Io sono la luce del mondo

Io sono la luce del mondo

Camminare nella luce

Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita».

Seguire Gesù significa vivere nella luce. Chi non segue Gesù, chi non ascolta la sua parola, chi non la mette in pratica, cammina nelle tenebre.

Chi cammina nelle tenebre non sa dove si trova, dove sta andando, cosa sta succedendo intorno a lui. Può intuire qualcosa, ma certamente le tenebre non aiutano a comprendere cosa sta succedendo.

Vivere senza ascoltare e mettere in pratica la parola, la parola che troviamo nella sacra scrittura (e nel magistero autentico della Chiesa che la interpreta secondo verità) ci porta ad allontanarci dalla luce, a non comprendere il senso del nostro vivere, a lasciarci sopraffare dalle difficoltà, a perdere la pace e la gioia di vivere.

Scegliere di vivere nella luce del Signore, anche se talvolta comporta rinuncia e sacrificio, ci aiuta a vivere meglio in questa vita, ad affrontare le difficoltà e i problemi con maggiore serenità, e soprattutto ci guida alla vita eterna.

“Costui sappiamo di dov’è…” (Gv 7,1-2.10.25-30)

“Costui sappiamo di dov’è…” (Gv 7,1-2.10.25-30)

Quando ciò che crediamo di sapere non ci fa capire

La grande difficoltà che impedisce ai Giudei di conoscere Gesù è, paradossalmente, quello che sanno o credono di sapere: “Costui sappiamo di dov’è…”.
E proprio questo “sapere” impedisce loro di riconoscere la realtà più vera e profonda. Il Cristo non viene da se stesso, ma è mandato, è inviato da Colui che solo lui conosce, il Padre.
Agli occhi dei Giudei le cose che già sanno appaiono così importanti e determinanti che non si lasciano nemmeno affascinare da queste parole di Gesù: c’è una realtà, quella del Padre, che solo lui può raccontare, può portare a conoscenza, sulle strade dell’ascolto e dell’amore. Ma non sembrano interessati a incamminarsi su questa strada, quello che sanno, o credono loro di sapere, chiude loro il cuore.
Noi invece chiediamo a Gesù di donarci un cuore che ascolta e così la nostra vita si apre alla conoscenza, e la conoscenza all’amore.
Gesù è venuto a portarci una conoscenza nuova, che illumina e schiude il nostro cuore al mistero di Dio, al cammino della Pasqua, alla sapienza della Croce.
È lo stesso evangelista che ci ricorda:
“Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato” (Gv 1,18).

La Chiesa è piscina di accoglienza, indipendentemente dal sacerdote

La Chiesa è piscina di accoglienza, indipendentemente dal sacerdote

Gesù guarì il paralitico che non poteva entrare nella piscina per purificarsi

Nel mondo c’è una grande piscina le cui acque hanno un potere soprannaturale. Sai qual è il nome di questa piscina?

Te lo dico subito io: CHIESA.

Non credere a quelli che dicono: amo Gesù, ma non la Chiesa. Ciò ovviamente viene detto per ignoranza.

Le persone che dicono di non amare la Chiesa ignorano e pensano subito al clero. La gerarchia, come te, fa parte della Chiesa, cioè del corpo mistico di Cristo che continua a salvare e guarire l’umanità nella Chiesa e con la Chiesa. Il compito del clero è quello di buttarti nelle acque vive della Chiesa.

Purtroppo ci sono sacerdoti che non hanno nessun interesse di farti conoscere Cristo, Medico dell’anima e del corpo. Così molta gente vive fuori dalla Chiesa, rimanendo nella sua cecità, sordità, mutismo e paralisi.

C’è ancora un altro peccato commesso da alcuni del clero. Il loro operato non è quello di attirarti nella rete della Chiesa, ma a sé per saziarsi della stima della comunità.

Ecco perché ci sono molti cattolici che vivono nella Chiesa senza essere guariti dalle loro ferite perché credono che sia il loro sacerdote colui che guarisce.

