Il “sabato”: il pericolo che la forma superi la sostanza

Il "sabato": il pericolo che la forma superi la sostanza

Gesù ha insistito in modo particolare sul valore della sostanza, e ciò lo ha portato alla Croce

«Domando a voi: in giorno di sabato, è lecito fare del bene o fare del male, salvare una vita o sopprimerla?». E guardandoli tutti intorno, disse all’uomo: «Tendi la tua mano!». Egli lo fece e la sua mano fu guarita.
Ma essi, fuori di sé dalla collera, si misero a discutere tra loro su quello che avrebbero potuto fare a Gesù.

(Dalla liturgia).

Gesù sa che scribi e farisei lo stanno ad osservare per poi trovare qualcosa di cui accusarlo. Gesù non stava facendo nulla di male, anzi stava facendo del bene a persone bisognose, ma il problema stava nel fatto che Gesù faceva queste cose in giorno di sabato.

Alcune scuole rabbiniche ammettevano che in giorno di sabato fosse possibile fare ciò che la legge non permetteva, ma solo in caso di pericolo di vita: per esempio salvarsi da un pericolo con la fuga, oppure assistere una donna colta dalle doglie del parto, o un uomo in grave pericolo di vita.

Gesù non aiuta un uomo in pericolo di vita. Con la sua azione non stabilisce un’eccezione, ma cambia il concetto teologico della norma: la norma è fatta per l’uomo, e non viceversa. È questo che scribi e farisei non sopportano, ed Egli li sfida.

Gesù non si nasconde nel compiere il miracolo, anzi da pubblicità al suo gesto, invitando l’uomo dalla mano inaridita a mettersi nel mezzo. E lo guarisce, scatenando la loro reazione.

Scribi e farisei non si curano che Gesù abbia potuto guarire un uomo con la sola parola. Si intestardiscono sul loro modo di pensare. Non rispondono alla domanda di Gesù.

Tante volte anche noi facciamo così: pensiamo che il nostro modo di vivere e di vedere le cose sia quello giusto, e non ci lasciamo interrogare né dal Vangelo né dalle cose che ci capitano nella vita. Tante volte Dio ci parla attraverso di esse, ma quando non riusciamo a liberarci dalle nostre idee preconcette e dalle nostre false sicurezze non riusciamo a cogliere ciò che la grazia di Dio ci fa capire per correggerci e vivere meglio.

Per non sfociare in menzogna, la Verità non può essere parziale

Per non sfociare in menzogna, la Verità non può essere parziale

Anche demonio e eretici si servono delle “mezze verità”

Da molti uscivano anche demòni, gridando: «Tu sei il Figlio di Dio!». Ma egli li minacciava e non li lasciava parlare, perché sapevano che era lui il Cristo.
(Dalla liturgia).

Perché il Signore non permette ai demòni di parlare? In fondo, pur essendo degli esseri malvagi in questo caso stanno dicendo la verità: «Tu sei il Figlio di Dio!». Ma Gesù li minacciava e impediva loro di parlare. Perché, visto che dicono la verità?

Perché essi quella verità la avrebbero distorta, avrebbero magari tolto o aggiunto magari un particolare, anche piccolo e apparentemente insignificante, ma tale da snaturare il messaggio di Gesù, e di privarlo della sua capacità salvifica. I demòni avrebbero fatto quello che da duemila anni fanno gli eretici: non negare del tutto la verità del vangelo, ma negare qualche aspetto, magari uno solo, magari apparentemente insignificante.

La verità che Cristo, attraverso la Chiesa, ci annuncia, per aiutarci in questa vita e permettere di salvarci, deve essere accolta, custodita ed annunciata tutta intera. La fede per essere efficace, deve essere omologa in ogni suo aspetto a quella professata dagli apostoli.

A tal proposito dice sant’Agostino: «in molti punti gli eretici sono con me, in qualche altro no, ma a causa di questi pochi punti in cui separano da me non serve loro a nulla di essere con me in tutto il resto».

Chiediamo al Signore di mantenerci saldi nella fede che Cristo ci ha rivelato, la sola che può darci la salvezza ed aprirci le porte della vita eterna.

