Fiducia e riconoscenza: le fasi dell’amore per Dio

Fiducia e riconoscenza: le fasi dell'amore per Dio

A ringraziare fu il solo Samaritano

E mentre essi andavano, furono purificati. Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano. Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono?»
(Dalla liturgia).

I lebbrosi iniziano a guarire mentre camminano. Gesù ha comandato loro di andare dai sacerdoti quando ancora i segni della lebbra erano sul loro corpo. I lebbrosi hanno obbedito alla parola di Gesù senza avere prove.

È questa fede che li ha guariti. La fiducia che quello che il Signore dice è buono per la nostra vita ci spinge ad agire anche quando sembra che le parole del Signore non abbiano riscontro nei fatti.

È questa fiducia però che permette a Dio di agire e di portare frutti di bene nella nostra vita. Il Signore vuole la nostra fede per agire nella nostra vita, non perché ne abbia bisogno (è onnipotente!) ma perché ci ama, ci stima più di quanto spesso noi stimiamo noi stessi, e non vuole agire senza il nostro consenso e senza la nostra collaborazione.

Il «culto del Tempio» e il «culto dell’Amore di Dio»

Il «culto del Tempio» e il «culto dell'Amore di Dio»

Ciò che il Signore ci chiede …

Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori del tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: «Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!».
(Dalla liturgia).

Celebriamo oggi la festa che ricorda la dedicazione della Basilica di San Giovanni in Laterano, la chiesa cattedrale di Roma, considerata madre e capo delle chiese di tutto il mondo.

Il brano di vangelo ci riporta l’episodio della cacciata dei mercanti del tempio. Che senso ha questo episodio? Cosa facevano di male queste persone? Vendevano ai pellegrini gli animali necessari per i sacrifici e cambiavano le monete romane (considerate impure, perché portavano l’effige dell’Imperatore) con le monete degli Ebrei. Cose tutte prescritte dalla legge di Mosè. E allora? Dove sta il male? Che senso ha il gesto di Gesù?

Certo, come sempre quando ci sono di mezzo i soldi si verificavano ingiustizie, i cambiavalute e i venditori di animali se ne approfittavano (ricordiamo che il tempio di Gerusalemme, ai tempi di Gesù, era la maggiore banca del Medio Oriente), c’era un cospicuo giro di soldi attorno ad esso, a tutto vantaggio della famiglia dei sommi sacerdoti. Ma non è certo l’unica volta che Gesù si è trovato di fronte a un’ingiustizia, e non lo abbiamo mai visto passare alle vie di fatto! E allora? Cosa significa tutto questo?

Con la cacciata dei mercanti Gesù non si limita a deplorare le ingiustizie commesse da queste persone, ma mostra che il culto del tempio è oramai finito per sempre. Con questo gesto Gesù inaugura un nuovo modo di rapportarsi con Dio. Al Signore non interessano i sacrifici di animali, Egli vuole il nostro amore, il nostro cuore.

Se facciamo un’offerta, se facciamo un sacrificio, non lo facciamo per comprare la benevolenza di Dio, quasi a metterlo tranquillo per continuare a vivere come vogliamo, ma lo facciamo per esprimere amore e riconoscenza. E come possiamo allora rendere concreto il nostro amore verso di Lui? Ce lo dice il vangelo di Giovanni: «chi mi ama osserva i miei comandamenti» (Gv 14,24).

Il modo di amare Dio, di essergli graditi, è riconoscerlo Signore della nostra vita, è essere docili alla sua volontà. Dio vuole il nostro cuore, non le nostre cose. Queste sono già sue.

Il Regno di Dio: l’apparentemente piccolo che diventa il «tutto»

Il Regno di Dio: l'apparentemente piccolo che diventa il «tutto»

Nella spiegazione di Gesù c’è la potenza di Dio

«A che cosa è simile il regno di Dio, e a che cosa lo posso paragonare? È simile a un granello di senape, che un uomo prese e gettò nel suo giardino; crebbe, divenne un albero e gli uccelli del cielo vennero a fare il nido fra i suoi rami».
E disse ancora: «A che cosa posso paragonare il regno di Dio? È simile al lievito, che una donna prese e mescolò in tre misure di farina, finché non fu tutta lievitata».