Il MEDICO è Cristo e i sacerdoti sono gli infermieri di Cristo che amministrano le medicine per la guarigione delle infermità umane, soprattutto per quelle spirituali causate dai peccati commessi.

La Chiesa, come piace a me definirla, è un ospedale dove il Battesimo, l’Eucarestia e la Confessione sono i Sacramenti attraverso i quali Gesù continua a operare guarigioni dell’anima e del corpo.

Una volta chiesi a una donna: “Chi ti ha guarita dalle tue ansie, paura e fobie?” Ed ella mi rispose: “La Parola di Dio, l’Eucarestia quotidiana e la Confessione. Però, io so che se mi allontano dalla Chiesa ritornerò ad essere peggiore di prima”.

Chi ama la Chiesa ama Cristo ed è disposto a dare la vita per la Chiesa. Non dimenticare che il peccato è la causa di tante infermità fisiche e morali. In questa Quaresima mettiti a nuotare nelle acque vive del Sacramento della Riconciliazione.

Il pubblicano e il fariseo (Lc 14,9-18)

Il pubblicano e il fariseo (Lc 14,9-18)

Quando la preghiera del fariseo perde significato?

Il fariseo prega, e questa è una cosa buona.

Prega nel tempio, nel luogo stabilito da Dio, nel luogo della preghiera pubblica, e anche questa è una cosa buona, non si affida a una religiosità «fai da te».

Ringrazia: è molto bello che nel suo cuore vi sia un sentimento di gratitudine verso Dio.

Dov’è che la preghiera del fariseo comincia a fare acqua? Quando comincia a fare paragoni e a giudicare gli altri uomini, gli altri uomini in generale e (peggio ancora!) l’altro uomo in particolare, presente accanto a lui nel tempio.

Soprattutto la preghiera del fariseo ha un grosso difetto: finge di glorificare Dio ed invece è tesa ad esaltare se stesso, in particolare paragonandosi ad altre persone e dando giudizi pesanti su di loro.

È come se una ragazza si mettesse allo specchio e dicesse: «Signore ti ringrazio perché sono davvero bella, non come le mie amiche!».

La preghiera è vera, è buona, ci fa bene, se mette al cento il Signore. Anche la liturgia è vera, è buona e ci fa bene se celebra il Signore, e se lo celebra come Lui vuole essere celebrato.

Quando invece la preghiera, anche la preghiera della liturgia, celebra noi, celebra la nostra persona, celebra la nostra comunità, non è più preghiera, e non ci rende migliori.

L’umiltà nel trasmettere la Parola

L'umiltà nel trasmettere la Parola

I pensieri di Dio non sono i nostri pensieri, le Sue vie non sono le nostre vie

Talvolta noi preti, ma non solo noi, chiunque ha il compito di insegnare e trasmettere la fede – pensiamo ai catechisti, ma pensiamo soprattutto ai genitori e ai nonni, che sono le persone da cui i più giovani apprendono i primi rudimenti della fede – siamo tentati, quando parliamo di Dio, oppure anche delle cose importanti della nostra vita, di non attenerci alle sacre scritture e al magistero costante della Chiesa cattolica (il solo che interpreta la sacre scritture secondo verità), ma di fare di testa nostra, di trasmettere, invece che la parola di Dio, i frutti del nostro piccolo buon senso, facendo, come direbbe il Manzoni, del nostro cervello il Cielo.

Dimentichiamo così che, come dice la sacra scrittura, i nostri pensieri non sono i pensieri di Dio, e che come il cielo è alto sulla terra, così le vie di Dio sono superiori alle nostre.

Trasmettere noi stessi, i nostri pensieri, la nostra sensibilità, serve a ben poco, se tutto questo non è vincolato alla parola di Dio e all’insegnamento costante, bimillenario della Chiesa.

Chiediamo al Signore di darci l’umiltà necessaria a riconoscere che è nella parola di Dio e non nel nostro piccolo buon senso che possiamo trovare il senso della nostra vita e la felicità.