L’importanza della purezza del cuore

L'importanza della purezza del cuore

Senza di essa nessun segno o miracolo può convincerci

Gesù intanto, visto Natanaèle che gli veniva incontro, disse di lui: «Ecco davvero un Israelita in cui non c’è falsità». Natanaèle gli domandò: «Come mi conosci?». Gli rispose Gesù: «Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto quando eri sotto l’albero di fichi». Gli replicò Natanaèle: «Rabbì, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d’Israele!». Gli rispose Gesù: «Perché ti ho detto che ti avevo visto sotto l’albero di fichi, tu credi? Vedrai cose più grandi di queste!».
(Dalla liturgia)

Leggendo questo brano, Natanaele (chiamato anche Bartolomeo) non dà l’idea di essere una persona particolarmente brillante. Sembra, per quel poco che si può capire da una breve frase, un uomo ben radicato nei suoi sciocchi pregiudizi («Da Nàzaret può venire qualcosa di buono?»).

Ma Natanaele (Bartolomeo) era una persona onesta. Lo dice Gesù stesso: «ecco davvero un israelita in cui non c’è falsità». La sua naturale sincerità, la sua rettitudine di vita lo rendeva naturalmente aperto alla rivelazione del Signore. È bastato poco («ti ho visto quando eri sotto l’albero di fichi», gli aveva detto il Signore) per riconoscere in Gesù il Figlio di Dio e il Re di Israele.

Se pensiamo che i capi dei Giudei hanno deciso di uccidere Gesù dopo che Egli aveva manifestato ben altrimenti la propria divinità, facendo risorgere Lazzaro già da quattro giorni cadavere, capiamo che nessun segno del cielo può illuminare la nostra mente né riscaldare il nostro cuore se non abbiamo un animo ben disposto ad accoglierlo.

Chiediamo a Dio di mantenere puro il nostro cuore, così da essere pronti a scorgere quei segni che il Signore continuamente ci mostra, e non rischiamo di lasciare passare invano la grazia di Dio dalla nostra vita.

Conoscere il Signore e convertirsi alla sua Parola

Conoscere il Signore e convertirsi alla sua Parola

La conoscenza delle Scritture e la coerenza di vita portano ad una fede matura e viva

«In verità io vi dico ancora: se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro».
(Dalla liturgia).

«Dove due o tre sono riuniti nel mio nome io sono in mezzo a loro», ci ricorda Gesù. Il cristianesimo non è individualismo, ma comunità. La comunità cristiana può essere composta anche da due o tre persone.  L’importante è riunirsi nel nome del Signore, il Risorto.

Nella Chiesa primitiva le comunità erano piccole. Essendo piccole, i membri delle comunità si conoscevano tra di loro, si chiamavano per nome e si amavano tra di loro con amore autentico. Perciò, i pagani, vedendoli, esclamavano: «Vedete come si amano!».

Con l’Editto di Costantino, popoli entrarono a far parte della Chiesa. Il Battesimo veniva dato come oggi vengono date le lauree ai giovani. Molti entravano a far parte della Chiesa senza essere istruiti e senza una vera conversione a Cristo Gesù. Così si cominciò a perdere il senso della Chiesa, del Battesimo, della Parola di Dio, dell’Eucarestia della unione fraterna. L’appartenenza alla Chiesa diventò più giuridica che spirituale. Se oggi in Italia abbiamo ancora un po’ di fede è grazie ai movimenti ecclesiali e i gruppi di preghiera che lo Spirito Santo ha suscitato dopo il Concilio Vaticano II.

In questi movimenti ecclesiali si studia e si conosce di più la Bibbia, si ascoltano di più gli insegnamenti del clero e si pratica di più la comunità cristiana. Tra i fedeli che frequentano il tempio ogni domenica c’è fede autentica o è solo religiosità naturale? Molta gente va in chiesa per tradizione o per dovere. Nonostante l’assidua frequenza domenicale, molti fedeli vivono nel mondo come se Dio non esistesse e conoscono poco la dottrina cristiana. Quante persone hanno la consapevolezza di riunirsi nel nome del Signore e di fare Chiesa?