(Dalla liturgia)

Le due brevi parabole (quella del granello di senape e quella del lievito e della pasta) hanno in comune la piccolezza degli inizi e l’inaspettata grandezza della conclusione. È la dinamica del regno di Dio: ciò che riguarda Dio ha una vita nascosta in sé.

Tante volte quando si fa qualcosa per il Signore, per la Chiesa, sembra di fare qualcosa di inutile, qualcosa di veramente insignificante. Il Signore ci raccomanda di non scoraggiarci. Il regno di Dio ha una vitalità propria, è la forza di Dio che fa crescere.

Queste parabole ci invitano a non scoraggiarci, a non demordere quando vediamo risultati non all’altezza del nostro impegno e delle nostre aspettative, e a considerare quanto sia importante ogni occasione, ogni incontro.

Una situazione apparentemente insignificante non deve diventare occasione di disimpegno o di rifiuto, perché non sappiamo quali frutti di grazia il Signore saprà trarre da essa.

L’attesa del Signore: una vita attiva nell’attuazione della Parola

L'attesa del Signore: una vita attiva nell'attuazione della Parola

Gesù ci ha raccomandato di farci trovare «svegli»

«Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli.
E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li troverà così, beati loro!».

(Dalla liturgia).

Il Signore ci invita ad essere vigili. Essere vigili significa essere attenti, pronti per qualcosa di importante che deve arrivare. Il nostro destino, la nostra vita, non sono racchiusi nei pochi giorni che ci sono dati da vivere su questa terra. Abbiamo un traguardo da raggiungere, e su quello dobbiamo regolare la corsa della nostra vita.

«Siate simili a coloro che aspettano». Il cristiano sa che la sua storia terminerà con un incontro personale con il Signore Gesù, un incontro che sarà anche un rendiconto e un giudizio sulla propria vita, e al quale quindi ci si deve ogni giorno preparare: «siate pronti, con la cintura ai fianchi e le lucerne accese».

Le vesti strette ai fianchi ci riportano all’abitudine di chi lavorava la campagna ai tempi di Gesù, o di chi si metteva in viaggio: stingeva la cintura in modo che l’abito si alzasse un po’ e non intralciasse i movimenti. Le lucerne accese ci fanno capire che abbiamo bisogno della luce per capire cosa fare e dove andare. Questa espressione ci riporta da una famosa pagina dell’Antico Testamento, quando Mosè e gli Israeliti stavano per fuggire dalla schiavitù dell’Egitto (Es 12,11). Il messaggio è: non bisogna perdere tempo, non dobbiamo lasciare che qualcosa ci intralci. È troppo importante quello che ci aspetta!

Se la nostra attenzione è rivolta soltanto alle esigenze della vita terrena, se evitiamo, perché troppo duro o faticoso, ogni pensiero su ciò che ci sarà dopo, se le nostre speranze e le nostre energie sono spese solo per le cose di quaggiù (un maggior benessere economico, una vita più serena, una salute fisica migliore…), non solo non siamo veri discepoli di Cristo, ma inganniamo noi stessi. Intendiamoci bene: non è che queste cose non siano importanti. Lo sono eccome, ma non sono tutto. Il vero discepolo di Cristo è uno che sa che la vita è un cammino che è destinato ad una meta, e sul traguardo regola tutta la sua corsa.

Per farsi meglio comprendere Gesù ci porta un esempio preso dalle abitudini delle case signorili di una volta, è un quadretto molto lontano dal modo di vivere attuale. È la figura di una padrone che è andato ad una festa di nozze senza aver lasciato detto nulla circa l’ora del ritorno. Il buon servitore, dice Gesù, resta in piedi ad attenderlo tutta la notte per essere pronto ad aprirgli la porta di casa subito, non appena sente bussare.