Gesù ci insegna ad andare avanti nonostante i fallimenti

Gesù ci insegna ad andare avanti nonostante i fallimenti

Ogni rifiuto è occasione per ampliare i nostri orizzonti

“…egli passando in mezzo a loro, si mise in cammino.” (Lc 4,24-30)

Iniziamo questa terza settimana di Quaresima.
Mi stupisce come, in particolare negli scritti di Luca, ogni fallimento, sia sempre occasione di riprendere il cammino, e si apre sempre di più verso orizzonti insperati. Questo è molto chiaro nel libro degli Atti degli Apostoli: a ogni rifiuto, a ogni persecuzione, l’attività missionaria dei discepoli di Gesù invece di tornare indietro e battere in ritirata, si amplia sempre di più, su strade e rotte che solo lo Spirito conosce. Riceve da ogni rifiuto come una forza propulsiva inaspettata.
E così accade per Gesù, rifiutato dai suoi e dalla sua piccola patria di Nazareth si mette in cammino … inizia il suo ministero e, passo dopo passo, il suo raggio di azione si apre sempre di più, la Galilea e i galilei, la Giudea e i giudei, Gerusalemme e i suoi abitanti, ma anche i pubblicani, le folle che lo raggiungono da ogni luogo, il centurione, la peccatrice, l’emorroissa, il racconto del samaritano, il lebbroso samaritano, Zaccheo, ricco e pubblicano, fino a quel malfattore incontrato sulla croce, nel cuore stesso del rifiuto e dell’abbandono.
Gesù si mette in cammino e incontra un’umanità che chiede di essere radunata e ascoltata e sempre la parola precede i suoi passi.
Anche noi allora vogliamo metterci in cammino, passando attraverso la violenza, il rifiuto, la gelosia con il desiderio di incontrare in ogni uomo il riflesso della gloria di Dio. Un appello a lasciar cadere i recinti dove abbiamo sequestrato le nostre false sicurezze e il vero amore di Dio.

Perdoniamo per essere perdonati

Perdoniamo per essere perdonati

Il metro del perdono lo costruiamo noi stessi

L’atteggiamento benevolo verso gli altri uomini, il dovere di perdonare chi ci ha fatto e chi ci fa del male non nasce dal fatto che gli altri, in particolare chi ci fa del male, meriti qualcosa di buono da noi.

Spesso chi ci offende non merita proprio il nostro perdono né la nostra benevolenza.

Dobbiamo perdonare gli altri perché Dio perdona noi. Il motivo è solo questo.

Se noi non riusciamo a capire che Dio ci perdona, perché pensiamo di non avere mai fatto nulla di grave, perché pensiamo che i peccatori siano solo gli altri (e questo oggi è un modo di pensare molto diffuso) allora non riusciremo a perdonare chi ci fa del male.

Ma non riusciremo a gustare nemmeno il perdono del Signore, perché abbiamo perso il senso del peccato e pensiamo, a torto, di non avere nulla da farci perdonare.

Ricordiamo questo quando qualcuno ci fa qualche torto: il Signore nel giudicarci userà con noi lo stesso metro che usiamo con i nostri fratelli.

Il segno di Giona

Il segno di Giona

La possibilità della conversione è data a tutti.

Il segno di Giona è il segno del profeta che – strappato alla morte – appare ai niniviti per predicare la conversione. Il suo segno è un richiamo alla conversione: in Giona – del resto – vi è anche la conversione del profeta!

Luca scrivendo ai cristiani che giungono dal paganesimo ricorda che – come i niniviti – è data anche a loro e a tutti la possibilità e l’appuntamento con la conversione. Questa parola è per voi, sembra dire ai suoi cristiani!
E anche noi siamo questa generazione, cocciuti a chiedere segni che giustifichino la nostra fede e meno interessati a vedere che il Signore è già all’opera e silenziosamente ci mostra tutta la sua forza di amore per noi.
Non occorrono segni per credere ma occorre credere – cambiare radicalmente la nostra prospettiva – per vedere i segni che la grazia di Dio compie nella nostra vita.

