Il Signore non chiama a caso, ma con spirito d’amore
«In quei giorni, Gesù se ne andò sul monte a pregare e passò tutta la notte pregando Dio. Quando fu giorno, chiamò a sé i suoi discepoli e ne scelse dodici, ai quali diede anche il nome di apostoli». (Dalla liturgia)
«Ne scelse dodici, ai quali diede anche il nome di apostoli». La parola apostolo, nella lingua greca dalla quale questo termine deriva, significa inviato. Gli apostoli vengono identificati, anche nel nome, con la loro missione.
La missione per il Signore riguarda tutta la vita, non è un incarico part-time. Al Signore interessiamo noi, non tanto fare delle cose (che potrebbe benissimo fare Lui, e molto meglio di noi!).
La chiamata del Signore è anzitutto un segno di stima, di fiducia, immeritata. E c’è un rapporto particolare, unico, con ogni discepolo. Infatti non si dice che Gesù abbia creato un gruppo di soggetti con questa o quella caratteristica, ma chiama delle persone precise, individuate con un nome.
Al Signore, prima di quello che riusciamo a fare per Lui, interessiamo noi. A Lui interessa che noi, anzitutto, rimaniamo nella sua amicizia, nel suo amore.
L’attività apostolica è una conseguenza di questo rapporto. È dal rapporto d’amore con il Signore che nasce ogni attività ecclesiale, ogni attività di apostolato. Senza un vero rapporto con il Signore il darsi da fare per la Chiesa è solo aria fritta.