Così è di noi. Il nostro Signore, vero Dio e vero uomo, dopo la sua Pasqua è tornato nella gloria dei cieli. È partito ma tornerà, e tornerà nell’ora in cui meno lo aspettiamo. Il nostro compito è di stare desti ed aspettare: nessun giorno della nostra vita deve passare senza il pensiero del ritorno imminente di Cristo. La vigilanza deve essere un atteggiamento di tutta la vita, non solo degli ultimi tempi, anche perché non li conosciamo.

Gesù ci dice un’altra cosa, che nel quadro della parabola è del tutto inverosimile, ma che si avvererà alla lettera per noi, se alla fine della nostra vita ci troverà nella fedeltà e nella vigilanza: «beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità vi dico, si cingerà le sue vesti, li farà mettere a tavola e sarà lui a servirli». Cioè noi entreremo nel regno di Dio non come servi, ma come figli del Re, che godranno per sempre della sua intimità.

«Guai a voi!»: un monito potente anche nell’attualità

«Guai a voi!»: un monito potente anche nell'attualità

Un rimprovero a chi pensa di poter fare a meno della Sapienza, che è amore di Dio

«Guai a voi, dottori della Legge, che avete portato via la chiave della conoscenza; voi non siete entrati, e a quelli che volevano entrare voi l’avete impedito». Quando fu uscito di là, gli scribi e i farisei cominciarono a trattarlo in modo ostile e a farlo parlare su molti argomenti, tendendogli insidie, per sorprenderlo in qualche parola uscita dalla sua stessa bocca.
(Dalla liturgia).

I rimproveri che in questi giorni leggiamo nei confronti degli scribi e farisei sono rivolti anche a noi. Anche noi, cristiani del XXI secolo, ci macchiamo spesso delle stesse colpe di quegli uomini.

In particolare questa frase sembra diretta a chi ha un compito di insegnamento nella Chiesa: Papa e vescovi certamente, ma anche preti, insegnanti, catechisti, genitori cristiani.

Quando chi deve insegnare la fede di Cristo, la dottrina cristiana, insegna qualcosa d’altro, magari solo le proprie idee, quando ripete la frase: «la Chiesa insegna questo, ma io la penso così», non solo impedisce a chi ascolta di giungere a una conoscenza piena, saporosa, efficace della novità cristiana, ma egli stesso rimane privo da quel sapere che genera amore, che diventa modo di pensare e pratica di vita, che fa vivere bene e apre la porta della vita eterna.

Il regno diviso e il rifiuto precostituito

Il regno diviso e il rifiuto precostituito

Presunzione e superbia fanno chiudere gli occhi di fronte alla Verità

«Ogni regno diviso in se stesso va in rovina e una casa cade sull’altra. Ora, se anche Satana è diviso in se stesso, come potrà stare in piedi il suo regno? Voi dite che io scaccio i demòni per mezzo di Beelzebùl. Ma se io scaccio i demòni per mezzo di Beelzebùl, i vostri figli per mezzo di chi li scacciano? Per questo saranno loro i vostri giudici. Se invece io scaccio i demòni con il dito di Dio, allora è giunto a voi il regno di Dio».
(Dalla liturgia)

Gesù sta scacciando un demonio, e subito la gente si interroga: come può costui fare una cosa del genere? Subito si scatena la discussione: come può costui comandare al demonio? Sicuramente ci deve essere qualcosa sotto! È Satana stesso che tenta di ingannare, facendo credere quello che non è!

Ma subito Gesù replica, e mostra l’assurdità di questa opinione: è assurdo pensare che sia Satana a scacciare se stesso! Gesù smaschera l’atteggiamento di queste persone, che nasce da un rifiuto precostituito: chiunque è schiavo delle proprie idee non si lascia convincere neppure dalla realtà dei fatti: io la penso così, e se i fatti mi dimostrano il contrario, tanto peggio per loro!

La conclusione di Gesù è chiara: Cristo è più forte di Satana, e davanti a questa dimostrazione non si può tergiversare, si deve scegliere: o con Cristo o contro Cristo. Gesù precisa alcuni aspetti della lotta contro Satana: questa non finisce mai, il diavolo, una volta cacciato ritorna!