E il mistero pasquale di Gesù, il suo abbandono fiducioso al Padre, è il segno più grande che ci è dato.
Come ci ha ricordato il libro di Giona il segno più grande per gli uomini è il cuore del Padre, il suo perdono, la sua disponibilità a cambiare idea per noi: “Dio vide le loro opere… Dio si ravvide riguardo al male che aveva minacciato di fare loro e non lo fece”. Per questo ci ha donato il suo Figlio, il segno di Giona.

Scorciatoie

Scorciatoie

Le insinuazioni del diavolo sono scorciatoie

Dobbiamo tornare sulle rive del fiume Giordano per capire cosa accade nel deserto. Ricordate lo Spirito Santo che scende su Gesù? Ricordate le parole della “voce dal cielo”?
“Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento”.

Gesù, pieno di Spirito Santo, è guidato dallo Spirito nel deserto e lì è tentato dal diavolo. Gesù è tentato non perché in lui nasce il desiderio di commettere il male, di fare ciò e è proibito, ma per manifestare ciò che di più profondo c’è in lui. Lui è radicalmente il Figlio di Dio, il Figlio amato!

Ora la testimonianza che il Padre gli ha reso al Giordano viene “provata” dal diavolo: da colui che cerca di dividere i figli dal progetto d’amore del Padre, e che osa tentare di separare “il” Figlio dal Padre, spezzare il loro rapporto d’amore che è lo Spirito.

Il diavolo obbliga in un certo senso Gesù a riappropriarsi della strada che porta al compimento e alla testimonianza del suo essere Figlio.
A sceglierla e a farla sua definitivamente e con determinazione.

L’insinuazione del diavolo è sempre la stessa: è possibile una scorciatoia.
«Caro Gesù – dice il diavolo – c’è una strada più breve, più facile e più corta che ti permette di essere quello che desideri. Vuoi essere figlio di Dio? Ti dicono di esserlo? Non è necessario che tu percorri una strada di obbedienza, di pazienza, di tenacia, di servizio, di amore… c’è un’altra strada che permette “di realizzarti”».


Ecco le tre scorciatoie.

⛔ La scorciatoia del “prima io”.
Gesù ha fame e il diavolo gli ricorda che il Figlio di Dio ha un potere che gli permette di trasformare qualunque cosa, pure le pietre, per soddisfare i propri bisogni. Come se il Figlio di Dio fosse il figlio di Re Mida, che trasforma in oro tutto quello che tocca, le pietre in pane!
Ma Gesù dice che questa scorciatoia non la percorrerà mai.
Lui non ha fame del pane degli uomini ma cerca il pane della parola del Padre suo. Lui non ha fame per prendere ma per donare, per donarsi, lui stesso, come pane. Prima di sé il Figlio di Dio mette gli altri. È questo il pane vero di cui vive l’uomo.
Il Figlio di Dio in questa Quaresima mostra agli uomini la strada del digiuno, di ogni tipo, per essere anch’essi, come lui, figli di Dio.

⛔ La scorciatoia del potere.
Il diavolo porta Gesù in alto per vedere ogni regno della terra, in un instante: un colpo d’occhio di potere. E gli dice che il Figlio di Dio può possedere tutto, a costo di una piccola rinuncia: la sua libertà.
Gesù sa che il Figlio di Dio avrà ogni cosa dal Padre suo, intravede che il percorso sarà difficile, in salita, ma che ne vale la pena perché percorrendo il sentiero senza pericolose scorciatoie può gustare la misericordia del Padre suo, la sua tenerezza, facendosi strumento di questo amore. E sa che il Padre non tradirà mai la sua libertà, anzi!
Gesù dice chiaramente al diavolo che non percorrerà nemmeno questa scorciatoia.
Il Figlio di Dio si fida del Padre suo e non teme di inoltrarsi in un cammino che conoscerà i passi del servizio fino a un’obbedienza che è frutto di amore e libertà e non di costrizione.
Il Figlio di Dio in questa Quaresima mostra agli uomini la strada dell’elemosina, del servizio, della dedizione per essere anch’essi, come lui, figli di Dio.