Lampade e olio, fede e opere, elementi indissolubili

Lampade e olio, fede e opere, elementi indissolubili

In entrambe le coppie di elementi, uno è mutilato dall’assenza dell’altro

«Ora, mentre quelle andavano a comprare l’olio, arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa. Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: “Signore, signore, aprici!”. Ma egli rispose: “In verità io vi dico: non vi conosco”.
Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora»
.
(Dalla liturgia)

Per salvarci non basta credere, nel senso di ritenere con l’intelletto che Dio esiste, che è una sostanza in tre persone, che Gesù è la seconda persona della Santissima Trinità che ha assunto la nostra natura nel grembo della Vergine Maria e che è morto per noi, è risorto e ora vive per sempre, in anima e corpo, nella gloria del Paradiso.

Questo è necessario, è come avere le lampade. Ma non è sufficiente. Dobbiamo avere anche l’olio, cioè le buone opere, Infatti avere fede significa anche credere che le parole che il Signore ci ha lasciato sono vere, affidabili. Sono comandi che devono essere messi in pratica perché noi possiamo avere una vita piena e realizzata in questa esistenza terrena, con tutti i limiti e le difficoltà che ben conosciamo, e una esistenza eternamente felice nel paradiso.

Una fede che non cambiasse il nostro modo di pensare e di agire, che ci lasciasse vivere e pensare come chi cristiano non è, non è vera fede: non ci può essere di giovamento in questa esistenza terrena e non ci può aprire le porte della vita eterna.

Zizzania e grano crescono insieme, come il bene e il male dentro di noi

Zizzania e grano crescono insieme, come il bene e il male dentro di noi

«Come dunque si raccoglie la zizzania e la si brucia nel fuoco, così avverrà alla fine del mondo. Il Figlio dell’uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e tutti quelli che commettono iniquità e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti. Allora i giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre loro. Chi ha orecchi, ascolti».
(Dalla liturgia).

La spiegazione della parabola della zizzania è chiarissima: non servono commenti per interpretarla.

È necessario ed urgente invece prendere sul serio questa parola di Gesù: nella realtà di questo mondo, così come lo conosciamo, il bene e il male coesistono. E, se vogliamo essere sinceri, nel cuore di ciascuno di noi trovano posto sia il bene che il male.

Nel mondo di là non sarà così: male e bene saranno divisi per sempre, in paradiso non c’è posto per il dolore, la tristezza, la cattiveria, nell’inferno non si trova alcuna forma di bene, ma solo rabbia, malvagità, disperazione.

La scelta spetta solo a noi.

Anna e Gioacchino: l’incarnazione di Dio che diventa Storia

Anna e Gioacchino: l'incarnazione di Dio che diventa Storia

Dio ha unito la sua storia con quella degli uomini

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Beati i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi perché ascoltano.
In verità io vi dico: molti profeti e molti giusti hanno desiderato vedere ciò che voi guardate, ma non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, ma non lo ascoltarono!».

(Dalla liturgia).

I nomi dei genitori di Maria non sono ricordati nei vangeli canonici, cioè in quelli che la Chiesa insegna essere stati scritti sotto l’ispirazione dello Spirito Santo, ma sono riportati da un vangelo apocrifo.

Diversamente dai quattro vangeli canonici, i vangeli apocrifi sono opere scritte più tardi, più lontane quindi dagli avvenimenti della vita di Gesù, e spesso raccontano vicende storicamente non attendibili, e comunque di essi la Chiesa non ci garantisce la credibilità. La tradizione dei nomi dei genitori di Maria è comunque molto antica, risale ad un’opera di circa diciannove secoli fa.

In ogni modo, più che sulla certezza sul nome dei genitori della Vergine Maria e sui racconti legati ai loro nomi, possiamo chiederci perché la Chiesa ci fa celebrare la festa dei genitori di Maria, e quindi dei nonni di Gesù. Celebrare la festa dei nonni di Gesù significa inserire la storia di Gesù, l’incarnazione di Dio, nella storia concreta di una famiglia umana, di una genealogia.