Tutta la nostra vita deve essere un combattimento contro lo spirito del male. Sappiamo che il combattimento c’è, ma non ci deve spaventare: sappiamo che se stiamo con Cristo stiamo dalla parte del più forte, di Colui che ha già vinto!

La missione è compito di tutti i cristiani

Luca riferisce che altri 72 discepoli furono inviati a evangelizzare: il numero delle popolazioni allora conosciute

Luca riferisce che altri 72 discepoli furono inviati a evangelizzare: il numero delle popolazioni allora conosciute

In quel tempo, il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi.
Diceva loro: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada.
In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa!”. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa all’altra.

(Dalla liturgia)

Il brano di vangelo che abbiamo appena letto parla di altri settantadue discepoli. Altri rispetto a chi? Ai dodici apostoli che Gesù aveva inviato in precedenza. Marco e Matteo parlano solo dell’invio degli apostoli, Luca invece ci parla anche di questo invio, di altri settantadue. Come dire che la missione non è riservata al ristretto gruppo dei Dodici, ma è per tutti. Ogni cristiano è tenuto, in modo conforme al suo stato di vita ad essere missionario, ad annunciare il regno di Dio. Settantadue non è un numero scelto a caso: secondo il libro della Genesi è il numero delle popolazioni presenti sulla terra. Come dire che l’annuncio del vangelo è destinato anzitutto al popolo eletto di Israele, ma deve poi raggiungere tutti i popoli.
«Designò», «li inviò». Come per la missione degli apostoli, anche per questi settantadue discepoli Gesù non lascia ad altri la decisione: è Lui che sceglie, che incarica, che manda. Tutto ciò perché risulti chiaro e incontestabile che nel piano di salvezza ogni autentica missione è un dono dall’alto, e che gli uomini non sono salvati dalla iniziativa degli altri uomini, dal loro buon cuore o dalla loro filantropia, ma dall’amore del Padre.
Il Signore ci chiede di pregare perché non manchino operai nella sua vigna. Preghiamo perché gli operai siano sempre fedeli ai comandi che hanno ricevuto. Il discepolo non è chiamato a cambiare il vangelo, con la scusa di adattarlo ai bisogni del nostro tempo, ma è un annunciatore che tenta, magari anche riuscendoci poco, di cambiare se stesso per essere un pochino più conforme al vangelo che non cambia.

La potenza dell’amore

La potenza dell'amore

A compiere opere meravigliose non sono le capacità umane, ma l’amore

In quel giorno, mentre tutti erano ammirati di tutte le cose che faceva, Gesù disse ai suoi discepoli: «Mettetevi bene in mente queste parole: il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini».
Essi però non capivano queste parole: restavano per loro così misteriose che non ne coglievano il senso, e avevano timore di interrogarlo su questo argomento.

(Dalla liturgia)

I discepoli erano ammirati da ciò che faceva Gesù: i prodigi, le guarigioni, gli insegnamenti dati con autorità. E allora subito, per evitare di essere frainteso, Gesù ha messo in chiaro le cose: «il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini».

La vera potenza di Gesù non sta nel guarire dai mali fisici, e nemmeno nel liberare dal demonio. La vera potenza di Gesù sta nell’amore, e l’amore verso di noi si manifesta nel modo più potente e definitivo nell’accettare di essere messo in croce: non c’è amore più grande di chi dona la vita per i suoi amici.

Gesù ci mostra come amare il Padre, obbedendogli, facendo la sua volontà («chi mi ama osserva i miei comandamenti», Gv 14,21) e ci mostra come amare i fratelli, mettendosi al loro servizio fino a donare la vita («nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici», Gv 15,13).

È questo l’amore che Gesù ci mostra e ci comanda, ed è in questo amore che si manifesta la gloria di Dio.

