L’accusa all’adultera serviva anche per mettere in difficoltà il messaggio di misericordia di Gesù
Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo. Allora Gesù si alzò e le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». Ed ella rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù disse: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più» (Dalla liturgia).
La scena di questo brano di Vangelo si apre nel tempio di Gerusalemme. Gesù sta insegnando quando, all’improvviso, compare un gruppo di scalmanati: sono scribi e farisei che hanno trovato una donna mentre stava tradendo il marito, e non sembra loro vero di poterla usare per mettere in difficoltà Gesù. Questa donna si trova in grave imbarazzo: evidentemente è colpevole, viene umiliata, messa in mezzo. Si trova in una situazione di grave disagio.
Dicevamo che scribi e farisei approfittano di questa donna per mettere in difficoltà Gesù. Perché lo mettono in difficoltà? Perché se Gesù avesse affermato che era giusto lapidarla, come previsto dalla legge di Mosè, allora si sarebbe potuto dire: «dov’è tutta la tua misericordia, il tuo amore per i peccatori?». Se invece avesse detto di lasciarla andare, allora sarebbe stato facile accusarlo di aver trasgredito la legge di Mosè.
Gesù ribalta la situazione: non risponde subito. Scrive per terra. Cosa scrive? Il Vangelo non lo dice. Alcuni commentatori dicevano che scrivesse i peccati di quegli scribi e farisei che gli avevano portato la donna. Forse invece era solo un modo per non mettere in ulteriore imbarazzo la donna, guardandola in faccia. Fatto sta che non risponde, ma rilancia l’accusa a scribi e farisei: «chi è senza peccato scagli la prima pietra».
Tutti hanno peccato, non solo quella donna, e tutti hanno bisogno della misericordia del Signore. Infatti nessuno lancia la pietra, ma se ne vanno, a cominciare dai più vecchi, forse perché avevano più peccati.
Il Signore non ha approfittato della situazione per fare una catechesi sul peccato. Ha cercato anzitutto il bene di quella donna. Per prima cosa l’ha salvata dalla lapidazione, e poi l’ha congedata senza umiliarla, senza accusarla, ma facendole comunque capire che il peccato è un male che rovina la vita a noi e agli altri, e per questo va evitato: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più».
«Neanch’io ti condanno». Il Signore non ci condanna quando pecchiamo, cerca in tutti i modi di recuperarci, finché ci è dato tempo per farlo. Il Signore vuole salvarci, non vuole che ci perdiamo nella dannazione eterna. Per questo non ci condanna. Ma per questo ci fa anche capire che dobbiamo sforzarci di cambiare, di non peccare più. «Vai e non peccare più».
Il peccato fa male, a noi, agli altri e a Dio. Uccide la grazia di Dio in noi, quel flusso d’amore e di vita che il Padre ci dona. Per questo è necessario cercare, con l’aiuto di Dio, di non peccare. Ma è necessario soprattutto stare attenti a non fare come quegli scribi e i farisei che hanno trascinato la donna da Gesù: pensare cioè che i peccatori siano solo gli altri, che noi in fondo non facciamo niente di male. Se noi pensiamo così (e noi spesso, per non dire quasi sempre, pensiamo così!) non riusciamo a pentirci e a migliorare, ma ci limitiamo a considerare i peccati degli altri senza pensare ai nostri.
Gesù ci ammonisce: non solo di non tirare le pietre, cioè di non giudicare gli altri, ma ci invita a ricordare di essere peccatori, di tenerlo presente. Non ritenersi giusti, capire che abbiamo sbagliato è il primo passo per convertirci, per cambiare, per mettere il Signore nelle condizioni di perdonarci.