Il suo nome, Amosyah, significa “Dio solleva”.
In uno degli articoli precedenti abbiamo trattato della figura dei profeti biblici in generale. Cerchiamo ora di approfondire insieme le biografie e i messaggi teologici che essi hanno lasciato.
Teniamo conto del fatto che i profeti della Bibbia non sono da considerare indovini o veggenti. Una bella definizione la troviamo in Dt 18,18: “Io susciterò loro un profeta in mezzo ai loro fratelli e gli porrò in bocca le mie parole ed egli dirà loro quanto io gli comanderò“. Il profeta quindi, in ambito biblico differisce dalle accezioni comuni: è colui che ascolta la voce di Dio leggendo il passato e interpretando il presente. Il suo scopo è quello di riportare il popolo alla Parola di Dio, affinché non si verifichino conseguenze tragiche.
Amos nacque a Tekoa (Tequ), un villaggio situato tra Gerusalemme e Betlemme. Era un pastore che praticava anche l’arte di incisore di sicomori, e questa sua seconda attività spiega la sua propensione per il nord. È uno dei “profeti minori”, definiti tali non per minore importanza teologica, ma perché di loro abbiamo un numero inferiore di scritti.
Iniziò a profetare presumibilmente nel 760 a.C. circa. Descrive infatti il terremoto che formò la Valle di Ebron, avvenuto proprio in quell’anno.
Di lui sappiamo seppure in modo approssimato, l’anno di morte, che avvenne nel 745 a.C. circa. Si desume quindi che le sue profezie furono pronunciate in un momento in cui al nord regnava Geroboamo II, e al sud Otsia.
Era un periodo di benessere diffuso, anche se si poteva notare un’enorme sperequazione tra i ceti, tale da essere equiparata dal profeta all’idolatria.
Il culto risentiva di atteggiamenti ipocriti, con una religiosità soprattutto esteriore. Erano molti, inoltre, quelli che adoravano divinità straniere, come ad esempio Baàl (= il padrone).
Il messaggio di Amos suonava duro alle orecchie degli israeliti e dei giudei, e valse al profeta l’appellativo di “ruggito di Dio” (utilizzò questo verbo in relazione alla voce di Dio e del leone), e di “profeta di sventura. Tuttavia San Girolamo definì il suo stile inesperto per la presenza di impulsività e veemenza.
Si definiva “incaricato da Dio” e da questo traspare una delle caratteristiche del vero profeta, il quale non è mai auto-referenziale.
Il testo
Alcuni studiosi hanno ritenuto e altri ritengono il testo scritto interamente, o come Schökel in buona parte scritto direttamente da Amos. Tuttavia molti periodi sono incompatibili col periodo storico in cui visse il profeta.
È da rimarcare che nell’antichità la pseudo-epigrafia non era ritenuta un reato, ed era una pratica molto diffusa. Ciò fece sì che i testi antichi potessero essere integrati o approfonditi dai discepoli dell’autore.
Gli inni che si trovano ai capitoli 4, 5 e 9 sono stati certamente aggiunti dai discepoli a scopo liturgico.
Il genere letterario prevalente è quello oracolare. Troviamo però larghe tracce degli stili del paragone e della metafora che sono tipicamente sapienziali, e quindi successivi.
Non possiamo non notare l’utilizzo diffuso di tre verbi, ovvero Yadà, Šub e Daraš, ovvero conoscere, ritornare e cercare, che ci rimandano al messaggio teologico. Abbiamo inoltre un utilizzo notevole di hapax legòmina (termini utilizzati per la prima volta nelle Scritture), e di espressioni idiomatiche.
Amos si concentra sull’oppressione dei deboli, sulle scelte politiche e morali sbagliate dei re nonché sull’ipocrisia, la falsa moralità e il culto
esteriore del popolo. Riassume in queste accezioni la colpa di Israele.
Avverte che l’appartenenza al popolo di Dio non è più sufficiente per la salvezza, e occorre tornare (šub) a Dio attraverso la sua giustizia e misericordia (yadà). Il futuro va edificato sul “resto di Israele”, ovvero su coloro che hanno sempre continuato e continuano a cercare (daraš) Dio.
Il libro è strutturato in modo classico relativamente al profetismo biblico. Contiene infatti:
- Introduzione (cap. 1 e 2)
- Raccolta di oracoli contro le 7 (numero significativo) nazioni straniere, caratterizzata dalle formule “Così parla il Signore”, “Oracolo del Signore”;
- Raccolta di oracoli contro Israele se non si converte. La formula è: “Guai …”;
- Conclusione (9,11-15).
Suggestive le visioni di Amos, che il profeta vive senza cadere in estasi (oggi diremmo “trance”):
Cavallette, siccità, armi di minaccia, fine di Israele, crollo del tempio. Su queste disgrazie il profeta disse di aver potuto intervenire presso Dio affinché non avvenissero, ma che nulla aveva potuto fare per le restanti.
A completare il quadro profetico mancavano gli oracoli di salvezza, che furono aggiunti successivamente dai discepoli.
Circa 5 anni dopo la morte di Amos, scomparve Geroboamo II e gli Assiri premettero ai confini. Scoppiò la guerra Siro-Efraimitica tra gli invasori e gli Egizi, e nonostante i consigli di Isaia re Acaz si alleò con gli Egiziani e venne sconfitto. Il Regno del Nord cadde nel 722 a.C.
Successivamente la zona cadde in una crisi economica disastrosa. Re Ezechia, che governava il sud (Giudea), si alleò ancora con gli Egizi, rimediando un’altra sconfitta che portò all’assedio di Gerusalemme. Gli Assiri si ritirarono poi a causa di un’epidemia.