Il “sabato”: il pericolo che la forma superi la sostanza

Il "sabato": il pericolo che la forma superi la sostanza

Gesù ha insistito in modo particolare sul valore della sostanza, e ciò lo ha portato alla Croce

«Domando a voi: in giorno di sabato, è lecito fare del bene o fare del male, salvare una vita o sopprimerla?». E guardandoli tutti intorno, disse all’uomo: «Tendi la tua mano!». Egli lo fece e la sua mano fu guarita.
Ma essi, fuori di sé dalla collera, si misero a discutere tra loro su quello che avrebbero potuto fare a Gesù.

(Dalla liturgia).

Gesù sa che scribi e farisei lo stanno ad osservare per poi trovare qualcosa di cui accusarlo. Gesù non stava facendo nulla di male, anzi stava facendo del bene a persone bisognose, ma il problema stava nel fatto che Gesù faceva queste cose in giorno di sabato.

Alcune scuole rabbiniche ammettevano che in giorno di sabato fosse possibile fare ciò che la legge non permetteva, ma solo in caso di pericolo di vita: per esempio salvarsi da un pericolo con la fuga, oppure assistere una donna colta dalle doglie del parto, o un uomo in grave pericolo di vita.

Gesù non aiuta un uomo in pericolo di vita. Con la sua azione non stabilisce un’eccezione, ma cambia il concetto teologico della norma: la norma è fatta per l’uomo, e non viceversa. È questo che scribi e farisei non sopportano, ed Egli li sfida.

Gesù non si nasconde nel compiere il miracolo, anzi da pubblicità al suo gesto, invitando l’uomo dalla mano inaridita a mettersi nel mezzo. E lo guarisce, scatenando la loro reazione.

Scribi e farisei non si curano che Gesù abbia potuto guarire un uomo con la sola parola. Si intestardiscono sul loro modo di pensare. Non rispondono alla domanda di Gesù.

Tante volte anche noi facciamo così: pensiamo che il nostro modo di vivere e di vedere le cose sia quello giusto, e non ci lasciamo interrogare né dal Vangelo né dalle cose che ci capitano nella vita. Tante volte Dio ci parla attraverso di esse, ma quando non riusciamo a liberarci dalle nostre idee preconcette e dalle nostre false sicurezze non riusciamo a cogliere ciò che la grazia di Dio ci fa capire per correggerci e vivere meglio.

Per non sfociare in menzogna, la Verità non può essere parziale

Per non sfociare in menzogna, la Verità non può essere parziale

Anche demonio e eretici si servono delle “mezze verità”

Da molti uscivano anche demòni, gridando: «Tu sei il Figlio di Dio!». Ma egli li minacciava e non li lasciava parlare, perché sapevano che era lui il Cristo.
(Dalla liturgia).

Perché il Signore non permette ai demòni di parlare? In fondo, pur essendo degli esseri malvagi in questo caso stanno dicendo la verità: «Tu sei il Figlio di Dio!». Ma Gesù li minacciava e impediva loro di parlare. Perché, visto che dicono la verità?

Perché essi quella verità la avrebbero distorta, avrebbero magari tolto o aggiunto magari un particolare, anche piccolo e apparentemente insignificante, ma tale da snaturare il messaggio di Gesù, e di privarlo della sua capacità salvifica. I demòni avrebbero fatto quello che da duemila anni fanno gli eretici: non negare del tutto la verità del vangelo, ma negare qualche aspetto, magari uno solo, magari apparentemente insignificante.

La verità che Cristo, attraverso la Chiesa, ci annuncia, per aiutarci in questa vita e permettere di salvarci, deve essere accolta, custodita ed annunciata tutta intera. La fede per essere efficace, deve essere omologa in ogni suo aspetto a quella professata dagli apostoli.

A tal proposito dice sant’Agostino: «in molti punti gli eretici sono con me, in qualche altro no, ma a causa di questi pochi punti in cui separano da me non serve loro a nulla di essere con me in tutto il resto».

Chiediamo al Signore di mantenerci saldi nella fede che Cristo ci ha rivelato, la sola che può darci la salvezza ed aprirci le porte della vita eterna.