lo possa dare.

Il nostro interesse ci chiude gli occhi dinnanzi al male

Il nostro interesse ci chiude gli occhi dinnanzi al male

La cruda verità emerge da un esorcismo di Gesù

Visto Gesù da lontano, accorse, gli si gettò ai piedi e, urlando a gran voce, disse: «Che vuoi da me, Gesù, Figlio del Dio altissimo? Ti scongiuro, in nome di Dio, non tormentarmi!». Gli diceva infatti: «Esci, spirito impuro, da quest’uomo!» (Dalla liturgia).
«I mandriani si misero a pregarlo che lasciasse il loro territorio». C’è da restare stupiti del comportamento di queste persone. Gesù ha liberato un uomo gravemente vessato dal demonio, e i mandriani (che senz’altro non potevano non conoscere la situazione di questa persona) lo pregano di andarsene.

Il fatto è che Gesù ha permesso ai demoni di entrare in una grande mandria di porci, e questo ha fatto sì che i maiali annegassero, causando, evidentemente, un danno economico.

Noi spesso chiediamo l’aiuto di Dio per le vicende della nostra vita, ma quando si tratta di rinunciare a qualcosa di nostro, oppure di cambiare qualcosa nel modo di vivere, nelle nostre abitudini, ecco che dell’aiuto di Dio facciamo volentieri a meno.

Chiediamo al Signore di darci la grazia di comprendere quale sia la bellezza della sua proposta d’amore per noi, e allora non avremo paura di dover affrontare qualche sacrificio o qualche rinuncia pur di ottenere quello che Egli ci vuole donare.

«Non chi dice Signore, Signore …»

«Non chi dice Signore, Signore ...»

Per comprendere la Parola occorre viverla

«A voi è stato dato il mistero del regno di Dio; per quelli che sono fuori invece tutto avviene in parabole, affinché guardino, sì, ma non vedano, ascoltino, sì, ma non comprendano, perché non si convertano e venga loro perdonato» (Dalla liturgia).

Perché questo brano ci dice che se non capiamo questa parabola non capiremo neppure le altre? Perché questa parabola ci insegna a rapportarci in modo corretto, e quindi fruttuoso, alla parola di Dio, e all’insegnamento autentico della Chiesa che la interpreta in modo autorevole.

Se noi non sappiamo trarre frutto da quello che Dio ci insegna, cioè se non mettiamo in pratica la sua parola, tutto l’insegnamento del Vangelo, tutte le pratiche religiose diventano una cosa inutile, un inutile parlare e un vuoto ritualismo che non aiuta la nostra vita e non ci giova a salvezza.

Dio ci ha dato la sua parola perché noi la prendiamo sul serio per quello che è: parola di Dio, che genera in noi la vita, che porta frutti di bene per noi e per gli altri se cerchiamo, con il suo aiuto, di metterla in pratica.