Un atteggiamento di autocompiacimento rende sterile la preghiera
«Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato» (Dalla liturgia).
Il fariseo prega, ed è una cosa buona.
Prega nel tempio, nel luogo stabilito da Dio, nel luogo della preghiera pubblica, e anche questa è una cosa buona, non si affida a una religiosità «fai da te».
Ringrazia: è molto bello che nel suo cuore vi sia un sentimento di gratitudine verso Dio.
Dov’è che la preghiera del fariseo comincia a fare acqua? Quando comincia a fare paragoni e a giudicare gli altri uomini, gli altri uomini in generale e (peggio ancora!) l’altro uomo in particolare, presente accanto a lui nel tempio.
Soprattutto la preghiera del fariseo ha un grosso difetto: finge di glorificare Dio ed invece è tesa ad esaltare se stesso, in particolare paragonandosi ad altre persone e dando giudizi pesanti su di loro.
È come se una ragazza si mettesse allo specchio e dicesse: «Signore ti ringrazio perché sono davvero bella, non come le mie amiche!».
La preghiera è vera, è buona, ci fa bene, se mette al cento il Signore.
Anche la liturgia è vera, è buona e ci fa bene se celebra il Signore, e se lo celebra come Lui vuole essere celebrato.
Quando invece la preghiera, anche la preghiera della liturgia, celebra noi, celebra la nostra persona, celebra la nostra comunità, non è più preghiera, e non ci rende migliori.