Le sue vie non sono le nostre vie: il corpo come mezzo di per giungere alla vita eterna
«Non avete letto questa Scrittura: “La pietra che i costruttori hanno scartato è diventata la pietra d’angolo; questo è stato fatto dal Signore ed è una meraviglia ai nostri occhi”?». (Dalla liturgia).
Se chiedessimo ad un certo numero di persone quale è il beneficio maggiore ricevuto dal paralitico del brano di vangelo che abbiamo appena ascoltato, possiamo essere sicuri che la quasi totalità direbbe che è stata la guarigione fisica. Dalla lettura del brano però Gesù sembra non pensarla così.
La prima cosa che fa, quando vede il paralitico, è dire: «ti sono rimessi i tuoi peccati». Gesù ha operato la guarigione fisica solo dopo, e specifica che è stata operata per dimostrare che Egli ha il potere di rimettere i peccati.
Non è la guarigione fisica il primo pensiero di Gesù. Egli ritiene la liberazione del peccato la cosa più importante. La paralisi del corpo impedisce il normale svolgersi della vita, interrompe o indebolisce i rapporti tra gli arti e il cervello, ma il peccato è qualcosa di peggio, che paralizza la vita dello spirito, che interrompe, o indebolisce, il rapporto con Dio. La paralisi del corpo esclude da una completa fruizione della vita di questo mondo, il peccato, come ci dice la prima lettura, può escluderci dalla vita eterna.
Oggi generalmente non si pensa che il peccato faccia male. Quando si dice che oggi si è perso il senso del peccato, si intende dire che abitualmente non pensiamo che non osservare gli insegnamenti che Dio ci ha dato sia qualcosa di negativo. Siamo abituati a pensare che il peccato non abbia conseguenze: «ognuno è libero di fare quello che vuole», si pensa generalmente. L’unico limite alla mia libertà è il rispetto della libertà altrui, ma una volta che non ledo i diritti degli altri, posso fare quello che voglio.
Non è così: il peccato fa male, e può uccidere. Non il corpo ma l’anima. Il peccato lieve (veniale) indebolisce la grazia di Dio in noi, il peccato grave (mortale) la uccide addirittura. E noi lo dobbiamo temere più di ogni altra cosa, perché non dobbiamo temere coloro che uccidono il corpo, ma colui che può far perire il corpo e l’anima (Mt 10,28).
Il Signore opera raramente una guarigione fisica, succede ma è raro. Egli invece ci guarisce dal peccato ogni volta che, pentiti e disposti a cambiare, glielo chiediamo. Anzi, ha istituito un rimedio semplice, facilmente fruibile per guarirci da quella malattia dell’anima che è il peccato: il sacramento della confessione. E per questo è opportuno farne uso, farne un uso serio e frequente.
Oggi in pochi si confessano, ancora meno sono coloro che si confessano bene. È una conseguenza della perdita del senso del peccato. Non crediamo di avere nulla da rimproverarci davanti a Dio. Ma questo non ci rende più liberi, più sereni. Anzi.
In modo direttamente proporzionale alla perdita del senso del peccato aumenta il senso di colpa. Senso del peccato e senso di colpa sono due cose diverse: il primo è la consapevolezza di avere mancato alla legge di Dio (ho bestemmiato, ho perso Messa alla domenica, ho mancato contro la purezza…), l’altro è il senso di insoddisfazione generico e inconcludente che nasce da un senso di inadeguatezza (non sono una buona madre, sono una cattiva persona…).
Il senso del peccato è positivo, ci aiuta a chiedere perdono, a migliorarci, a guarire. Il senso di colpa è negativo: ci rende ansiosi e insicuri. Quando in una persona viene meno il senso del peccato, ecco che generalmente aumenta il senso di colpa.
Perdere il senso del peccato non solo mette in pericolo la vita eterna, facendoci vivere abitualmente in peccato mortale, ma rovina la nostra esistenza terrena, rendendoci schiavi di inutili e distruttivi sensi di colpa.