L’incarnazione di Dio che si fa uomo passa attraverso la storia degli uomini.

L’incarnazione non è un qualcosa di astratto, ma si è realizzata sul serio, per mezzo di persone che, come noi, hanno un nome e un cognome. È una storia di uomini, ma è anche una storia di Dio.

Attraverso le normali vicende di un’ordinaria famiglia arriva il dono di Dio che supera ogni pensiero e ogni aspettativa. Maria è stata concepita dai suoi genitori come è stato concepito ogni essere umano, ma Dio, sin da quell’istante, in previsione dei futuri meriti di Cristo, la ha preservata da ogni macchia di peccato.

I genitori di Maria, si chiamassero Anna o Gioachino o meno, sono considerati santi tanto dalla Chiesa d’Occidente che da quella d’Oriente. Essi vissero santamente la loro normale esistenza, ma sicuramente non pensavano di concepire una figlia preservata dal peccato originale, e di diventare poi i nonni di Gesù, vero uomo e vero Dio!

Hanno vissuto nella santità quotidiana la loro esistenza, non cercando cose eccezionali, ma cercando di fare la volontà di Dio nelle vicende di ogni giorno.

Cosa ci insegna questa vicenda? Cerchiamo di vivere nelle nostre giornate in grazia di Dio, evitando il peccato e cercando di fare la sua volontà. Il resto lo fa Lui, e spesso sono cose tanto belle e tanto grandi che neppure riusciamo ad immaginarle, perché l’agire e il pensare di Dio è molto più grande di ciò che possiamo aspettarci ed immaginare.

Gesù che dorme nella tempesta indica i tempi di Dio

Gesù che dorme nella tempesta indica i tempi di Dio

La nostra natura limita la comprensione del disegno divino

Ed ecco, avvenne nel mare un grande sconvolgimento, tanto che la barca era coperta dalle onde; ma egli dormiva.
Allora si accostarono a lui e lo svegliarono, dicendo: «Salvaci, Signore, siamo perduti!». Ed egli disse loro: «Perché avete paura, gente di poca fede?». Poi si alzò, minacciò i venti e il mare e ci fu grande bonaccia.

(Dalla liturgia).

L’azione di Gesù ci mostra la potenza della sua divinità. Dio ha creato gli elementi naturali, ed è in grado di dominarli a suo piacimento.

Ma la scena di Gesù che dorme sulla barca mentre il mare è in tempesta ci mostra anche uno spaccato della nostra esistenza: talvolta sembra che la barca della nostra vita stia per affondare, che le difficoltà ci sovrastino, che non sappiamo più davvero cosa fare.

E allora ci viene spontaneo pensare: «Ma il Signore che fine ha fatto? Perché mi ha abbandonato?».

In quei momenti pensiamo a questo episodio. Gesù, sulla barca della nostra vita c’è e anche se talvolta sembra dormire è perché i suoi tempi non sono i nostri, e i suoi progetti su di noi sono diversi dai nostri.

Non perdiamo la speranza nei momenti difficili, e continuiamo a invocare il suo aiuto con fiducia. Prima o poi, quando riterrà che sia il momento giusto, farà cessare le tempeste attorno alla barca della nostra vita.

Dio è verità, bontà, misericordia e quindi giustizia perfetta

Dio è verità, bontà, misericordia e quindi giustizia perfetta

Non va dimenticato neppure uno di questi aspetti

«Non giurare neppure per la tua testa, perché non hai il potere di rendere bianco o nero un solo capello. Sia invece il vostro parlare: “Sì, sì”; “No, no”; il di più viene dal Maligno».
(Dalla liturgia)

L’insegnamento de Signore tocca la sostanza del nostro vivere quotidiano, vuole che incida nella nostra vita di ogni giorno.

La legge del Signore deve essere amata prima ancora di essere rispettata, deve essere osservata con il cuore. Non la si può applicare come una legge fiscale, che viene obbedita perché si è obbligati a farlo, ma si cerca di farlo nel modo meno oneroso possibile. Questa sarebbe la giustizia degli scribi e dei farisei, che non ci fa entrare nel regno dei cieli.