⛔ La scorciatoia dell’autonomia.
Gesù è sul punto più alto del tempio, una vertigine di quasi settanta metri dal suolo. Il diavolo ricorda a Gesù che, in definitiva, se è figlio di Dio può fare quello che vuole perché il Padre “deve” proteggerlo. Ma il Figlio di Dio sa che nel suo cuore c’è una fiducia che non ha bisogno di essere messa alla prova. Anzi il Figlio percorre la sua strada non per mettere alla prova il Padre ma per aderire pienamente al suo disegno di amore.
Non segue la scorciatoia delle altezze, della visibilità, ma segue la strada bassa della dedizione, del servizio, dell’obbedienza fiduciosa al Padre che lo porterà fino al punto più alto del dono: fino alla Croce.
Il Figlio di Dio in questa Quaresima mostra agli uomini la strada della preghiera, dell’abbandono fiducioso del Padre, la possibilità di vivere una vita piena di Spirito Santo, per essere anch’essi, come lui, figli di Dio.

La Quaresima è il tempo per riconoscere le scorciatoie che ci portano lontano dalla strada del Figlio di Dio, le scorciatoie che ci conducono a negare la nostra umanità.
Nelle scorciatoie del “prima io”, del potere e dell’autonomia il mondo si schianta nella violenza, nell’odio, nella guerra. E non occorrono altre parole, bastano le immagini, le grida, il sangue che nuovamente invade l’Europa.

Occorre seguire la strada del Figlio, siamo più simili a lui di quello che potremmo immaginare: anche noi figli, anche noi ricolmi di Spirito fin dal nostro Battesimo, anche noi figli amati dal Padre.

Il divisore è tornato da Gesù al momento prefissato, nel momento del dono di sé, ed è stato vinto definitivamente, una volta per tutte.

Siamo i figli di quella vittoria.
Perché dargli ancora ascolto?

I tre appelli della Quaresima

I tre appelli della Quaresima

Ritornate, lasciatevi riconciliare, state attenti

La Quaresima si apre con tre appelli.

“Ritornate!”


L’appello che Dio pone sulle labbra del profeta si rivolge a un’umanità dispersa, brancolante. Un’umanità che, smarrita la strada del bene, in balia di se stessa, ripiegata sui propri tornaconti, si scopre votata all’autodistruzione.
La strada del ritorno – senza tanti giri di parole – è la strada del pentimento. Per ritornare dobbiamo riconoscere di essere radicalmente fuori strada. Persi in incontri trasformati in scontri, smarriti in un odio senza fine che pensavamo di aver dimenticato.
Per ritornare occorre ritrovare l’orientamento radicale, il punto fermo. Lasciarci attrarre dal punto magnetico che fa drizzare gli aghi verso il nord del bene, verso l’alba del futuro.
“Ritornate a me”: è la riscoperta del Dio “misericordioso e pietoso, lento all’ira, di grande amore, pronto a ravvedersi riguardo al male”.
La Quaresima è la strada del ritorno. Rispondiamo all’appello che ci viene rivolto mettendoci in cammino verso Dio, verso il Padre. Siamo pronti a vivere il nostro esodo da noi e le nostre perversioni? Questo appello diventa invito per un popolo intero, per i popoli, per l’umanità.
“Venite, ritorniamo al Signore, e tu, Signore, perdona le nostre colpe!”.
“Ritornate” ripete il Signore geloso. “Ritornate e sappiate che non sono seduto sulla soglia di casa ad attendere il ritorno dei figli che si sono persi nell’odio come un padre accigliato e risentito ma già sto muovendo i miei passi di compassione incontro a voi!”. Sono passi di misericordia!
Ecco il primo appello: “ritornate!”

