Ricorrenze nella storia della Chiesa e nelle dissertazioni teologiche
In ogni filosofia, tesi (scientifica o di pensiero), proposta esistenziale, e a maggior ragione anche nelle religioni, il pericolo di fraintendere è altissimo.
Questo aspetto emerge ogni qualvolta vengono proposte teorie che esulano da un contesto generale, o si allontanano da elementi fondanti di un’ideologia o di un semplice pensiero.
Nel caso del Cristianesimo, e nello specifico nel Cattolicesimo, si sono verificati casi di questo tipo in moltissime occasioni. Anche a partire dai primi anni dopo la morte di Cristo.
Al contrario di quanto comunemente si potrebbe pensare, la Chiesa, come istituzione gerarchica, non ha mai trascurato le opposizioni di pensiero. Le ha sempre valutate con attenzione, studio, approfondimenti, e addirittura aprendo dei Sinodi o dei Concilii.
Possiamo suddividere le varie eresie in contrapposizione al Magistero della Chiesa in varie categorie. Due sono però fondamentali, e si suddividono in base agli aspetti teologici o morali.
Una differenza sostanziale
Se nei primi tempi del Cristianesimo prevalsero discussioni che riguardavano ad esempio la Trinità, la natura di Cristo o la continuità con l’Antico Testamento, successivamente ci si affidò soprattutto al giudizio sul comportamento morale dei membri della Chiesa. Passando quindi dall’aspetto teologico a quello comportamentale.
Nel primo caso, inoltre, il dibattito si svolse tra dotti, quasi tutti molto informati sulle Scritture. Le diatribe erano quindi concettuali e avevano alla base dei contenuti teologici. Nel secondo invece si riscontra una diffusione prevalente tra il ceto di cultura media o bassa. Nella fattispecie si tiene prevalentemente conto di aspetti estetici o etico-morali individuali.
Nel corso del secolo XI si avvertì infatti un forte bisogno di recuperare la purezza del Vangelo e del ritorno a una coerenza comportamentale più adeguata. Sorsero infatti molte esigenze e altrettante proposte. Si assistette alla nascita di diversi ordini religiosi che per contenuti sono stati compresi nell’ortodossia cattolica e integrati nella Chiesa.
Con attente valutazioni sono state scartate quindi altre proposte mancanti in modo evidente di questi contenuti.
I motivi di questi rifiuti sono dovuti esclusivamente al fatto che esse si discostavano da elementi fondativi della fede, o a pretese di modifiche che non sono attinenti. La regola di fondo dei Valdesi, per esempio, fu approvata e elogiata da Papa Alessandro III, in quanto votata a povertà e castità. Vi era però la pretesa di predicazione, senza aver dimostrato alcuna competenza nello studio delle Scritture. Al rifiuto in relazione alla funzione predicativa, i Valdesi si staccarono da Roma, e confluirono poi tra i Protestanti, disconoscendo anche i voti di castità.
I fraintendimenti possono quindi essere di varia natura.
Ai nostri giorni assistiamo a un ritorno della esigenza di una purezza evangelica e una richiesta forte di coerenza ai principi di base. La speranza è che non si ripetano gli errori del passato.
Per giudicare o chiedere delle riforme o anche solo per valutare le decisioni del Magistero, occorre competenza specifica. Non basta una generale conoscenza del Vangelo o delle Scritture, senza aver approfondito aspetti teologici e esegetici.
La conoscenza delle Scritture esula infatti dalla sola lettura, in quanto l’interpretazione non dipende solo dal periodo letterario che si legge, ma si lega concettualmente a tutta la Scrittura.
La Bibbia, sia il Vecchio che il Nuovo Testamento, comprende una grande differenza di generi letterari che si incastrano tra essi. La redazione dei primi libri deriva da una scrittura effettuata nel V secolo a.C. sulla base della tradizione orale tramandata da almeno mille anni prima. Spesso questa tradizione affonda le radici nelle prime scintille di spiritualità derivanti dai popoli mesopotamici (non a caso Abramo viene fatto risalire a Ur).
I social trasmettono il disagio di molte persone, ma la prudenza insegna e consiglia che le prese di posizione individuali sono da ritenere altamente pericolose. La historia magistra vitae può essere di aiuto a saggezza e umiltà. Viene richiesta infatti anche ai teologi la prudenza pur nella libertà di espressione delle risultanze dei loro studi. Sarebbe quindi impensabile sostenere che un giudizio superficiale sulle decisioni del Magistero sia attinente alla Verità.