Gesù ci insegna come la giustizia di Dio illumina l’uso della parola: è troppo poco evitare gli spergiuri e la falsa testimonianza in tribunale. Occorre invece coltivare una lealtà interiore, un’abitudine al parlare schietto, dove sì vuol dire sì e no vuole dire no.

Il Signore ci da una legge morale non per aggiungere un peso alla nostra vita, che talvolta è già pesante di suo, ma per liberarci dal peso del peccato e guidarci ad una vita più giusta, più gioiosa. È una dottrina liberante, ma è anche impegnativa e totalitaria. Il Signore proprio perché ci stima e ci ama è anche esigente con noi. Sta a noi scegliere da che parte stare. Dice il libro del Siracide: «davanti agli uomini stanno la vita e la morte, il bene e il male: a ognuno sarà dato ciò che a lui piacerà» (Sir 15,17).

La nostra vita è una continua scelta tra il bene e il male, tra la giustizia e il peccato. La giustizia, nella Bibbia, è fare la volontà di Dio. Ciò che ci aspetta, la termine della nostra vita terrena, sarà conseguenza di ciò che avremo liberamente scelto in questa vita.

Le letture di oggi, in particolare il Vangelo, ci mettono davanti alla tremenda serietà di una vita terrena che altro non è che la breve preparazione alla vita vera, che può essere di infinita gioia, ma anche di infinita tragedia. È un richiamo alla misericordia, ma al contempo anche alla giustizia di Dio.

L’insistenza unilaterale che oggi spesso si fa sulla sola misericordia di Dio dimentica ciò che la Bibbia, e il magistero costante della Chiesa – il solo che interpreta la scrittura secondo verità – ci insegnano: cioè che Dio unisce all’infinita misericordia anche l’infinita giustizia. Dio è il Padre amoroso che ci aspetta a braccia aperte, al termine della nostra vita, ma nel contempo è il giusto giudice che peserà sulla sua infallibile bilancia il bene e il male delle nostre azioni. Nascondere uno di questi due aspetti di Dio non è cattolico, e soprattutto non è vero, in altre parole è falso.

Il paradiso ci attende, e il paradiso è un dono di Dio, ma non possiamo dimenticare che per poterlo avere non lo dobbiamo rifiutare, allontanandoci dalla via del bene che il Signore, con i suoi comandamenti ci indica.


La pace è dono di Dio

La pace è dono di Dio

Si ottiene gratuitamente, e gratuitamente va augurata

Non procuratevi oro né argento né denaro nelle vostre cinture, né sacca da viaggio, né due tuniche, né sandali, né bastone, perché chi lavora ha diritto al suo nutrimento.
(Dalla liturgia)

«Se quella casa ne è degna, la vostra pace scenda su di essa; ma se non ne è degna, la vostra pace ritorni a voi».

La pace, che è il primo dono del Signore risorto (ricordiamo il primo saluto del Risorto ai suoi discepoli, chiusi nel cenacolo: «pace a voi» Gv 20,19) non è un dono che siamo costretti ad accettare. Lo possiamo anche rifiutare. E lo rifiutiamo se viviamo una vita lontana dal Signore, lontana dalla sua grazia.

Il rischio di rifiutare la grazia del Signore è sempre presente nella nostra vita. Quando il Signore comanda di guarire gli infermi, resuscitare i morti e purificare i lebbrosi ha in mente anzitutto la guarigione dal peccato, che paralizza quanto di buono c’è in noi, uccide la grazia di Dio nella nostra anima.

Gesù ci purifica da quella lebbra – il peccato appunto – che sfigura la nostra anima creata ad immagine e somiglianza di Dio.

Non abbiamo timore a rivolgerci alla Chiesa, con la santa confessione, per chiedere perdono per i nostri peccati, e guarire così da questa malattia che ci fa perdere, anzitutto, quella pace interiore che è il primo dono che il Signore vuole farci.