Lo studio della Bibbia: critica testuale

Le difficoltà derivanti dalla trasmissione nei secoli del libro più letto del mondo

L a critica testuale della Bibbia è indispensabile soprattutto se prendiamo atto che questa opera non ci è giunta in copie autografe, ma in versioni derivanti da epoche differenti e su diversi supporti.

La possiamo leggere nelle lingue originali nelle quali essa è stata scritta (ebraico, aramaico, greco), ma anche nelle varie lingue di tutti i periodi storici successivi in cui è stata tradotta.

Il pericolo è quello di incorrere in versioni che abbiano modificato, in modo più o meno volontario o doloso, contenuti o parole. A ciò si aggiunga la difficoltà di interpretazione delle antiche scritture e l’intervento di eventi che abbiano potuto snaturarle o anche minimamente modificarle.

Attualmente, e ciò anche grazie ai metodi scientifici che costituiscono l’approccio indiscusso allo studio dei testi, possiamo dire che la ricerca è riuscita a dare una garanzia di fondo alla volontà di risalire ai testi originali. Per quanto consentito dalle più moderne tecniche, si può affermare che oggi possiamo avere una ragionevole certezza che quanto leggiamo sia conforme alla stesura originaria. Salvo ovviamente nuove scoperte.

Le difficoltà linguistiche e letterarie

Non ci si può nascondere però che le difficoltà sono notevoli. Sotto l’aspetto testuale stretto, le lingue semitiche, come ebraico e aramaico, non comprendono l’utilizzo di vocali. Si affidano alla scrittura delle radici consonantiche del termine, il quale nella maggior parte dei casi esprime un concetto. Nelle tradizioni semitiche antiche il modo stesso di pensare e di agire presenta delle evidenti differenze con quello occidentale. E ancora di più col pensiero occidentale moderno. Lo stesso concetto di parola è strettamente legato all’agire, e lo si può facilmente notare nella narrazione della creazione, riferito a Dio. Ne deriva che il termine “parola” assume un significato più pieno di significato rispetto a come oggi noi lo intendiamo. E ciò deriva anche dalla povertà numerica dei termini utilizzati nelle lingue antiche, unito alla necessità di esprimere comunque concetti più ampi.

Inserendo le vocali in una radice consonantica può quindi generare confusioni, attribuendo ai termini un significato o una “forza” diversa.

In passato, e precisamente tra il I e il X secolo circa, intervennero i Masoreti, ovvero degli studiosi ebraici che si occuparono di rendere la lettura di più facile accesso. La versione della Bibbia adottata oggi dall’Ebraismo è infatti un testo masoretico.

I Masoreti introdussero delle varianti significative attraverso delle note a margine o tra le righe, indicando la corretta pronuncia, ma anche la particolarità del testo.

I testi antichi

I testi più antichi finora ritrovati risalgono al IX secolo. Siamo però in possesso di frammenti anche molto più antichi, come ad esempio quelli di Qumran. Il problema sorge circa le differenze che si evidenziano tra i vari testi ritrovati. In alcuni casi la variazioni intervengono nella misura di 1 parola su 1000. In altri casi la frequenza è maggiore.

Attualmente attraverso un complicato lavoro di catalogazione e una gerarchia delle fonti, si tende a dare preminenza ai testi più antichi. Per determinarli ci si affida alla Paleografia, la disciplina che studia non solo i materiali delle varie epoche, ma anche gli stili e i metodi di scrittura.

Esistono delle versioni privilegiate, i cosiddetti “codici”, i quali sono ritenuti più affidabili rispetto ad altri secondo ogni aspetto. Possiamo citare il Canone Vaticano, o Codice B, o Codice 03, che è attualmente il più antico testo ritrovato che sia completo da Genesi a Apocalisse. Altri codici importantissimi sono il Codex Sinaiticus e il Codex Alexandrinus, e altri ancora.

Oltre ai codici esistono singoli manoscritti su papiro o pergamena, ma anche frammenti su diversi supporti. Tutto questo “materiale” viene catalogato e indicato attraverso una classificazione che comprende lettere maiuscole o minuscole, oppure l’iniziale del supporto utilizzato. Abbiamo così dei manoscritti detti “maiuscoli” seguiti da un numero, altri “minuscoli”, o altri ancora caratterizzati da una lettera particolare.

Questo sistema aiuta i ricercatori a orizzontarsi nell’oceano dei documenti, afferrando immediatamente la tipologia a cui ci si avvicina. Molta importanza viene attribuita per esempio ai papiri, essendo tipicamente il supporto quasi sempre più antico. Ad esempio il P52, Papiro 52, anche chiamato Rylands52, conservato nella omonima biblioteca universitaria di Manchester, è un frammento di una copia del Vangelo secondo Giovanni che potrebbe essere datato tra il 125 e il 175. Riporta i brani da Gv 18,31-33,37-38.

Gli errori manuali

Ma oltre a tutto ciò dobbiamo anche tenere conto di quelli che sono stati alcuni errori manuali, anche involontari, in cui i trascrittori sono incorsi attraverso i secoli.

A riportare i testi affinché non andassero distrutti ci pensarono soprattutto gli amanuensi, per la maggior parte monaci. Dobbiamo considerare che le lingue semitiche, essendo come già detto povere di termini, utilizzavano spesso la ripetizione di intere frasi, anche più volte all’interno del medesimo periodo. Questo stile era adottato proprio per la mancanza di termini che fossero abbastanza incisivi per rendere più enfatica una frase. Nei casi in cui un amanuense avesse dovuto interrompere il lavoro, è accaduto spesso che un periodo fosse ripetuto più volte del necessario, oppure addirittura tralasciato. Senza contare ovviamente gli errori di trascrizione ponendo una lettera per un’altra. La coincidenza di vari errori (ripeto: voluti o non voluti), ha determinato versioni differenti nel momento in cui si procede alla traduzione o all’interpretazione di un concetto.

La Bibbia dei LXX

I testi masoretici hanno di fatto comunque sostituito la più antica traduzione della Bibbia di cui noi siamo oggi a conoscenza e che risale all’era tolemaica (precisamente al I secolo a.C). Si tratta della Bibbia Septuaginta, meglio conosciuta come Bibbia dei LXX.

Tolomeo II Filadelfo, Faraone d’Egitto, incaricò i saggi di Alessandria di tradurre in greco la Bibbia ebraica. A questo incarico risposero 72 rabbini, 6 per ogni antica tribù di Israele. Questa Bibbia non va però confusa con altre versioni greche importanti. Non si possono non citare le Bibbie di Aquila di Sinope, di Simmaco l’Ebionita e di Teodozione, le quali figurano anch’esse nell’Exapla di Origene.

Lo studio e la critica testuale della Bibbia è affascinante non solo per questi aspetti tecnici, ma soprattutto per i loro risvolti teologici. Ma non si può dimenticare la dimensione romantica. Gesù leggeva (e lesse nella Sinagoga) srotolando i papiri e inserendo a memoria le vocali in una scrittura consonantica. Oggi per aiutare la lettura dei testi ebraici si ricorre ad un sistema di simboli codificati che indicano quale vocale inserire e altri sussidi per la lettura corretta.

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