“Lasciatevi riconciliare!”


È l’appello che l’Apostolo ci rivolge in nome di Cristo. Lasciatevi riconciliare è l’appello che viene rivolto a un’umanità divisa, separata da fazioni, un’umanità segnata dalla guerra disastrosa dei missili e delle bombe e dalle contese striscianti delle recriminazioni quotidiane, dalle insoddisfazioni generalizzate, dalle lamentazioni dei vittimismi cronici.
Capaci di riconciliazione perché radicalmente riconciliati!
E allora ecco la forza dell’appello che squarcia il nostro mondo di peccato, che smaschera ogni alibi. Lasciatevi riconciliare perché c’è un dono da ricevere, c’è un perdono da vivere. C’è un momento favorevole che trasforma il tempo degli uomini. Una parola nuova è stata già pronunciata, un tempo favorevole è già iniziato, Dio ha preso l’iniziativa: il peccato, il segno evidente della nostra morte, è stato preso da Gesù, lui è stato fatto peccato per trasformarci in giustizia di Dio.
L’appello dell’Apostolo, annunciando l’opera di Dio in Cristo, diventa il compito della chiesa e di una comunità cristiana: l’impegno rinnovato per i discepoli di Cristo ad essere segno di riconciliazione, impegno di pace, tessitori di fraternità.
Ecco il secondo appello: “lasciatevi riconciliare!”

“State attenti!”


Il terzo appello viene direttamente da Gesù, dalle sue stesse labbra! “State attenti” sono le parole che Gesù usa per instillare nel nostro cuore l’arte della vigilanza. “State attenti”, qui, diventa l’appello a non trasformare gesti che dovrebbero dire una relazione intima con il Signore, in altro, nella nostra glorificazione, nella giustificazione di noi stessi.
“State attenti” è l’invito a scandagliare con accuratezza il nostro cuore, le nostre intenzioni, i nostri desideri più profondi… sono orientato a “io” o a “Dio”? Serviamo il Signore o ci serviamo di lui (o della sua caricatura)?
Siamo umili discepoli nell’ascolto oppure orgogliosi maestri nell’apparenza?
Fate attenzione – dice Gesù – a non realizzare la vostra giustizia davanti agli uomini. Questo appello è rivolto in particolare a noi, discepoli di Gesù. Facciamo attenzione che i nostri gesti di fede aprano una strada di intimità con Dio, anzi, facciamo attenzione che pregando, digiunando, compiendo gesti di condivisione sia Lui stesso – attraverso il dono del suo Spirito – ad operare in noi. E così la giustizia che Dio opera in noi porterà non solo il segno visibile di un pentimento ma frutti veri di conversone. Un cuore nuovo.
Ecco il terzo appello: “State attenti!”

È così che si apre la nostra Quaresima, con tre appelli che vengono dal cuore di Dio: “Ritornate!”, “Lasciatevi riconciliare!”, “State attenti!”.

Dio non cessa di rivolgersi all’uomo perché non smette di credere che proprio l’uomo da lui amato è capace di bene, nonostante le fatiche e i tradimenti che Gesù stesso ha sperimentato in prima persona.
Il Padre di Gesù Cristo non smette di guardare al cuore dell’uomo e al mondo come a un campo in cui continuare a seminare, con generosità, semi di bene. E così ci invita a prenderci cura di questo straordinario e, al tempo stesso, povero campo, a iniziare dal tempo favorevole di questa Quaresima: “in questo tempo di conversione, trovando sostegno nella grazia di Dio e nella comunione della Chiesa, non stanchiamoci di seminare il bene. Il digiuno prepara il terreno, la preghiera irriga, la carità feconda” (papa Francesco).

Gli appelli di Dio, in un mondo infuocato e insanguinato, trovino ascolto, portino frutti di conversione, frutti di pace!

E sarà Pasqua, sarà vita nuova!